Dante era antifascista

Colluttazione Via ZamboniwebDomenica otto novembre, il giorno dopo l’anniversario della battaglia di Porta Lame tra partigiani e fascisti, Salvini parla in piazza Maggiore, nel cuore di Bologna. Il leader della Lega Nord estende l’invito a Giorgia Meloni (Fratelli di Italia), Silvio Berlusconi e a Casa Pound. La piazza è lasciata in concessione dal sindaco del Pd, Virginio Merola. In città la protesta si solleva.

«Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? … sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime».

Di chi parla Antonio Gramsci? Forse è il caso di destrutturare un po’ la frase. È stata una lunga giornata. Ho le ossa rotte, ma nessuna carica mi ha raggiunto. È solo che ho attraversato più volte la città, scendendo concentricamente, in un viaggio che ora mi sembra davvero ultra corporeo.

So che potrò contare sulla vostra indulgenza, che non vorrete mettere in croce questi liberi tentativi di tradurre in pratica tutta la cultura che sto assorbendo. Perché per chi ha vissuto in provincia, per un comasco–andino come me, Lettere Moderne e Bologna sono un patrimonio per il pensiero, ma dopo più di un mese di studi e approfondimenti sui temi, pulsa più forte che mai la domanda: “ma tutta questa cultura, a cosa serve?”. In città in questi mesi ci sono tante iniziative su Pasolini, e allora, come si fa a leggere Pasolini e non scendere in piazza? Come si fa a non marciare contro il fascismo, quello conosciuto e quello nuovo di Salvini, e contro la nuova Dc che ci governa?

Eccoli qua i primi di cui parla Gramsci, riconoscibilissimi tra le sue righe, quelli che Dante chiama ignavi. Ma bisogna fare attenzione a non immaginarseli solo seduti a guardare Mediaset in televisione, a bersi un caffé o a fare una passeggiata sui colli. Tanti hanno anche libri tra le mani, citano i classici e dicono che avere degli ideali è da bambini, o da vecchi nostalgici. Sono così attenti nel rendersi inattaccabili, nel non sporcarsi le mani, che si affidano ad idee che vanno in tutte le direzioni: la risultante delle forze è zero. Nessun movimento reale, corse senza posa, poco amore. Insetti che sfregiano la faccia e lacrime che sono cibo per i vermi. È da loro che inizia il mio viaggio, loro che nei cortei non c’erano perché non valeva la pena compromettersi.

Se si isola il rumore della sveglia (le pale degli elicotteri che sorvolano la città), le vie periferiche, alle 9.30, sono stranamente silenziose. Sembra che i muri siano in allerta: la frenata di un bus, il fischio del padrone che chiama il suo cane, una serranda che sbatte. Ogni rumore sembra il segnale dell’inizio di qualcosa che fenderà definitivamente il cielo, l’azzurro di questa calda mattina di un novembre anomalo, per non lasciarlo mai più. Questo perché è tutto annunciato, quando Salvini sceglie una città dove la lega non ha nemmeno una sede, in una data così significativa, per parlare in una piazza che merita due righe in più di menzione. Quando il 21 aprile del ’45 la città fu liberata, le donne posero spontaneamente dei fiori davanti alla parete ai lati del Nettuno, dove i fascisti avevano fucilato un gran numero di partigiani. Da quel momento in piazza Maggiore c’è un santuario delle vittime della resistenza. Una tensione diabolicamente studiata.

E poi inizia, sono dei ragazzi del “movimento per la casa” che accendono un fumogeno, la mia prima immagine. Ci si rende subito conto che ci sono tanti cortei diversi. Identifico un piccolo gruppo di “rifondazione comunista”, un gruppo che vuole lo scontro, un gruppo di ragazzi che sembrano i più “moderati”, ma ce ne sono degli altri. Fino alle 11 passate si aspetta che la gente si concentri. Faccio la spola tra i tre punti, poi mi incammino con i “moderati” che partono da piazza XX Settembre.

In testa a questo corteo sfila uno striscione con disegnato un Nettuno, che inforca con il suo tridente il simbolo leghista. La statua del Nettuno, che per l’occasione hanno recintato con le transenne, che si trova in piazza Maggiore. Dio delle acque, ma anche delle correnti e dei terremoti. Il Nettuno che la chiesa dell’epoca ha provato a censurare (troppo esplicite le sue nudità), e che il suo scultore Giambologna ha fornito del pollice della mano sinistra, che da una particolare angolazione sembra sia un fallo in erezione. Una divinità greca, per cui con gli stessi vizi e le stesse passioni degli uomini. Avevano già provato una volta a reprimere la sua naturale umanità, ciò che lo lega alla vita, e avevano fallito; è Il guardiano di un cerchio dantesco? No, solo un giovane manifestante, attivo e rivoltoso, ma che in un eccesso di “umanità” può anche sbagliare.

E infatti l’errore è palese. Il corteo di coloro che cercano il conflitto si concentra sul ponte di Stalingrado, un imbuto che porta dritto a un massiccio posto di blocco. Tutto studiato, da parte dei manifestanti (da quella della polizia è scontato), per ingaggiare il corpo a corpo. Se solo si fossero messi da parte tanti piccoli protagonismi, e ci si fosse sporcati le mani insieme, forse sarebbe stato possibile raggiungere piazza Maggiore in massa. Invece si è costretti a lasciare indietro queste persone, che sono poi i secondi di cui parla Gramsci. Sono coloro che “bestemmiano oscenamente”, che hanno il piccolo coraggio che richiede l’attimo di violenza, quello in cui si tira una bomba carta o una pietra, ma non di perpetuare con la testa la lotta. Dante li mette nel quinto cerchio, tra gli iracondi, che immersi nella palude dello Stige menano indistintamente gli altri e se stessi (o la causa).Sono caricati selvaggiamente dalla polizia, che temendo un accerchiamento carica anche in direzione del corteo più moderato, sopraggiunto per congiungersi e rimasto immobile nell’impossibilità di liberarli.

Bisogna raggiungere il centro, con alcuni dispersi ma si continua a marciare. Con degli amici ritrovati sul cammino ci si fa forza, si stempera la tensione, siamo ancora in tanti, ma appena imbocchiamo la storica via Zamboni l’ennesima fatica.

Black BlockwebDopo aver acceso alcuni fumogeni, un gruppo di ragazzi si avvolge in uno striscione, si cambiano d’abito con dei vestiti neri e riempiono gli zaini con ciò che avevano prima addosso. È di nuovo scontro, bombe carta, gente che corre. Si differenziano dagli iracondi, sono Gerione in persona, il mostro infernale con la faccia da giusto e un corpo di triplice natura, culminante con una coda nascosta di scorpione. Si mimetizzano, entrano in azione, strumentalizzano. Sono dei maledetti. Gerione è il simbolo della frode, colui il quale Dante deve cavalcare per scendere e continuare verso il punto più profondo del mondo.

Piazza Maggiore

Frase Facista Sul NettunowebC’è un manifesto che parafrasando dice «camerata, l’ora delle decisioni irrevocabili…» appeso proprio sulle transenne che circondano il Nettuno, di lato il santuario dei resistenti. Risuonano macabre nella testa le parole con cui i fascisti, schernendo, chiamavano la piazza delle fucilazioni: «la piazza del ristoro dei partigiani». I leghisti arrivati da fuori sono tanti, il comizio è finito e guardano tutti il moto gp sul maxi schermo.

Qui tra il mio piccolo gruppo di compagni, con cui ho raggiunto la piazza in maniera indipendente, regna un silenzio di rabbia e sgomento. Un ragazzo prova a staccare il sudicio banner, l’ira di un camerata leghista lo investe «fallo e ti stacco la testa!». Si avvicina e lo prende per la maglietta, si avvicinano le forze dell’ordine, ci avviciniamo anche noi. Ci stendiamo sul cartellone così che nessuno lo veda, così che le famiglie non possano scattarsi le foto sorridenti con l’apologia al fascismo (reato costituzionale). Le forze dell’ordine lo staccano, «tanto è tutto finito».

Poi arriva qualcuno dai cortei più grossi, qualche coro pacifico, la polizia che fa una mini carica ma dalla parte sbagliata, difendendo i leghisti.

Servirebbe un cappello conclusivo per chiudere questo articolo, ma non c’è. Non sono assolutamente Dante, non so dar un corpo unito a queste parole; sono sicuramente peggiore di ogni personaggio citato. Da questo inferno tutto laico nesono uscito scosso e spossato, ma era importante esserci. Perché più le idee che ti muovono, quelle di cui sei innamorato, sono messe in pericolo, più ci si deve riappropriare delle città. E come esseri umani più veri, cioè che per definizione cercano qualcosa di più, non dobbiamo perdere contatto con la gente. [Stefano Zanella, ecoinformazioni]

 

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