
Dalla Sicilia alla Rai: la lotta antimafia di Procaccianti
La sala consigliare di Ponte Lambro ha accolto nella serata di mercoledì 11 aprile il secondo della serie di incontri 4 colpi alla ‘Ndrangheta, con Danilo Procaccianti, giornalista Rai autore di diverse inchieste sulla mafia, e Vittorio Colombo, caporedattore de La Provincia di Lecco, che ha condotto e moderato l’incontro.
Argomento della conferenza è stata l’esperienza sul campo del giornalista, che ha vissuto nella Sicilia martoriata dagli omicidi Falcone-Borsellino e, da professionista, si è impegnato nella realizzazione di reportage sulla mafia 2.0 vista dal Sud Italia e non solo.
Dopo la rituale apertura da parte delle autorità locali e la presentazione del progetto Vittime di mafia, di cui è capofila il Comune di Como, da parte del presidente del Circolo ambiente Ilaria Alpi, promotore dell’iniziativa, Vittorio Colombo ha preso parola.
Ilcaporedattore de La Provincia di Lecco ha ritenuto importante stilare una breve cronologia della mafia al Nord.
Individuando la radice di questo male nel provvedimento del soggiorno obbligato dei criminali del Sud nelle regioni del Nord, risalente agli anni ’70, non si può negare che la prima forma di associazione a delinquere fosse quella «della porta accanto, l’anonima sequestri, quando i figli di mobilieri e imprenditori venivano in classe sotto scorta, se non camnbiavano direttamente scuola». Da lì, il crimine si è evoluto, corrompendo il tessuto imprenditoriale e dando alla luce, secondo Colombo, «la mafia del so ma non ho prove».
La vera svolta è arrivata con l’ormai celeberrima inchiesta Wall Street (quella della pizzeria Fiore a Lecco, già citata in vari incontri precedenti), alla fine dell’agosto 1982, che ha visto coincidere la figura dell’imprenditore Franco Coco Trovato con quella del mafioso che impiegava sul ramo orientale del Lago di Como i soldi sporchi accumulati altrove. Fa sorridere amaramente il fatto che ora Coco Trovato abbia a proprio carico 4 ergastoli e, da carcerato, abbia conseguito una laurea in giurisprudenza con tesi sulla disumanità del 41 bis.
La linea del tempo di Colombo prosegue col 1994, anno dell’Operazione fiori di san Vito, che ha portato a 370 iscrizioni nel registro degli indagati. Si arriva, con un considerevole salto in avanti, al 2010, e all’operazione Crimine-Infinito,«la madre di tutte le operazioni antimafia del terzo millennio», che ha portato a 300 arresti in Italia, 160 in Lombardia e 50 in Brianza. Infine, nel 2014 l’Operazione Insubria ha portato a 50 arresti, mentre la mafia politica è stata messa a nudo con l’Operazione Metastasi, che ha portato all’arresto di un consigliere comunale del Pd lecchese, all’indagine del sindaco di Valmadrera e all’arresto del boss Mario Trovato, fratello del tristemente noto Franco.
Terminato il riassunto storico, il moderatore ha lanciato il video introduttivo dell’inchiesta Mafia al Nord, con cui introdurre Procaccianti.
Al termine del filmato, il giornalista della Rai ha constatato che sebbene la mafia si combatta sicuramente con incontri come quello di mercoledì sera, la questione illegalità avrebbe potuto essere stata presa in mano molto prima, almeno dagli anni ’80.
In quasi quarant’anni, la criminalità organizzata ha smesso la coppola e il dialetto siciliano in favore di un controllo quasi capillare dell’Italia, grazie a un’organizzazione fittissima, costellata di scatole cinesi, figure fantasma (i santisti, uomini di collegamento tra i grandi capi e il mondo politico) e giri di denaro sporco internazionale.
Non è un caso che l’unica organizzazione in grado di trattare da pari con i cartelli della droga sudamericani sia la ‘Ndrangheta calabrese.
Certo, il mondo imprenditoriale, quello dei rifiuti e il traffico di denaro sono ancora campi d’interesse della mafia, ma la partita si gioca ormai quasi interamente nei palazzi politici, tramite la corruzione.
Aiutato da un atteggiamento molto spigliato e colloquiale, Procaccianti si è concesso anche un paio di domande provocatorie alla sala: «Qualcuno di voi ha sentito parlare di mafia in campagna elettorale? Se qualcuno ne ha sentito parlare, da Salvini magari, me lo dica che io me lo sono perso. Chi ne ha parlato? Nessuno, il problema sono gli immigrati…».
La ragione del silenzio politico sul tema e lampante: la mafia fa girare l’economia, ha addirittura salvato banche internazionali,salvando dal tracollo, in tempo di crisi, interi Paesi.
Vittorio Colombo ha chiesto all’ospite una riflessione sulla propria esperienza di siciliano che, entrato nel mondo del giornalismo, si è dedicato alle organizzazioni mafiose.
Procaccianti ha ricordato allora due episodi chiave della sua giovinezza. Da un lato la distruzione del simbolo della Sicilia, Falcone, la cui morte ha generato una vera e propria rivolta da parte dei siciliani, per quanto purtroppo breve; dall’altro, un’intimidazione subita dalla sua stessa famiglia, che gli ha fatto capire la necessità di reagire, di dimostrare che non si è spaventati da quei criminali.
Criminali, tra l’altro, che vivono una vita orribile, sparandosi tra loro, arroccandosi come vermi in bunker sotterranei e conducendo un’esistenza di stenti, dato che i soldi sono tutti impiegati per le infiltrazioni nei luoghi di potere. La loro forza è dunque una potenza fallace, prepotente; «questo dovrebbe bastare a scatenare la nostra rivolta,una rivoluzione silenziosa».
Quanto al legame di nascita con le terre d’origine delle associazioni delinquenti, la conoscenza dei meccanismi locali ha portato Danilo Procaccianti a sapersi muovere nei paesini funestati dall’illegalità e a guadagnarsi la fiducia di alcuni dei membri delle cosche avvicinandosi, seppur nella ristrettezza di tempo di un incontro, alla loro psicologia, a ciò che porta una persona sulla strada del crimine.
Certo, in Sicilia e Campania, con Cosa nostra e Camorra in difficoltà, è relativamente più agevole instaurare rapporti di non sfiducia, mentre in Calabria è pressoché impossibile farsi rivolgere la parola.
Le ultime domande hanno trattato il legame mafia-massoneria, parlando del quale è emersa l’importanza di rivedere il sistema giuridico per impedire a chi collabora con la criminalità organizzata di cavarsela con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, e la debolezza dei sistemi legislativi nazionali, in alcuni Paesi totalemente assenti a riguardo.
La serata si è conclusa con le domande del pubblico, tutte incentrate su ciò che i semplici cittadini possono fare. La risposta, come era già emerso dagli incontri tenutisi nell’inverno 2017, è molto difficile a darsi: cogliere le occasioni per informarsi è necessario, denunciare in caso di subite intimidazioni anche, ma oltre questo è difficile andare.
Comunque, ha sottolineato Procaccianti, bisogna essere attivi contro l’illegalità, laddove è possibile. Un esempio virtuoso in questo senso arriva dal figlio del cugino di Matteo Messina Denaro, che quando suo padre e il tristemente noto Denaro sono stati arrestati ha avviato una forte campagna antimafia, che porta avanti nelle scuole e ovunque venga invitato a parlare.
Invitato a lanciare un messaggio ai giovani, il relatore ha esortato a «incazzarsi, ma col sorriso»; se la realtà che ci circonda è ingiusta, bisogna spendersi per renderla più equa e, possibilmente, meno mafiosa: «Chi prova a cambiare è il più rivoluzionario». [Pietro Caresana, ecoinformazioni]
Già on line sul canale di ecoinformazioni anche tutti gli altri video dell’iniziativa.
Grazie per il puntuale e ottimo articolo, bravissimo Pietro Caresana.
Due correzioni se potete:
– Vittorio Colombo, è caporedattore (e non direttore) de La Provincia di Lecco
– c’è un refuso “Parravicini “, anzichè “Procaccianti”.
grazie ancora.
Roberto