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Monte San Primo/ La montagna in fumo

Si è svolta, sabato 18 febbraio presso la sala Isacchi di Ca’ Prina a Erba, completamente strapiena con persone che sono rimaste in piedi ad ascoltare, l’iniziativa del coordinamento Salviamo il Monte San Primo dove è stato presentato il libro Inverno liquido di Michele Nardelli e Maurizio Dematteis, presente in sala, che ha dialogato con Luca Rota dello spopolamento delle montagne e della fine dell’epoca delle grandi stagioni sciistiche di massa. La seconda parte della serata ha invece visto la presentazione della controproposta del coordinamento, rispetto al progetto della Comunità Montana che vuole costruire nuove piste da sci e parchi giochi sulla montagna più alta del Triangolo Lariano. Non sono infine mancati interventi da parte del pubblico, tra ex amministratorə, politicə e rappresentantə che hanno sposato la causa del coordinamento.

InvernoLiquido_2023febbraio06_SalviamoIlMonteSanPrimo

Nella prima parte della serata c’è stata appunto la presentazione del libro Inverno liquido, alla presenza di uno dei due autori, Maurizio Dematteis, giornalista, ricercatore e scrittore e direttore dell’associazione Dislivelli. Con Luca Rota si è dialogato dei contenuti del libro, con una riflessione su quella che ormai viene considerata una cultura di un’altra epoca: quello dello sci di massa e dei grandi esodi invernali per la settimana bianca. Secondo Dematteis, la montagna è in una fase di transizione, fra il “non più” e il “non ancora”, in cui l’intervento dei privati cittadini gioca un ruolo ancora fondamentale in quello che sarà poi il futuro del nostro paesaggio e delle risorse che essa offre.

Maurizio Dematteis

Il libro si struttura sostanzialmente su una serie di esperienze e diverse proposte per far ripartire l’economia della montagna, a partire da un turismo non di massa. A questo proposito, Rota ad un certo punto ha fatto riferimento a un sondaggio dove è emerso che oramai le persone preferiscono andare in montagna a camminare, a prendere il sole, a mangiare e, solo come ultimo desiderio, per sciare. Al di là delle ragioni economiche, per cui lo sci si è trasformato nel corso degli anni in uno sport “da ricchi”, secondo Dematteis il problema è quello che le montagne vengono viste come un territorio «da riempire» perché troppo vuoto.

RotaMonteSanPrimo_2023febbraio18_DarioOnofrio
Luca Rota

Il ricercatore ha fatto presente che la Legge Delrio del 7 aprile 2014, tra le altre cose riformatrice delle comunità montane, avrebbe di fatto impedito alle Regioni di conoscere a fondo il proprio territorio. Insomma, secondo Dematteis ci sarebbe un totale scollamento fra logiche “di città” e logiche “di montagna”, dove quest’ultima viene vista o come una risorsa da spremere o come qualcosa che viene abbandonato a sé stesso perché non la si conosce. Forse, anche per questo, diversi amministratori pubblici cercano ancora di tenere in piedi il business dello sci con ingenti finanziamenti che in realtà non fanno altro che tenere in vita una economia morente, con la scusa del supportare le comunità che sopravvivono anche grazie allo spostamento delle masse per le settimane bianche.

La riflessione finale, però, ha visto appunto Dematteis mettere l’auditorio davanti a una verità: nessuno va più in montagna esclusivamente per sciare. Questo dovrebbe far riflettere gli amministratori comunali sul reale valore dei propri territori e sugli “impieghi” che vengono immaginati per essi, magari cercando di spostare quei finanziamenti faraonici in opere di riconversione culturale delle zone interessate dallo sci.

Dopo questa prima parte è venuto il momento di spiegare il progetto da parte di Roberto Fumagalli, presidente del Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”. Come già riportato da ecoinformazioni svariate volte in merito alla questione del Monte San Primo, è stato messo l’accento sulla quantità esagerata di soldi messi a progetto, le incertezze sull’impatto ambientale che i giochi per i bambini avrebbero sul paesaggio e l’illustrazione all’auditorio delle opere, fra le quali spiccano un laghetto artificiale con riempimento dalla pioggia (quale pioggia, poi, non si sa) che servirebbe d’inverno ad alimentare i cannoni sparaneve, una nuova area di parcheggio, tapis roulant e un impianto di tubing.

RondaniniMonteSanPrimo_2023febbraio18_DarioOnofrio
L’architetta Nunzia Rondanini

È intervenuta poi l’architetta Nunzia Rondanini, che ha illustrato le controproposte sviluppate dal Coordinamento e che vedrebbe il totale smantellamento delle opere incompiute già presenti sul monte (emblematica la fotografia di un Gatto Delle Nevi sommerso dai rovi), il restauro dei sentieri già esistenti, l’intervento sui boschi e sugli abeti che per colpa della siccità stanno morendo, la riqualificazione della Vetta e dell’Alpe del Borgo, ora abbandonata a sé stessa, il rifacimento della piccola strada che porta all’Alpe e soprattutto una sostanziale riqualificazione del trasporto pubblico onde evitare la costruzione di nuovi posteggi e l’utilizzo delle strette strade da parte di tutti indiscriminatamente.

Un’opera, insomma, di rivalorizzazione della montagna: esattamente quello che Dematteis e Nardelli auspicano nel loro libro. Non il mero “riempire un buco” lasciato dallo spopolamento e ora dalla morte dello sci di massa, ma una integrazione con le abitudini, i ritmi e i tempi dei monti.

AldeghiMonteSanPrimo_2023febbraio18_DarioOnofrio
Emilio Aldeghi, presidente del CAI Lombardia

Infine ci sono stati interventi di diverse e diversi rappresentantə, fra i quali Anna Toffoletti di Sinistra Italiana che ha citato le due interrogazioni parlamentari sia al Senato che alla Camera svolte dal gruppo, la giornalista Rosanna Cavaglieri, l’ex sindaco di Magreglio Paolo Cerutti, il presidente del CAI Lombardia Emilio Aldeghi, l’ingegner Enrico Scaletti, il presidente del Gruppo Naturalistico Brianza e molti fra cittadine e cittadini privati che vivono il Monte San Primo e hanno voluto dire la loro sulla tematica.

Fra tutte e tutti, il quadro che ne è venuto fuori è abbastanza pessimista: si pensa infatti che le comunità di Magreglio e Bellagio non abbiano alcuna intenzione di opporsi al progetto: un po’ per rassegnazione, un po’ perché milioni di euro fanno gola a molte e molti. La sfida è quindi quella di creare un coordinamento che riesca a coinvolgere anche i residenti, non solo esterni: il finale della serata ha fatto notare, abbastanza amaramente, come nonostante l’altissima partecipazione fossimo in sala tutti fruitori “stranieri” del territorio.

Alla fine, comunque, il contributo che forse ha fatto più riflettere è stato quello di un privato cittadino, che ha voluto sottolineare come su uno dei pascoli che sarebbero interessati dai possibili progetti di rinnovamento ci sia scritto “Questo pascolo carica 25 vacche”. Segno che forse non bisogna per forza colmare un vuoto, ma ritrovare con le montagne un rapporto che abbiamo perso come abitanti quando si sono spopolate negli anni successivi il secondo dopoguerra: un rapporto di tutela e simbiosi che forse dovremmo recuperare, senza sfruttamenti. [Dario Onofrio, ecoinformazioni]

Guarda la diretta completa su facebook ecoinformazioni.
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