
Mio fratello è africano
Il nome della Onlus chiarisce già pienamente il senso dell’azione sociale, culturale e politica svolta: Medici con l’Africa non “per”, ma “con”. È fratellanza, non carità. Naturale che nel momento in cui assordante è la voce dei razzisti di governo i Medici con l’Africa non si accontentino semplicemente di aiutarli a casa loro (nel senso più nobile del termine, assicurando servizi sanitari di alta qualità professionale) e nemmeno di svolgere il lavoro di informazione e di assistenza a Como perché chi meno ha abbia l’opportunità di cure con la dignità che merita ogni essere umano.
I Medici con l’Africa si schierano perché è necessario e giusto e per farlo il 27 ottobre, giornata in cui in molte città italiane si è manifestato contro il decreto “Sicurezza e immigrazione”, hanno affidato un messaggio inequivocabile all’intera ultima pagina del quotidiano La Provincia. Abbiamo chiesto al presidente del sodalizio Roberto Riedo di illustrarci il senso politico e umano dell’iniziativa e presentiamo il video dell’intervento di un altro esponete autorevole di Medici con l’Africa, Italo Nessi, all’iniziativa Mediterranea del 31 ottobre allo Spaio Gloria nel quale viene ulteriormente chiarito il contesto in cui la testimonianza civile si colloca.
Mio fratello è africano
«Dietro lo slogan “Mio fratello è africano, dalla parte degli ultimi in Africa, in Italia e nel mondo” pubblicato da noi soci di “Medici con l’Africa Como onlus” in ultima pagina del quotidiano “La Provincia” di sabato 27 ottobre, si cela una fratellanza che ha origini molto lontane, ultra cinquantenarie, propria della organizzazione non governativa cui aderiamo (Medici con l’Africa Cuamm – fondata nel 1950), dell’associazione comasca e dei soci che hanno vissuto direttamente la miseria e l’ingiustizia subita dai malati affidati alle loro cure durante gli anni di servizio in terra africana.
A Como questa fratellanza e vicinanza agli ultimi ci ha visti, a pochi anni dalla nostra fondazione, protagonisti nel sostegno sanitario ai profughi delle guerre balcaniche, sostegno continuato, insieme con altre associazioni, negli ambulatori per gli ultimi della società comasca e infine nel campo profughi di via Regina.
Dal 1997 parliamo di diritto alla salute agli studenti delle superiori e universitari, ai medici e infermieri in formazione e già formati, ma ultimamente parliamo di diritto alla sopravvivenza, la sopravvivenza di chi è costretto a migrare, perché vittime di ingiustizie o ingiusta distribuzione della ricchezza: migrare diventa necessario.
Non è stato sufficiente per noi “aiutarli a casa loro”: cinquant’anni che ci proviamo e mai testimoni di una vera volontà politica dei vari governi o stati occidentali. Diventa quindi inevitabile promuovere l’accoglienza di chi migra e migliorare la gestione delle forme di solidarietà, nel rispetto della dignità.
I dati Eurostat 2018 mostrano che l’Italia non sta subendo una invasione, ma che i suoi problemi derivano dal modo in cui è stato gestito il flusso migratorio di questi anni: senza un sistema di accoglienza pronto per gestire queste cifre (si pensi allo squilibrio fra Cas e Sprar), con un aiuto europeo azzoppato (vedi il fallimento dei Trattati di Dublino e dei ricollocamenti) e con una popolazione poco abituata all’integrazione e alla convivenza con gli stranieri.
Le scelte elettorali e governative inopportune, devianti e ingiuste hanno richiesto e richiedono una presa di posizione. Sostituire l’accoglienza con la criminalizzazione causa un danno alla salute, perché aumenta la sofferenza, ostacola l’integrazione e marginalizza persone che soffrono già per un grado di vulnerabilità fisica e mentale superiore alla media. Il decreto Salvini aumenterà il numero degli irregolari e quindi il numero di persone ai margini dei servizi di salute e sociali, con peggioramento dello status sanitario. Spostare una proporzione presumibilmente grande di richiedenti asilo dal sistema SPRAR a veri e propri centri di detenzione, quali saranno i Cpr, pregiudica la salute di queste persone: si offrirà loro assistenza periodica e inadeguata, all’interno dei Cpr stessi e resteranno rinchiusi per mesi (il decreto raddoppia da 90 a 180 giorni la permanenza massima) con un rischio aggiuntivo per la salute sia fisica che mentale.
In tale scenario con la pubblicazione di “Mio fratello è Africano” abbiamo voluto mostrarci contrari al pensiero attualmente dominante, manifestare la nostra solidarietà e accoglienza agli ultimi e manifestarla ad un pubblico eterogeneo, non necessariamente interessato alla questione. Un pubblico che magari conta nel proprio entourage familiare una storia di migrazione di cui ha perso memoria. Un pubblico non addetto ai lavori al quale abbiamo voluto comunicare che esistono ancora delle possibilità di solidarietà (parola divenuta obsoleta).
Le ricadute attese sono poche. Ci basterebbe che l’incauto lettore in chiusura del quotidiano, spinto dalla semplice curiosità, desideri informarsi sull’autore di quella pagina e frughi nei file del web notizie su di noi, nella speranza di suscitare un minimo interesse o almeno un timido dibattito.
La pubblicazione dello slogan per noi di Medici con l’Africa Como onlus ha significato ribadire che vogliamo rispondere a ingiustizie e discriminazioni continuando a sostenere gli ultimi e, in un futuro, cercando una maggior sinergia con chi agisce su fronti di denuncia. Sono allo studio, oltre che la partecipazione a reti ad hoc, iniziative nostre sul tema, soprattutto con scopo di creare inclusione / integrazione e non solo (!) fornire cerotti, tetto e cibo. Lavoriamo per un cambiamento di pensiero». [Roberto Riedo, presidente Medici con l’Africa Como]
L’ha ribloggato su comosenzafrontiere.