
Lila dopo 30 anni ancora tanto da dire e da fare
Nella sede dell’Enaip in occasione del Convegno il 26 maggio per i 30 anni dalla nascita della Lila di Como, Giusy Giupponi, presidente della sede locale, da aprile anche presidente dell’Associazione a livello nazionale, ha introdotto i lavori spiegando le motivazioni che hanno portato a promuovere questo Convegno: dal 1993 sono stati fatti moltissimi progressi nell’ambito della ricerca e fortunatamente oggi l’infezione da hiv non è più mortale, ma la mancanza di informazione nell’ultimo decennio non ha favorito il superamento dei pregiudizi nei confronti delle persone hiv+ e ha generato nuovamente ignoranza rispetto alle modalità di trasmissione e alla percezione del rischio.
Il contributo di alcuni/e fondatori/trici della Lila comasca Manuela Serrentino, Martino Villani, Gianpiero Faicchia e Sara Veri) hanno ricordato qual era il vissuto in quel periodo e come grazie al protagonismo delle persone hiv+ di allora sia stato possibile stimolare la ricerca e creare nuove prospettive di vita. Sono emerse alcune tematiche che ancora oggi rappresentano un tabù, in particolare quella della morte. Per la prima volta a morire erano persone molto giovani e l’impegno associativo, che vedeva partecipare sia persone colpite dall’infezione che persone sieronegative, era quello di impegnarsi a sconfiggere un destino segnato dalla malattia, acquisendo visibilità, senza nascondere la propria condizione e il proprio volto. Ma lo spettro della morte era sempre presente e rappresentava una forte contraddizione tra coloro che erano sieropositivi e coloro che non lo erano. Le aspettative di vita erano diverse ed erano i tempi a ricordare che, ad es. un progetto che si realizzava nell’arco di due anni per qualcuno poteva significare una cosa che non lo riguardava perché non ci sarebbe più stato. Per la prima volta operatori sociali e sanitari non avevano nulla da insegnare a coloro che avrebbero dovuto essere loro pazienti. Anzi erano proprio quest’ultimi che, con le loro esperienze di vita, con le loro emozioni, inducevano a riflettere e il confronto era realmente tra pari, senza ruoli precostituiti. Si faceva un tentativo di individuare regole e diritti che le strutture sanitarie avrebbero dovuto rispettare verso un malato giunto ai suoi ultimi giorni, richieste per un aiuto a realizzare la miglior qualità della vita possibile della vita che restava, un rifiuto all’accanimento terapeutico, una rivendicazione delle cure palliative e un confronto di vissuti ed emotività.
Alcune di queste rivendicazioni si sono poi realizzate, l’infezione da hiv è diventata una malattia cronica e della morte non si è più parlato, ma le elaborazione che all’interno della Lila. venivano fatte rappresentano una memoria importante di cui vale ancora la pena parlare. Si è anche ricordato come all’interno dell’Associazione si cercava di vivere intensamente e in modo quasi goliardico. Per questo le feste, con titoli anche provocatori come “Sono positivo, amore baciami”, rappresentavano momenti di condivisione e di leggerezza. Inoltre in quel periodo molti ragazzi e ragazze giovanissimi/e si avvicinavano perché volevano capire, volevano mettersi in gioco. Il lavoro d’Equipe e di supervisione ci aiutava a superare le incomprensioni e a mettere in campo le migliori energie. È stato ricordato anche Edy Abate il primo Presidente che non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale ha rappresentato il protagonismo delle persone sieropositive dichiarando pubblicamente la propria condizione sierologica in un momento in cui si parlava di “untori” e della “peste del secolo”. Anche i medici presenti in sala, il dott. Lucio Costo, Primario delle malattie Infettive dell’Ospedale di Catanzaro (in sostituzione del Dott. Pusterla, Primario delle Malattie Infettive di Como; che non è potuto intervenire), i dottori Alessandro Soria e Nicola Squillace del reparto malattie Infettive dell’Ospedale di Monza, hanno presentato un excursus sull’evoluzione dell’infezione da HIV dal punto di vista medico e farmacologico. In particolare sono state messe in evidenza delle date con conseguenti parole evocative: 1981, lo stigma, la paura di essere infettati, la marginalizzazione delle persone omosessuali e tossicodipendenti, indicate come categorie a rischio e l’ignoranza rispetto alla conoscenza del virus, nessun presidio farmacologico a disposizione per affrontare la malattia che rapidamente procedeva verso l’Aids conclamato. 1996, la speranza, legata alla scoperta di nuovi farmaci che permettevano di rallentare l’evoluzione dell’infezione. Le persone potevano ricominciare ad avere una maggiore prospettiva di vita. 2003, l’accesso quando finalmente anche nei paesi del terzo mondo, in particolare l’Africa, dove il virus colpiva in maniera particolare, si è potuto avere l’accesso alle cure, fino a quel momento legate al brevetto farmaceutico e quindi troppo costose. 2008, vita. Grazie alle ricerche in campo farmacologico le terapie sono divenute sempre più specifiche e più maneggevoli. Dalle 12 e più pastiglie al giorno si arriva ad un’unica somministrazione in grado di azzerare completamente la carica virale e permettere alle persone di avere un futuro davanti a sé. 2011, protezione. Per la prima volta in un convegno si ipotizza che le persone sotto terapia e con carica virale negativa non sono più infettive. Obama toglie il divieto per chi è HIV+ di andare in America. 2018 , rivoluzione. Viene riconosciuta, con la Consensus Conference dal Ministero della Salute, l’evidenza scientifica, che dimostra che se il virus non è rilevabile, non è trasmissibile, termine U=U. Nel campo dell’hiv si tratta di un’acquisizione scientifica rivoluzionaria, che ha un enorme impatto sia sulla vita privata delle persone che vivono con l’hiv, sia in termini di salute pubblica che di salute sociale, perché ha permesso alle persone con HIV di progettare il futuro, la nascita di un figlio, l’acquisto di una casa. 2023, futuro. L’Aifa, grazie all’attivismo delle associazioni, approva la rimborsabilità dei farmaci per la profilassi pre-esposizione a hiv (Prep), cioè l’uso di un farmaco per prevenire l’infezione in caso di comportamenti a rischio, uno strumento aggiuntivo di prevenzione. Infine una parola che ha accompagnato tutti questi anni è Attivismo. Grazie al protagonismo delle persone sieropositive e non, che hanno lavorato all’interno di realtà associative, che hanno costantemente rivendicato i diritti, tutto questo è stato possibile.
Ha concluso il Convegno Giusy Giupponi ricordando che altre conquiste fatte grazie alla Lila sono state la possibilità di accedere ad un mutuo bancario o di avere un’assicurazione sulla vita, cose prima impensabili, ma, come fatto notare anche da alcuni presenti in sala, le campagne informative sono inesistenti e tutte queste nuove acquisizioni scientifiche sono sconosciute alla maggior parte della popolazione. Anche i pregiudizi nei confronti delle persone sieropositive sono rimasti gli stessi dei primi anni dell’infezione proprio per la scarsa conoscenza. Per questo a 30 anni dalla fondazione della Lila abbiamo non solo qualcosa, ma tanto da dire e da fare. [Manuela Serrentino, ecoinformazioni] [Foto Marco Lorenzini, ecoinformazioni]