Peppino Impastato, il giornalista
C’era anche Giovanni Impastato, fratello di Peppino, al Festival internazionale di giornalismo di Perugia, in occasione della consegna del premio “Una storia ancora da raccontare”, intitolato quest’anno proprio al giornalista e attivista siciliano ucciso dalla mafia nel 1978. E ha raccontato un Peppino Impastato comunicatore, a 360 gradi. La storia di Peppino Impastato è una storia che è stata raccontata. In ritardo, forse, ma dopo il film dedicato alla sua vita oggi l’attivista siciliano è conosciuto e riconosciuto, anche dalle giovani generazioni. E mentre la sua testimonianza politica è ancora oggetto di polemiche – si pensi alla targa di una biblioteca intitolata a suo nome, in provincia di Brescia, che fu tolta, o all’ulivo piantato in sua memoria in Sicilia, anch’esso divelto – forse ancora non tutto è stato detto sul Peppino Impastato giornalista. Lo ha fatto suo fratello Giovanni, domenica 17 aprile, intervenendo al Festival di giornalismo di Perugia, in occasione della premiazione di un concorso che il meeting organizza ogni anno e dedica a un personaggio-simbolo del giornalismo. Quest’anno, dopo Ilaria Alpi, Giancarlo Siani, Enzo Baldoni, Mariagrazia Cutuli, il concorso è stato intitolato appunto a Peppino Impastato. “È un premio in memoria di giovani giornalisti che hanno dato la loro vita per la verità – hanno dichiarato gli organizzatori del festival – ma è anche un modo per far conoscere queste storie, le loro storie”. Storie che in alcuni casi non sono note, nomi di giornalisti morti ammazzati, che in pochi hanno sentito pronunciare. Li ha fatti tutti, Giovanni Impastato, citando appunto “gli otto giornalisti uccisi solo in Sicilia” dal 1960 al 1990. Un elenco che serve anche ad esprimere “solidarietà per i giornalisti che sono vivi e sono costantemente minacciati dalle mafie”. Come Impastato, che, come tiene a precisare il fratello, “inizia il suo impegno come giornalista e conclude la sua attività sempre come tale, anticipando i tempi, mettendo già allora in evidenza il rapporto tra mafia e sistema politico”. Accanto all’impegno politico in Democrazia proletaria, accanto alle battaglie pacifiste contro la guerra in vietnam, il militante siciliano “S’improvvisava reporter e fotoreporter, fotografava lo scempio del territorio, le case abusive, i complessi turistici. E tutte queste foto le faceva vedere alla gente, organizzava mostre per denunciare quello che vedeva. Con ironia, raccontava come lo stato fosse in ginocchio di fronte alla mafia”. E lo fa in forme diverse, usando la cultura e i suoi mezzi come veicoli per testimoniare le notizie e le storie che voleva raccontare. “Fonda il circolo Musica e cultura, – ha continuato Giovanni Impastato – fa un giornale ciclostilato e lo distribuisce…Peppino aveva capito che bisognava sfruttare anche l’arte per comunicare. Ed infatti era anche un poeta, un artista; aveva scritto poche poesie ma aveva una visione poetica della vita”. Dalla poesia alla musica. “Mio fratello era di quel periodo dei grandi raduni, dei grandi concerti e lui ha organizzato un raduno musicale nella spiaggia di Cinisi. Poi è arrivata Radio Aut. Attraverso la profonda conoscenza del proprio territorio – un elemento fondamentale per fare informazione – e con ironia e creatività riusciva a dissacrare i potenti: in questo senso anche oggi dovrebbe avvenire la comunicazione”. L’esperienza comunicativa di Peppino Impastato si conclude con Radio Aut: il 9 maggio 1978 viene ucciso. “Ha operato una grande rottura, anche all’interno della nostra famiglia – ha spiegato Giovanni Impastato -. Anche mio padre era un mafioso. Non ha mai avuto un ruolo di primo piano ma era rispettato in quanto cognato di un grande boss. Peppino è stato considerato un terrorista; la mafia con la complicità delle istituzioni ha voluto anche infangare la sua memoria. E tutte le persone che hanno cercato di dire la verità sono morte. Mentre i depistatori sono tutti vivi e hanno fatto carriera”. Una storia che si ripete e si è ripetuta diverse volte, in questo Paese, con i carnefici e i loro complici che sopravvivono a chi “fà la cosa giusta” e la racconta. [Barbara Battaglia, ecoinformazioni]