
Costruire una comunità monitorante
Si è conclusa il 14 luglio ad Avigliana (To) la terza edizione di Scuola Common, corso per attivatori di comunità monitoranti organizzato dall’associazione Libera in collaborazione con Gruppo Abele e Master Apc dell’Università di Pisa, cui hanno partecipato una sessantina di persone, tra studenti e attivisti, provenienti da svariate regioni italiane.
Ma che cos’è una «comunità monitorante», qual è il suo scopo e come funziona? Per rispondere è prima necessario chiedersi in che modo sia possibile verificare che gli adempimenti della pubblica amministrazione siano realmente avviati e possibilmente conclusi non in tempi biblici come spesso avviene.
In Italia la consuetudine del silenzio sugli atti amministrativi cominciò a cambiare con la legge n. 816 approvata nel 1985 che riconosceva a tutti i cittadini il diritto di prendere visione dei provvedimenti emessi da alcuni enti locali, quali province e comuni, e da enti territoriali come le comunità montane e le Unità Sanitarie Locali. La svolta definitiva avvenne quando il diritto di accesso diventò parte di una disciplina di tipo generale con la legge n. 241 del 7 del agosto 1990, in seguito emendata dalla legge dell’11 febbraio 2005 n.15 e dal conseguente Regolamento (Dpr 12.4.2006 n. 184).
L’esistenza di leggi in materia di accesso amministrativo, tuttavia, non sono spesso sufficienti per garantire che numerosi atti, principalmente di interesse pubblico, siano effettivamente portati a termine. E i partiti, che il cittadino ha delegato con lo scopo di salvaguardare i propri interessi e quelle istanze secondo lui necessarie a rendere la società migliore, spesso lo hanno tradito, disperdendo energie spese quasi esclusivamente in lotte di potere e comportamenti corrotti.
Da qui nasce l’intuizione del Gruppo Abele di importare in Italia un sistema di controllo civico basato sulla comunità (monitoring based community) introdotto nel 2005 dal governo indiano per per garantire che i servizi sanitari e ambientali raggiungano coloro per i quali sono destinati, specialmente per coloro che risiedono nelle aree rurali, i poveri, le donne e i bambini.
«La legge 106 affida alla società civile la responsabilità di monitorare il territorio – afferma Leonardo Ferrante di Gruppo Abele, ideatore del modulo italiano e instancabile promotore del progetto -. Bisogna affidare il ruolo di controllo a più persone possibile. Per tale motivo abbiamo ideato una sorta di “bussola” in grado di orientare chi desideri intraprendere questa importante attività».
Il monitoraggio civico è dunque una forma di controllo pubblico, idealmente guidato dalle esigenze di informazione locale e dai valori di una comunità, per aumentare la responsabilità e la qualità dei servizi sociali come salute, aiuto allo sviluppo, per contribuire alla gestione delle risorse naturali. Funziona così: i membri di una comunità seguono un iter amministrativo con i relativi impatti locali e generano richieste, suggerimenti, critiche e dati su cui poi agiscono, anche “illuminando” i dati di cui la pubblica amministrazione necessita e supportandola nel gestire e concludere il processo.
Il monitoraggio mira non solo a produrre informazioni appropriate per l’erogazione di servizi di alta qualità, ma anche a rafforzare il processo decisionale locale, l’istruzione pubblica, la capacità della comunità e l’effettiva partecipazione al governo locale. In definitiva è uno strumento per facilitare un processo decisionale più inclusivo su questioni importanti per i membri di una comunità, compresi aspetti sempre più complessi di fattori sociali, economici e ambientali.
L’Italia come è noto è uno dei Paesi più corrotti al mondo, e Libera pensa soprattutto di fare del monitoraggio civico uno strumento educativo in chiave anticorruzione. «Nel 2008 ci si accorse che nel Paese di Tangentopoli e della strage di Capaci non esisteva ancora una scuola contro la corruzione – osserva Alberto Vannucci, uno dei massimi esperti italiani di corruzione nonché docente universitario responsabile del Master Apc di Pisa – così realizzammo di primo Master in analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e corruzione».
L’idea è ora di farne un master itinerante e un centro interuniversitario di ricerca. Per il prossimo anno accademico l’Università di Pisa ha già stretto accordi con altri atenei, dato che su questo corso post-laurea si è concentrato un certo interesse. «Su molti fronti tira una brutta aria – continua Vannucci -: sul versante anticorruzione esiste un tentativo di ripensamento con il sottaciuto obiettivo di ridimensionare l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione, ndr). A fronte della riforma che era stata introdotta si tende invece a recuperare il modello Lunardi, che come ministro dei Lavori pubblici ha introdotto la privatizzazione delle opere pubbliche, con tutto ciò che ne consegue.
«Bisogna invece contrastare questa tendenza al revisionismo. D’altra parte i diversi tipi di corruzione testimoniano la sua capacità di contaminazione. Scuola Common è unos strumento molto efficace di controllo “dal basso” e costituisce un percorso cruciale per controllare non solo la corruzione, ma anche la cattiva amministrazione che spesso la genera. E proprio in Italia, patria del familismo morale, è importante la natura civica e il nascere di cerchie sociali di riconoscimento del sistema di valori che sostiene il rispetto della legge, come intuì già nel 1992 il sociologo Alessandro Pizzorno», conclude Vannucci.
Durante i quattro giorni di permanenza presso la Certosa 1515, incantevole ex monastero rinascimentale che il Gruppo Abele ha recuperato e destinato a «luogo di sosta e di pensiero», i partecipanti hanno appreso come generare e manutenere comunità monitoranti, orientarsi attraverso il racconto delle progettazioni concrete di Common, progettare l’impatto di un’azione strutturata, saper decifrare il contesto riconoscendo rischi opacità e corruzione, saper raccontare e farsi raccontare bene.
E, naturalmente, hanno approfondito le attività di Libera sui temi dell’anticorruzione, dal whistleblowing (una recente legge che mira alla tutela dei lavoratori che segnalano attività illecite nell’amministrazione pubblica o in aziende private) alla concreta realizzazione di una comunità monitorante sul territorio.
Denso e importante l’elenco delle personalità che hanno partecipato all’attività formativa, di persona e in videoconferenza, tutte impegnate in prima linea nella lotta controla corruzione, quali i già citati Ferrante e Vannucci, lo scrittore Andrea Franzoso, l’avvocato Enza Rando, Francesca Rispoli, Michele Gagliardo (Libera), Angela La Gioia (Università della strada), il docente Lucio Pucci (Università di Bologna), i sociologi Rocco Sciarrone e Vittorio Martone (gruppo Larco) dell’Università di Bologna, l’avvocato Chiara Ciociola (Monithon), Francesco Vignola (responsabile del dipartimento formazione di Avviso Pubblico), la giornalista Rosy Battaglia (Cittadini reattivi), il regista Enzo Bevar (Cinemovel), Cinzia Roma (Ipact Sibari), Massimo Brunetti (Illuminiamo la salute), Riccardo Falcone (sito Confiscati bene 2.0), Simona de Luca (Dipartimento politiche di coesione), nonché rappresentanti di comunità monitoranti già attive di Palagiano, Sibari e Pavia.
Come noto, Libera è un’associazione di associazioni, ed è soprattutto all’interno di quelle che ne fanno parte, oltre che ai singoli attivisti, che individua il bacino d’utenza della sua innovativa proposta di controllo civico. Chiunque sia interessato a costituire una comunità monitorante a livello locale, o per saperne di più, può contattare il coordinamento provinciale di riferimento (a Como: como@libera.it ; https://www.facebook.com/liberacomo/). [Fabio Germinario per ecoinformazioni]