
Lotta queer e questioni ambientali
Il 29 maggio, nello spazio culturale del campo di Sagnino gestito da Terra Viva, si è svolto un incontro dibattito sul rapporto tra questione sociale e questione ambientale, con un taglio specifico: quali sono i possibili legami tra tematiche Queer e questione ambientale. Venticinque attivisti e attiviste di realtà diverse, Como Pride, Friday for Future, Terra Viva, in maggioranza giovani e donne, hanno dibattuto per due ore alla ricerca di premesse culturali ed etiche comuni, dalle quali dipende un ampio spettro di temi e di possibili connessioni intersezionali.
Dal dibattito frammentato e ricco di spunti diversi sono emerse tre premesse culturali: la necessità di uscire dalla visione antropocentrica; l’antispecismo come identità post umana; la lotta al sistema etero-patriarcale per superare l’oppressione dei corpi.
L’antropocentrismo ha segnato le scelte culturali e politiche per secoli attraverso la centralità dell’essere umano visto come metro e misura di ogni cosa, immaginato con una presunta superiorità e posto all’apice di una gerarchia considerata naturale. Nella realtà la specie umana, pur rappresentando soltanto lo 0,05% della biomassa totale del pianeta Terra, ha contribuito alla scomparsa dell’83% di tutte le altre specie animali, inoltre ha determinato, soprattutto con il modello economico capitalistico, l’emergere di una crisi ambientale che sta imponendo il tema dell’adattamento e dell’estinzione della specie umana stessa. Vi è quindi la necessità di cominciare ad immaginare diversamente l’altro da sé in termini culturali e psicologici; gli animali, le piante, le nuove tecnologie robotiche sono un altro da sé che ci interroga, relativizza la nostra centralità percepita, ci impone nuove responsabilità. Diverso e più complesso è la questione delle città, che sono la cartina tornasole dell’antropocentrismo moderno perché ospitano il 58% della popolazione mondiale, occupano soltanto il 2% del territorio mondiale, ma consumano il 75% di tutte le risorse terrestri e sono di fatto degli hot spot climatici dove gli effetti dei cambiamenti climatici saranno più gravi.
La critica allo specismo è ormai divenuto un movimento filosofico politico e culturale che rifiuta l’idea che vi sia un diverso valore e status morale degli individui unicamente in base alla loro specie di appartenenza, idea che per di più ha creato il primato dell’economia sulla cultura, la scienza e l’etica.
Il primo autore a parlare di specismo era stato lo psicologo Richard Ryder, che sosteneva l’esigenza di smascherare il più grave errore morale che contraddistinguerebbe la società occidentale antropocentrica, ossia il rifiuto di riservare un trattamento egualitario agli esseri viventi non umani solo per ragioni connesse all’assenza di un legame di specie. Quindi i rapporti tra specie vanno affrontati con un paradigma diverso, senza la centralità di una specie animale, ma con al centro la ricerca costante di un equilibrio che non potrà che essere dinamico.
La lotta al sistema etero-patriarcale è quindi una necessità che deriva dal ruolo maschile nelle formazioni sociali e dall’intreccio intersezionale con la visione antropocentrica e lo specismo. In tal senso diviene centrale l’idea e la pratica del consenso tra individui della stessa specie e tra soggetti di specie differenti con le quali non abbiamo in comune il sistema del linguaggio. Quindi il tema del linguaggio non è stato posto soltanto sul piano della correttezza etica ma anche come problema scientifico: il rispetto e il consenso passato anche dallo studio dei linguaggi di comunicazione delle diverse specie.
In alcuni interventi è emerso un ragionamento sulla biodiversità: come in natura vi sono varietà di tutte le forme di vita, numero di specie, variazioni genetiche e interazione di queste forme viventi all’interno di ecosistemi complessi, così nelle comunità umane dovrebbero esserci eco-socio diversità non discriminate, ma accettate come scelte culturali o sessuali soggettive. In natura esistono identità sessuali plurime che sono parti di reti trofiche o riproduttive, mentre nelle comunità umane non sono in genere considerate naturali, perché passano dal filtro del giudizio etico. Si pone quindi il problema di allargare il quadro della cultura dei diritti a tutti gli individui Queer e alle altre specie non umane, con la consapevolezza che nelle comunità umane sono la cultura, l’etica e i sistemi giuridici ad offrire questa rete di protezione, mentre nelle altre specie emerge il rapporto tra sovrastrutture umane e cicli naturali. Siamo pur sempre noi umani che possiamo cambiare la cultura, che scriviamo i protocolli di difesa degli animali e degli alberi e che quindi viviamo la contraddizione antropocentrica.
Sulla base di questi ragionamenti è stata data una definizione più ampia di Queer: non soltanto connesso a tutte le persone che preferiscono non identificarsi in una specifica “etichetta” relativamente all’orientamento sessuale e/o all’identità di genere, ma anche riferito a comportamenti e scelte di vita che creano imbarazzo (oltre la categoria dell’eccentricità) e dissonanze nelle relazioni umane che mettono in discussione, soltanto per il fatto di esserci, l’ordine della famiglia e delle formazioni sociali. [Marco Lorenzini, ecoinformazioni]