Con Monza una grande provincia

Non tutti sono daccordo sulla improponibilità dell’annessione di Como alla  nuova grande provincia. L’esponente del Pd Emilio Russo in un intervento che pubblichiamo integralmente sostiene invece le ragioni dell’unione con Monza e contrasta le prese di posizione del Comune di Como e del Tavolo per la competitività. «Vorrà dire che non sono “una persona di buon senso”. Almeno secondo il sindaco di Como. Perché l’ipotesi che il territorio di Como possa entrare a far parte di una grande Provincia con un quarto degli abitanti della Lombardia e con una delle concentrazioni industriali più importanti del Continente a me, invece, pare suggestiva e potenzialmente vincente. Qui non si tratta di cavilli giuridici a cui appellarsi per eventuali “deroghe” alla legge nazionale né di sollevare campanilismi e di rivendicare primati peraltro che non si è in grado di argomentare. Tanto meno di attaccarsi al diverso trattamento riservato a Mantova o a Sondrio come fa, in modo infantile, un consigliere regionale di Como. L’ipotesi di un’aggregazione che comprenda tutta l’area a nord-ovest della metropoli è promettente per più ragioni: perché aumenta notevolmente la posizione negoziale, la forza politica dei territori al margine di Milano; perché favorisce l’integrazione dei diversi sistemi, sul piano delle infrastrutture e delle sinergie tra gli ambiti e i settori economici che la compongono; perché è in grado di determinare, proprio per questo, rilevanti economia di scala; perché consente una pianificazione territoriale corrispondente alle dinamiche reali (si pensi al ruolo di Malpensa); perché risolve i problemi di collocazione irrisolti di alcune aree “di confine” tra le vecchie Province (la zona ad ovest di Olgiate verso Varese; Bellagio verso Lecco; la Brianza Comasca verso Monza ecc.); perché stempera la bassa qualità del ceto politico comasco in un contesto in cui altri ambiti hanno manifestato una maggiore vivacità; perché ricompone, tendenzialmente, una unità territoriale e amministrativa che in passato è stata frammentata in base a logiche discutibili.

In questo contesto, dove si collochi il capoluogo della nuova Provincia  non è probabilmente il tema decisivo. Non può esserlo, in ogni caso, solo sul piano simbolico. I galloni di “capitale” (una straordinaria occasione, certo, di diventare il centro di un ambito vasto e influente) vanno conquistati sul campo. Da una parte, uscendo dall’afasia che ha caratterizzato le modeste (avvilenti) prese di posizione che si sono registrate finora, da quelle irricevibili di Carioni a quelle notarili del Tavolo della competitività. Per il resto, c’è solo il  silenzio totale delle istituzioni (nessun Consiglio Comunale, a partire da quello di Como,  ha espresso una posizione “ufficiale”), per non parlare dei partiti, dove nessuno ne ha discusso, lasciando il campo aperto alle parole stentate di qualche “eletto”. Invece, sarebbe il caso di sollevare le questioni di carattere storico che suggerirebbero di confermare – perché di questo si tratta – la centralità di Como;  di argomentare le ragioni implicite nella geografia e nella posizione dell’area comasca per rappresentare un territorio che – proprio per la sua connotazione industriale – guardi naturalmente all’Europa. Soprattutto, occorrerebbe attrezzare la città ad essere un luogo aperto, un riferimento capace di andare oltre i suoi confini perché in grado di fornire servizi adeguati a una scala ampia, di avanzare un’offerta culturale di qualità internazionale, di garantire una adeguata accessibilità dall’esterno, di ampliare i suoi attuali confini amministrativi, di risolvere in modo credibile i nodi irrisolti, senza assumere atteggiamenti velleitari e senza invocare in modo ossessivo il peso del passato e le presenti ristrettezze finanziarie. Il Piano di governo del territorio – oltre alle scelte quotidiane dell’Amministrazione – sarebbe l’occasione per ridefinire in questi termini la nuova dimensione di capoluogo di una città che ha perso, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, troppe occasioni e una buona parte della sua credibilità.  Anziché rintanarsi in un atteggiamento difensivo, la candidatura della città a cogliere le opportunità del nuovo assetto – anche indipendentemente dal suo riconoscimento formale di capoluogo – dovrebbe passare per una svolta profonda. Che un salto di qualità di queste proporzioni sia nell’orizzonte politico e programmatico della maggioranza che oggi governa Como è piuttosto dubbio. Se si chiudono le strade senza pensare a una riqualificazione della viabilità e dell’arredo urbano,  se si sceglie di costruire in modo autarchico il Piano urbanistico avventurandosi – dopo avere sbagliato i conti sulle scadenze – nella capriola di un’adozione del vecchio Piano di Bruni privo di respiro, se si cancellano le mostre di Villa Olmo senza che si sappia indicare un’alternativa credibile, se si sceglie di dare all’esecutivo una connotazione “tecnica”, è difficile pensare che le ambizioni di Como possano realizzarsi in concreto.

Codicillo finale. Uno degli argomenti di chi contrasta la possibilità di connettere la realtà di Como con quella di Monza sarebbe il timore di essere fagocitati nell’area milanese. Ora, a parte che i rapporti con Milano sono una realtà in atto da secoli e sono sperimentati quotidianamente dagli studenti che si recano nelle università milanesi (tra le migliori in Europa), dai pendolari che prendono il treno per raggiungere gli uffici della città di Pisapia (uno dei centri direzionali più importanti del Continente), dai tifosi che affollano “la Scala del calcio” (dove giocano due delle più titolate squadre d’Europa) e dagli appassionati che assistono agli spettacoli della Scala vera o del Piccolo Teatro (tra le strutture culturali più prestigiose nel mondo), c’è da aggiungere un’altra cosetta capitata in questi giorni. La signora Pusterla ha spiegato che il Comune di Como venderà le sue quote della Serravalle. Molto bene. Se non che, se l’operazione si farà è perché la Provincia e il Comune di Milano hanno deciso di mettere sul mercato le loro quote e hanno offerto anche a noi di essere della partita. Salvando Como da una ulteriore svalutazione delle sue quote. Lo si è deciso a Milano. Strano che questa volta nessuno abbia avuto niente da obbiettare». [Emilio Russo]

5 thoughts on “Con Monza una grande provincia

  1. Emilio non si ricorda che i comaschi si allearono con il Barbarossa contro i Milanesi… ;-)

  2. Me l’aspettavo. Tu sollevi l’argomento con ironia ma temo che per molti sia l’unica freccia all’arco di molti. Istituzioni comprese, il che è piuttosto avvilente.

  3. Da quanto ho capito io, il problema non era con o senza Monza, il problema stava nel fatto che sarebbe stato poco auspicabile che Monza diventasse capoluogo, vista l’assenza delle sedi istituzionali (e giù soldi, alla faccia della spending reviw) e la vicinanza con Milano…e poi non mi torna qualcosa nel sentir definire “bassa qualità del ceto politico comasco” detto da un esponente del PD di Como…bhè faccia qualcosa visto che rientra nella categoria

    1. Ognuno ha i suoi (legittimi) punti di vista. A me sembra che la paranoia nei confronti della metropoli sia una patologia grave, considerato che siamo, storicamente, un pezzo del Ducato di Milano e che “pendoliamo” in massa su Milano senza peraltro avere sedi e occasioni per negoziare lo scambio di funzioni con l’area comasca. Che non è solo, vorrei ricordarlo, il suo triste capoluogo concentrato sui riti quaresimali di strade chiuse, fuochi negati e pulizie domenicali una tantum della città.
      Quanto all’ “esponente del PD di Como”, suvvia, non esageriamo con gli improperi.

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