Consiglio comunale/ La Giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione

mano-migrantiwelcome-grLa Preliminare di Celeste Grossi al Consiglio comunale del 3 ottobre.  «”Dovremmo protenderci nel Mediterraneo come ’arca di pace’, non come un ’arco di guerra’”. Diceva, inascoltato, trent’anni fa don Tonino Bello. 

Oggi è la prima giornata nella quale nel nostro Paese si ricordano anche istituzionalmente le migliaia di vittime dell’immigrazione. Il 16 marzo 2016 è stata infatti approvata la legge che istituisce in questa data la Giornata della Memoria delle vittime dell’Immigrazione, perché il 3 ottobre del 2013, al largo dell’isola di Lampedusa, 368 persone morirono annegate.

Quelle morti, e tutte le altre che le hanno precedute e seguite, lasciano attoniti. Eppure è necessario avere il coraggio di nominarle, di ricordarle, di narrarle. Il coraggio del dolore e del lutto, per evitare altre morti e altre tombe marine. Il rischio, però, è che dopo un minuto rituale di silenzio,  le vittime del nostro egoismo smettano di interrogarci su quanto il nostro paese e l’Europa tutta abbiano smarrito il senso di umanità.

Nell’ultimo anno, a causa della progressiva chiusura delle frontiere, le vittime sono aumentate: dall’inizio del 2016, sono più di 3.500 i morti: uomini, donne, ragazzi, ragazze, bambini, bambine.

Ognuno di loro, proprio come noi, ha avuto una donna che gli ha dato la vita e adesso ha una striscia d’acqua a scarnificarne il corpo e a trasportarne le ossa. Dei loro nomi non sappiamo, delle loro storie nemmeno.

Come molti dei giovani accampati alla stazione e nel prato di San Giovanni, prima, e in via Regina Teodolinda, poi, i morti di Lampedusa del 3 ottobre di 3 anni fa provenivano dal Corno d’Africa, in prevalenza dall’Eritrea, da cui migliaia di persone, in cerca di futuro e pace, continuano a fuggire dalla dittatura del presidente Afewerki, che dura dal 1993.

Pensare di costringere le loro aspirazioni umane entro i muri e i cancelli  del nostro egoismo e della nostra mediocrità, pigra e incattivita, è semplicemente dissennato perché oltre ad andare nella direzione opposta a quelle dei loro desideri, va nella direzione opposta del momento storico. Nessuno può fermare una fiumana di uomini e donne che bussano alla nostra porta in fuga dalla miseria, dalla sofferenza, dalla guerra di cui spesso siamo responsabili noi. C’è una responsabilità collettiva della nostra società ricca ed una, più pesante, di chi ricopre ruoli istituzionali e ha il potere di produrre, con le proprie scelte, conseguenze concrete sulla vita delle persone.

La politica dei muri ha comportato un aumento delle cifre richieste dai trafficanti a chi cerca di raggiungere le coste europee e soprattutto un aumento dei rischi nella ricerca di nuove rotte. Il Mediterraneo, diventato un enorme cimitero a cielo aperto, continua a essere la rotta più pericolosa: solo nel naufragio avvenuto il 21 settembre scorso davanti alle coste egiziane sembra ci siano stati più di 300 i morti.

La disumana cancellazione del principio di non respingimento, previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sul diritto d’asilo, ha reso il Mediterraneo un mare di morte. In Europa è in corso una guerra. La guerra contro gli esclusi.

Solo corridoi umanitari sottrarranno alla criminalità le vite di migliaia di persone. Invece, i governi europei, compreso quello italiano, stringono accordi con i governi dei paesi di origine e di transito, per chiudere ogni possibilità, anche illegale, di arrivare in Europa (di vie legali per chi chiede protezione o cerca lavoro, come è noto, la legislazione non ne prevede, obbligando i migranti a mettersi nelle mani dei trafficanti per raggiungere l’Europa).

In Italia e in Europa ci si arrampica sulle parole: “Sì ai profughi, no ai clandestini”. Per anni la parola “clandestino”, nel nostro Paese e nel nostro territorio, è stata usata come sinonimo di pericoloso criminale. Noi non accettiamo che il mondo venga diviso in clandestini e non. Ci sentiamo cittadini del mondo per caso nati in Italia. L’unica razza che conosciamo, proprio come Albert Einstein, è la razza umana.

Il recente accordo, firmato ad agosto dal capo della polizia italiana Gabrielli con il suo omologo sudanese, consente addirittura il rimpatrio di persone (48 sono state rimpatriate il 24 agosto), provenienti da una regione, il Darfur, dove è noto che uomini, donne, ragazzi, ragazze vengono perseguitati e uccisi da bande paramilitari direttamente legate al governo.

Non vogliamo essere complici di leggi che hanno  costretto quelle persone, in cerca di sicurezza per sé e i propri figli, ad un viaggio mortale. Quelle persone che non incontreremo mai sarebbero potute diventare nostre concittadine.

Continueremo ad impegnarci, per loro e per la nostra umanità per garantire accoglienza e protezione sul nostro territorio a chi è riuscito ad  arrivare, sta arrivando, arriverà. Continueremo a chiedere che siano aperti subito canali umanitari in entrata e in uscita dall’Italia perché vogliamo vivere in un paese, in un territorio, in una città viva. Che dica chiaro che c’è un’altra Italia, un’altra Lombardia, un’altra Como. E siamo anche noi». [Celeste Grossi, consigliera comunale Paco-Sel]

Successivamente, in apertura della seduta, su proposta della consigliera del Pd Patrizia Lissi si è osservato un minuti di silenzio in memoria delle vittime dell’immigrazione.

 

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