Comunicazione politica 2.0
Comunicazione politica 2.0 Il modo in cui cambia lo story telling influenza l’informazione, cambia le “storie” stesse? Hanno risposto a quest’interrogativo, sabato 16 aprile, al Festival di giornalismo di Perugia, Dino Amenduni, responsabile new media per Nichi Vendola, Stefano Epifani dell’UniversitàLa Sapienza, Sam Graham-Felsen, blog director della campagna Barack Obama 2008, MIcah Sifry, direttore del Personal Democracy Forum, Antonio Sofi, giornalista e consulente politico e Alessio Jacona di Nova24/ Il sole 24 ore. Lo hanno chiamato “il blogger di Obama”: in realtà il suo nome è Sam Graham-Felsen ed è il giovane blog director della campagna elettorale del 2008, dell’attuale presidente Usa. “Anzi tutto sono un giornalista – ha spiegato Graham-Felsen -, poi fui assunto per raccontare un movimento, cercavano qualcuno che sapesse raccontare storie nel paese e che non fosse addentro alle questioni politiche…Iniziammo cosi’ a raccontare per la maggior parte le vite di persone che per la prima volta partecipavano attivamente alla politica, realizzavamo documentari su queste persone, su questi volontari, sulle loro vite di tutti i giorni. In molti ci dicevano che stavamo perdendo tempo… Pero’ noi notavamo che ogni volta che pubblicavamo una storia, un video, ne arrivavano altre, la gente ci contattava, segnalava la sua esperienza… Alla fine avevamo migliaia di storie che si sono accumulate e abbiamo capito che si era formata un’idea precisa: la campagna (per l’elezione di Obama, ndr) non era di o per un candidato, riguardava “voi”. Ma come interagiva l’attuale presidente con quelle “ordinary stories”? “Ad esempio, ad un certo punto – visto che si potevano creare blog appoggiandosi al blog di Obama, ne è stato creato uno che ha raccolto le iscrizioni di gruppo di 20mila persone, che protestavano contro una determinata legge in materia di privacy. Obama a quel punto, di fronte alla loro mobilitazione, gli ha scritto una lettera e ha spiegato il perché della sua opinione su quella legge, senza cambiare la sua idea in merito, ma lodando i volontari e la loro intelligenza, la loro iniziativa”.
Ma se la comunicazione politica dell’attuale presidente nonché Nobel perla Paceha fatto scuola, ci sarà pure qualcuno che ne critica metodi e contenuti…
Cosa è mancato? Per Micah Sifry, “negli Stati Uniti ci sono milioni di attivisti on line: questa è stata la parte imprevedibile delle scorse elezioni. Ad esempio su youtube 9 video su 10 erano fatti dagli elettori. Dunque il vecchio atteggiamento di una campagna elettorale sarebbe stato quello di citare in giudizio queste persone che si appropriavano del marchio della campagna etc, invece si è deciso di creare un livello “volgare”, un altro linguaggio. Che è stato l’elemento motivante della campagna, la speranza che ha coinvolto i cittadini. Ma in realtà il manager della campagna di Obama non aveva una grande considerazione di queste persone…Si trattava infatti di una comunicazione unidirezionale: i volontari – e soprattutto le loro caselle mail – sono stati usati come uno strumento, un megafono ben poco costoso…
Dopo l’elezione è risultato chiaro come la base servisse sostanzialmente a Obama, ma quel percorso non è continuato. Il lavoro dei blogger è finito e si sono detti: “adesso raccontiamo le storie di chi è alla Casa Bianca”. Quindi, secondo l’opinionista nordamericano, l’uso di internet in sé non garantirebbe una reale partecipazione dal basso: il potere non è diffuso equamente, insomma, nemmeno nel momento in cui si supporta una causa, nella fattispecie l’elezione di un personaggio politico. “C’è anche un altro elemento che ha contato molto nel 2008 – ha continuato Sifry – ed è che al mondo di internet piacciono molto gli outsiders, gli sconfitti che vogliono sfidare il sistema.
Oggi le cose sono cambiate. Obama ha appena lanciato il nuovo sito per la campagna 2012, sul quale c’è una applicazione per facebook che, installata sul profilo, raccoglie info dettagliate e crea dei microtarget. Cosi’ Obama potrà comunicare come e con chi preferisce, selezionando ad esempio tutte le donne tra i 30 e 40 anni con determinati stili di vita e provenienze o valori etc”. Insomma, internet non dà potere a chiunque… Cio’ detto secondo l’analisi critica del direttore di Personal Democracy Forum rispetto alla comunicazione di Barack Obama, “anche la base ha delle colpe: anche loro hanno continuato a fare da amplificatore a Obama” senza chiedere in buona sostanza nulla in cambio dopo l’elezione.
Nella comunicazione politica, in effetti, è proprio l’elezione il momento che segna normalmente una svolta nello stile dei candidati e dei messaggi che veicolano. “C’è una grande differenza tra il “prima e il dopo” essere eletti – ha dichiarato il giornalista e consulente politico Antonio Sofi – , guardiamo ad esempio ai nostri sindaci: il 60 per cento ha abbandonato il suo profilo facebook il giorno dopo le elezioni. E cio’ avviene per quasi l’80 per cento dei siti e dei blog”. I politici nostrani, insomma, non investono (o lo fanno male) sui new media. Perché? Secondo Dino Amenduni, responsabile new media Proforma, che segue e ha seguito dal 2010 tale settore per il governatore Nichi Vendola, il punto è che “non c’è un rapporto diretto tra social media e consensi, tra social media e numero di voti acquisiti.
Nel caso di Vendola, però, ad esempio, si è creata una dinamica mai vista prima: un candidato che non aveva una coalizione politica che lo sostenesse, che si è poi creata a partire dalla rete; l’intesa tra i partiti, che mancava di fatto nella realtà, è nata dalla rete”. Anche se in Italia la specificità del sistema elettorale e il potere della televisione, pubblica e privata, non sono elementi trascurabili da chiunque faccia comunicazione, politica e non. E il futuro? “La rete, i social network – ha concluso Graham-Felsen – ha dato la possibilità di coinvolgere tantissime persone in modo facile e veloce. Non c’è nemmeno più bisogno di stare in casa o davanti a un pc per partecipare a una causa. Ora però ci aspetta una nuova sfida: coivolgere le persone, con questi e con altri mezzi, non solo rapidamente e semplicemente ma in maniera profonda”. Gli attivisti “pret à porter”, con tanto entusiasmo e scarsi contenuti, non basteranno più. Forse nemmeno a Obama. [Barbara Battaglia, ecoinformazioni]
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