Più società meno carcere

Fatti come quelli del mese scorso, quelli del carcere di Santa Maria Capua Vetere, torture intollerabili ai detenuti, o come quelli del Bassone, dove sono state aggrediti operatori della Polizia penitenziaria, hanno riportato agli occhi dell’opinione pubblica la questione carceraria, tante volte dimenticata.

Come sempre la pubblica opinione si è divisa tra chi, con una mentalità pericolosa e violenta propone «…buttiamo via la chiave!!!» (quella delle celle), e chi, nel pieno rispetto della nostra Costituzione, crede nelle pene alternative, nella possibilità e nel dovere di un impegno per il reinserimento nella società di chi ha sbagliato. La Carta è chiara: «art. 27 – Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Si attende l’applicazione della legge Cartabia, votata alla Camera prima delle ferie, e ora agli altri passaggi parlamentari. Questa legge parla di pene alternative alla detenzione, parla di pene domiciliari, di lavori socialmente utili, di giustizia riparativa, di messa alla prova. Cose queste già in vigore in molti paesi europei, riforme necessarie anche nel nostro Paese. Il carcere della nostra città, ora vissuto da 350 detenuti, dai 460 del 2019, evidenzia una riduzione di presenze, avuta appunto con applicazione di misure alternative, anche per evitare contagi per il Covid. Al Bassone, il 50 per cento dei detenuti sono extracomunitari, diverse persone senza fissa dimora. E per godere di misure alternative occorre avere un domicilio, una residenza. Cosa questa necessaria anche per i detenuti italiani. Per i detenuti extracomunitari ci sono misure alternative concesse dal Magistrato di sorveglianza se condannati con pene residue di due anni e non gravi. Cose difficili da applicare perché molti non hanno i documenti che attestano la provenienza. Misure alternative sono già comunque presenti e le statistiche dicono che queste scelte favoriscono l’abbassamento del tasso di recidività.

Riflettiamo: se una persona esce dal Carcere e non ha una famiglia che lo accoglie, se non ha un punto di riferimento, dove andrà? Se non ha nessuno che gli dà fiducia e gli dà lavoro, cosa fare, come vivrà? Queste sono le domande che dovremmo farci e che tanti detenuti si pongono e pongono. Cose reali e pratiche, su cui riflettere.
Quindi è necessario che qualsiasi persona che ha commesso un errore venga sostenuta prima in carcere, poi sul territorio con studio, lavoro, formazione, tutte cose queste per superare le esperienze negative compiute precedentemente. Allora, oltre a un cambiamento culturale della pubblica opinione, occorrono anche scelte politiche ed economiche che devono vedere impegnate tante persone qualificate con specifiche professioni (psicologi, assistenti sociali, educatori, mediatori culturali …). Scelte che devono essere sostenute da Regioni e Comuni, ricordando che spese e persone impegnate su questi progetti di reinserimento sono investimenti utili per la collettività e convengono anche finanziariamente. Pensate a quanto costa sul piano economico tenere in Carcere una persone, che invece fuori potrebbe…

Quindi serve un impegno collettivo, favorito – speriamo – dalla nuova legge sulla giustizia e da idee, proposte e risorse. Occorrono scelte coraggiose per una nuova visione delle pena e soprattutto per una nuova cultura, non di castigo, ma di rieducazione e di reinserimento nelle Comunità e nella vita pubblica. [Luigi Nessi, ecoinformazioni]

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