Come ogni anno, nella serata del 12 dicembre Milano ha rallentato il proprio ingranaggio di consumi natalizi per commemorare la strage di piazza Fontana. Un episodio drammatico della storia italiana che ancora però divide lo Stato dai movimenti di sinistra, che hanno disertato la commemorazione delle 18 per muoversi in corteo da Palestro alla Banca nazionale dell’agricoltura.

Circa 500 manifestanti hanno risposto alla chiamata della Milano antifascista, antirazzista, meticcia e solidale e hanno attraversato la zona tra Palestro e il luogo dell’esplosione, sottolineando le responsabilità dello stato italiano nella Strategia della tensione; una narrazione che, ovviamente, le istituzioni rifiutano e hanno dimostrato di non voler fare propria con il presidio delle 18 sul luogo della strage.
Pd e centrosinistra da una parte, dunque, anarchici, movimenti, partiti “minori” e qualche bandiera di Sinistra italiana e dei Verdi dall’altra. Presenti nel corteo anche i movimenti studenteschi e i sindacati di base.

Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, segna l’inizio degli Anni di Piombo e lo fa, nella narrazione dei manifestanti, nel segno di un chiaro schieramento da parte della maggior parte della politica parlamentare: i moti del ’68 hanno spaventato le forze più reazionarie e conservatrici oltre che l’alleato e finanziatore americano, e lo spirito dei tempi andava estinto, anche con la violenza. Le diciotto persone (17 vittime in loco più l’anarchico Giuseppe Pinelli, ingiustamente accusato e ucciso dalla polizia milanese tre giorni dopo) morte il 12 dicembre sono vittime della collusione tra stato e movimenti fascisti. I depistaggi verso le aree di estrema sinistra hanno a lungo nascosto il reale svolgimento dei fatti e tutt’ora la versione ufficiale ha diverse discrepanze rispetto alla narrazione portata in piazza dalla Milano antifascista, antirazzista, meticcia e solidale.
La storia dice, però, che ancora nel 1970 la polizia e i nostalgici delle camicie nere erano a braccetto e a pagare con la vita fu Saverio Saltarelli, colpevole di chiedere verità sui fatti del 12 dicembre 1969 e sul decesso di Pinelli ed ucciso da un lacrimogeno che lo colpì in pieno petto. Che ci fosse la volontà politica di mettere a tacere le voci alternative alla versione ufficiale è, insomma, innegabile.

Anche 53 anni dopo la bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura, comunque, lo Stato si dimostra incapace di fare i conti con la propria storia e, anzi, di proseguire la propria campagna repressiva contro i dissidenti e contro chi non è di gradimento agli ambienti più politicamente di destra. A questo proposito, dal carro di testa sono stati fatti due interventi: uno in solidarietà ad Alfredo Cospito, anarchico in regime di 41-bis per strage (quando le sue azioni non hanno ucciso nessuno), un reato che non è stato scomodato nemmeno dopo Capaci, e ormai da oltre 50 giorni in sciopero della fame; un altro contro il sistema dei Cpr, che il nuovo governo Meloni promette di ampliare nonostante le quotidiane violazioni dei diritti umani perpetrate all’interno di questi lager italiani.
Repressione politica e segregazione di un’umanità marginalizzata e inferiorizzata, dunque: 53 anni dopo, si sente ancora la necessità di resistere contro un sistema istituzionale violento e reazionario. Milano ha mostrato di esserci, sebbene ciò abbia comportato di fatto due commemorazione separate di una stessa tragedia, e promette lotta ed attivazione contro ogni forma di fascismo, vecchio o nuovo che sia.

[Pietro Caresana, ecoinformazioni]

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