Ci salveranno i fulmini e il deserto?
Ci salveranno i fulmini e il deserto? È l’interrogativo ironico e surreale che dà il titolo al libro di Maria Letizia Grossi presentato alla libreria Punto Einaudi venerdì 11 dicembre per l’iniziativa, aperta da Maria Ambrosoli, presidente dell’Università popolare Auser, con un’introduzione critica di Marco Lorenzini e un dialogo con la scrittrice condotto da Rosa De Rosa.
Si tratta di una raccolta di nove racconti scritti in epoche diverse dall’autrice, insegnante di lettere per oltre un ventennio, redattrice della rivista ècole, impegnata nell’associazione Il Giardino dei Ciliegi di Firenze e nella Società Italiana delle Letterate e animatrice di un corso di lettura e scrittura creativa alla Libreria delle Donne di Firenze. Un orizzonte cupo e chiuso è lo sfondo sul quale si muovono i personaggi che riescono comunque a sognare, a immaginare un futuro risarcimento ai danni del presente. Le protagoniste sono tutte donne vive, quotidiane, creature semplici, ma straordinarie, sono mogli, madri, hanno la gastrite, non hanno terminato gli studi, cercano le ragioni del vivere, non si rinchiudono in se stesse nonostante le difficoltà e le assurdità della vita (la loro che assomiglia moltissimo alla nostra…) e del rapporto con gli altri e il filo conduttore è proprio la modalità in cui le protagoniste femminili si barcamenano nella realtà trovando ciascuna un suo modo personale surreale per sopravvivere nel caos del tempo. Gli uomini ne escono maluccio: aggressivi, gretti, svampiti, superficiali tranne che ne Il Guardiano, unico testo in cui il genere maschile si riscatta nella figura di uno psicoterapeuta tenero e sensibile che sulla tomba della moglie Ines si sforza di ricordare il tono particolare della sua risata, il suo gesticolare o la sua postura consolato dal Guardiano portoghese che afferma con saggezza: «Il tempo se ne va, ma lascia il suo succo, come in una bottiglia. […] La saudade non fa disperare. Ci fa sentire la lontananza, ma anche la persistenza. Conserva il succo. Siamo noi la bottiglia». I luoghi sono i topos della memoria, non un semplice fondale per le vicende degli attori, ma parte di loro stessi e parte corporea della stessa autrice, sono luoghi reali del vissuto (Firenze, Caserta, Altavilla Irpina), del passato e del non ritorno (Lattaquié in Siria), ma anche luoghi dell’anima e del desiderio. Non manca una suggestione tutta comasca con un cenno al Baradello: «È bella la prima mattina in questa parte di Lombardia che si avvicina al lago. Il monte con la torre in primo piano si alza lentamente dalla nebbia e si lascia bagnare dal sole, prima gli alberi in alto, sottili e vibranti dentro il fervore della luce iniziale, poi più giù i pendii folti come una pelliccia verde». Se la specie umana si dimostra inadeguata nel risolvere i problemi ecco gli oggetti animarsi in una sorta di realismo magico che si manifesta in alcuni elementi della natura (il vento del deserto che impedisce una guerra) o il bancomat che vuole riordinare la storia rimediando ai danni del capitalismo. Altri prodigi surreali accadono nel racconto ecologico Moltiplicazioni in cui coltellini da frutta e cucchiaini vagamente sogghignanti sono gli iniziatori di una inquietante autoclonazione di tutti i manufatti umani che, già sovrabbondanti nella normale quotidianità, strabordano e si stratificano in uno scenario apocalittico in cui le persone vanno qua e là come insetti impazziti, urlano, ma non riescono a comunicare nel frastuono assordante. Una creatura riaffiorata da un passato mitologico, come una sorta di coscienza tardiva, osserva: «Gli oggetti erano troppi già da prima, non vi siete accorti che ne stavate fabbricando troppi?» e quando finalmente un tecnico riesce a interrompere World Multiplications, il programma maledetto che ha proiettato le proprie funzioni dalla virtualità alla realtà, l’immondezzaio del troppo, l’enorme bubbone deforme viene sgombrato e convogliato in appositi centri di incenerimento predisposti in prossimità di campi nomadi, mentre le eccedenze vengono spedite al terzo mondo. Attuale anche l’analisi del difficile rapporto nelle coppie di culture diverse in Scambi culturali all’alba del millennio, una sorta di scrittura terapeutica per elaborare dure esperienze autobiografiche dell’autrice: l’innamoramento, la buona disponibilità, la curiosità di conoscere l’altro da sé non sono sufficienti se la barriera da superare è la mancanza di rispetto. Nella postfazione il doveroso tributo ai maestri Domenico Starnone, Elena Gianini Belotti, Antonio Tabucchi, Josè Saramago, Virginia Woolf, Anna Maria Ortese. E la risposta al quesito del titolo: «L’ironia è un utile mezzo per prendere distanza dagli avvenimenti dolorosi, ma anche un modo per calarsi nei fatti e nella politica e attaccare quello che sulla terra è oppressione e violenza dei pochi sui molti. Consapevole che nella realtà né fulmini né il deserto né i computer né i bancomat o le allergie ci toglieranno le castagne dal fuoco, mi dichiaro comunque speranzosa». Maria Letizia Grossi, Ci salveranno i fulmini e il deserto?, Luciana Tufani Editrice, pp. 192, euro 12. [Antonia Barone, ecoinformazioni]