Un filo da me all’altro: condivisione nella ricerca filosofica

Nella serata di lunedì 13 novembre si è tenuta, presso il Circolo Arci Xanadù, la presentazione di Con il sigaro in bocca, l’ultimo libro di Gianfranco Giudice, filosofo e professore del Liceo Paolo Giovio. Mediatori dell’incontro: Serena Scionti e Umberto Imperiali, a loro volta professori del Liceo Giovio e Filippo Casati, laureato in filosofia.

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Con il sigaro in bocca è un titolo che vuole segnalare con precisione l’interessante connubio sotteso all’intero dialogo filosofico: un gioco di tensione tra l’astrattezza della speculazione filosofica e la concretezza della vita. Il sigaro infatti è qualcosa di estremamente concreto e materiale, ma è anche il simbolo di un’attitudine e di uno stato mentale. L’autore stesso rivela che nel momento in cui fuma i suoi amati sigari, rigorosamente toscani, si sente più propenso ad assaporare la lentezza del pensiero, la riflessione.

Non a caso il sottotitolo del libro è Dialogo con mio figlio sul senso della vita. Benché la forma dialogica sia in parte un escamotage letterario e in parte stralci di conversazione realmente avvenuti col figlio, presente all’incontro di lunedì sera, l’autore rivela che ogni esperienza raccontata e utilizzata come spunto di riflessione all’interno del libro è realmente avvenuta nel suo passato. L’autore infatti si propone un obiettivo arduo da raggiungere, ma senza dubbio encomiabile: parlare di filosofia con un linguaggio semplice, comprensibile anche a chi di filosofia abbia avuto poca esperienza. Tra i destinatari dunque non mancano i coetanei del suo interlocutore, il figlio, ovvero i giovani con i quali Gianfranco Giudice, in quanto professore, si relaziona ogni giorno. Nell’aprire il dibattito Serena Scionti, a sua volta professoressa al Liceo Giovio, ha sottolineato come questo libro sia denso di oggetti concreti che profumano di vita quotidiana. Primi fra tutti i pasti condivisi tra padre e figlio, che fanno da sfondo al dialogo filosofico, intessendolo della concretezza di una condivisione di esperienze e ricordi, un passaggio di testimone da padre a figlio.

E nemmeno il verbo intessere è usato casualmente: tra le tante metafore suggerite nel corso del dialogo balza all’occhio, come suggerisce Umberto Imperiali quella del filo. Ad un pubblico vivace, costituito prevalentemente da giovani, Gianfranco Giudice racconta come nel corso della sua riflessione filosofica abbia sempre cercato di dipanare un filo in grado di rendere conto del senso della vita, senza mai perdere di vista la linea dell’orizzonte. Vero tema che fa da sfondo al libro è infatti la domanda sul senso, una domanda che costituisce per l’autore l’orizzonte della propria esperienza. Un orizzonte inteso come linea mobile, che si sposta in funzione della nostra crescita, tanto interiore quanto esteriore. Un orizzonte che per l’uomo, sostiene Gianfranco Giudice, è una vera necessità: il bisogno cioè di tendere verso qualcosa che vada oltre l’immediatezza, il bisogno estremamente concreto di costruirlo, questo senso.

Questo percorso di ricerca è condiviso attraverso le parole e i ricordi in primo luogo con il figlio, ma soprattutto è condiviso con l’altro. Un altro che spesso, confessa l’autore ridendo, è persino sconosciuto. E’ la sua passione per gli incontri occasionali che qui si rivela: quelli di qualche minuto sul treno, per strada, al bar. Incontri che hanno come unico scopo il piacere del dialogo, della conversazione fine a se stessa, e che però sanno sempre arricchire i due interlocutori. È infatti nella condivisione che secondo l’autore si può davvero trovare un senso, proprio perché l’essere umano stesso altro non è se non relazione. A titolo di esempio cita la sua esperienza da insegnante: «il senso di quel che si insegna lo si scopre nel momento stesso in cui lo si insegna» e non manca di sottolineare quanto un buon insegnante sia in grado di lasciare un segno nell’anima dei propri alunni, cambiando talvolta la loro vita. Anche nel suo dialogo il narratore non si pone come maestro, ma come interlocutore in grado di cogliere con umiltà la reciprocità dell’insegnamento dato. Gianfranco Giudice, che tanto ama parlare con l’altro, chiunque quest’altro sia, è come un Socrate dei giorni nostri, senza però le pretese nascoste in questo ardito paragone, (che gli viene ironicamente rifilato nel corso del dibattito stesso). Un Socrate che non si stanca di curiosare nella mente dell’altro, un Socrate in grado di meravigliarsi con estrema sincerità di quello che l’altro ha da raccontare, si tratti di un breve intercalare sul tempo o di un ricordo lontano dell’esperienza fatta sotto la dittatura di Franco in Spagna.

L’onestà nel riflettere sulle esperienze vere di una vita veramente vissuta è accompagnata da una sottile autoironia, che ben aiuta il lettore a figurarsi l’immagine del narratore con cui finisce per dialogare a propria volta. Un dialogo che tra l’altro punta la luce su un aspetto peculiare della ricerca filosofica: «Nella filosofia contano più le domande e porle nel modo giusto, piuttosto che le risposte» spiega l’autore parlando della domanda intorno al senso dell’esistenza. Perché di fatto la risposta è solo un’occasione per porre nuove domande e ricominciare il viaggio. E quando Filippo Casati gli chiede se questo senso esista davvero o se si tratti solamente di una nostra costruzione, Gianfranco Giudice risponde, tra l’altro, con una citazione da Vasco Rossi: «Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha».

I suoi studenti, quelli presenti, ridono del modo di fare di questo prof che non ha paura di usare il linguaggio della vita di tutti i giorni per trattare di questioni profonde. Sono infatti loro i principali interlocutori anche nel corso del dibattito, durante il quel pongono numerose domande. «Come si è evoluta nel tempo la sua domanda sul senso?» Gianfranco Giudice risponde raccontando la propria personale ossessione per la questione relativa al tempo, che lo accompagna fin da giovane. E se da giovane il tempo per lui rappresentava «Velocità e ansia», ora, col passare degli anni, costituisce una dimensione entro la quale ci è dato di costruire il senso. «Qual è la domanda che preferisce fare ad un estraneo?» L’autore spiega che ciò che conta, più che l’argomento della domanda in sé, è la volontà di instaurare un dialogo, di parlare e ascoltare, di prestare attenzione all’altro. La voglia di raccontare è in fondo uno dei bisogni primari per gli uomini, perché permette loro di lasciare qualcosa di se stessi agli altri, di salvare qualcosa della loro esperienza. «Si può considerare il senso della vita come una ricchezza personale data dal rapporto con l’altro e che costituisce però una dimensione egoistica?» domanda una sua alunna e il professore risponde spiegando che è proprio questa dimensione egoistica a permetterci di realizzare la nostra essenza. Ed è proprio la socialità che ci permette di arricchirci, anche a scopo egoistico, sebbene ai nostri giorni la dimensione della socialità sia estremamente depauperata. Ed è forse in questo impoverimento del rapporto con l’altro che può essere ricercata la radice di molti dei problemi che affliggono la società odierna, sottolinea Gianfranco Giudice. Ma l’ipotesi resta in sospeso e chissà che la lettura del suo libro non possa suscitare ulteriori riflessioni al riguardo.

Il libro di Gianfranco Giudice è, in ultima sintesi, un libro profondo che si pone l’obiettivo di mostrare il legame intrinseco tra filosofia e vita e di trasmettere l’urgenza di una ricerca filosofica che ha spinto il suo autore fin dalla giovinezza. Con il sigaro in bocca vuole spogliare la filosofia di quell’aura di tecnicismo che è la sua condanna, per far sì che possa aprirsi ad una razionalità condivisa, anche con i più giovani. E forse il messaggio che maggiormente è trapelato dal dibattito di lunedì sera è che non dobbiamo mai dimenticarci che la nostra ricerca, quale che sia la domanda, è sempre accompagnata dalla presenza degli altri, con i quali ci troviamo a condividere porzioni del nostro percorso: è nel rapporto con l’altro che possiamo costruire il senso della nostra esistenza. [Martina Toppi, ecoinformazioni]

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