Afghanistan: dieci anni di guerra, occupazione e miseria
Sessanta persone, tra cui alcuni profughi afgani, hanno stipato, la sera del 25 ottobre, la sala dell’Avc-Csv a Como, rispondendo all’invito del Cisda – Coordinamento italiano sostegno donne afgane e delle Donne in nero di Como (cui hanno aderito anche Arci e Coordinamento comasco perla Pace) di incontrarsi per parlare di Afghanistan a dieci anni dai bombardamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati (iniziati nella notte tra il 7 e l’8 ottobre 2001) e per denunciare le responsabilità del nostro governo e della comunità internazionale.
L’iniziativa è stata aperta da Manuela Serrentino, che più volte ha visitato l’Afghanistan con delegazioni del Cisda. Serrentino ha tracciato il bilancio di dieci anni di guerra e di occupazione del paese: mancano case, scuole, ospedali e lavoro; la produzione di oppio è arrivata a circa il 96% del totale mondiale. A causa della guerra sono morti di 44 soldati italiani, oltre 1.400 soldati alleati, 6 mila soldati e poliziotti afgani, 25 mila guerriglieri talebani e quasi 11 mila civili afgani (di cui oltre 3 mila negli attacchi talebani e almeno 7 mila uccisi dalle truppe alleate, più di 3 mila civili morirono nei soli bombardamenti aerei del 2001-2002). (fonte Peace Reporter).
Si è speso molto per la guerra: «In dieci anni di intervento militare i soli USA hanno speso più di 487 miliardi di dollari». «Il Parlamento italiano, quasi contemporaneamente, ha approvato una manovra finanziaria che strozza ancora di più il nostro paese, e rifinanziato la missione italiana in Afghanistan (con il solo voto contrario dell’IDV) che vede una presenza di 4.350 soldati e per la quale, secondo Peace Reporter, si sono spesi, nel solo primo semestre 2011, 410 milioni di euro».
Si è speso poco per la ricostruzione: «Dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010 sono stati deliberati dal nostro governo circa 516 milioni di euro per la cooperazione civile (che costituiscono solo circa il 2% del totale delle spese sostenute per le truppe). Ma l’importo realmente stanziato alla fine del 2010 è di circa 208,4 milioni di euro. Di questi, circa 81 milioni di euro sono stati impiegati per la riforma della giustizia in Afghanistan».
La forza delle donne
Graziella Mascheroni del Cisda ha presentato Sguardo da un granello di sabbia di Meena Nanji (http://www.viewgrainofsand.com). Il film, girato tra il 2002 e il 2006, racconta attraverso gli occhi di tre donne afgane, una dottoressa, un’insegnante e un’attivista per i diritti umani, di come la guerra, le intromissioni straniere e la nascita dell’islam politico abbiano strappato alle donne afgane i diritti e la libertà di cui godevano, in una società fortemente patriarcale, prima dell’invasione sovietica (1979 – 1989). Il film presenta materiali d’archivio con l’intenzione di fornire un quadro della lotta che le donne hanno intrapreso nel 1979 (con la fondazione di Rawa – Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) e che ancora oggi stanno portando avanti contro i fondamentalismi e i fondamentalisti che continuano a occupare posizioni di potere e a sedere nel Parlamento da cui, invece, è stata estromessa Malalai Joya (www.malalaijoya.com) perché donna libera nel pensiero, nelle parole e nelle azioni. La della situazione dell’Afghanistan che emerge (il film è del 2006) è di un paese devastato e insicuro. Nel quale, però, secondo Mascheroni, le forze democratiche si stanno riorganizzando, come testimonia la crescita di Hambastagy (un partito di opposizione che ha deciso di non partecipare alle precedenti elezioni ritenute poco democratiche) e di tante associazioni soprattutto di donne che sono fiorite, accanto a quelle storiche come Rawa. Alcune immagini del film erano così forti e dolorose da togliere il fiato. Ma spostare lo sguardo dalla realtà non aiuta a modificarla. Accanto alle immagini di violenza cui il popolo afgano è stato sottoposto durante l’occupazione sovietica, negli anni successivi al 1989, durante i bombardamenti nel 2001 e 2002 e anche in anni più recenti durante l’occupazione che ancora continua con la partecipazione anche di truppe italiane, a quelle dei signori della guerra, criminali che la comunità internazionale ha “scelto” per il presente dell’Afghanistan dal film emerge forte l’immagine di donne determinate e attive che hanno lottato nel passato e lottano nel presente contro i fondamentalismi e i fondamentalisti.
Un altro sguardo
«La musica, come altre forme di espressione artistica, è uno strumento potente per l’elaborazione dei traumi di guerra. Significativo è l’esempio di Milad che nel Preludio per pianoforte op. 28 n. 4 di Chopin trova la via per rivivere la paura provata quando da bambino ha assistito a scene di violenza per le strade di Kabul; suonare in pubblico questo brano diventa per lui un’urgenza». È con queste parole, con la poesia Regalo della iraniana Forugh Farrokhzad liberamente tradotta dal Dari − Parlo della profondità della notte/ sul ciglio del buio abissale,/ al di là della notte profonda io parlo./ Se vieni nella mia casa, amica,/ portami una lampada e una finestra da cui io possa guardare/ la folla nel vicolo felice. − e con la proiezione di un video in cui Milad suona che Adriana Mascoli − rientrata da Kabul lo scorso agosto, dopo un anno di insegnamento all’Anim [immagini e scritti sulla sua esperienza si trovano sul blog Noi da loro di ecoinformazioni] − ha scelto di iniziare la seconda parte della serata. Doni per tutte e tutti noi presenti che abbiamo avuto modo di cambiare punto di vista e posare il nostro sguardo altrove.
Il suo intervento è stato centrato sull’importanza della musica e di tutte le arti «per mettere la guerra fuori dalla storia».
«Lo sguardo sulla situazione afghana trova un momento di respiro positivo nell’esperienza dell’Anim, Istituto Nazionale di Musica dell’Afghanistan (www.afghanistannationalinstituteofmusic.org). Fondato dal professor Sarmast, è un progetto del Ministero dell’Istruzione della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, sostenuto dall’Università Monash australiana e dalla Banca Mondiale. Si tratta di una scuola di formazione musicale, gratuita e aperta ai giovani e alle giovani afghane, senza distinzioni di genere, di etnia e di condizioni sociali.
Con l’apertura dell’anno scolastico 2011 la presenza di bambine e ragazze all’interno dell’ANIM è aumentata considerevolmente anche grazie alla collaborazione con Afceco (www.afceco.org) l’organizzazione che gestisce diversi orfanatrofi a Kabul.
La speranza di una ricostruzione culturale del paese si appoggia anche sull’attività, sempre più professionale, dei gruppi di musica d’insieme: da quelli con strumenti tradizionali afghani, al coro, all’orchestra giovanile (Ayo, Afghanistan Youth Orchestra)». [Celeste Grossi per ecoinformazioni]