Bergamo capitale della cultura queer nel pomeriggio di sabato 17 giugno, con un pride partecipatissimo (oltre 3000 persone) e ricco di rivendicazioni grazie ad un processo assembleare dal basso, transfemminista e desideroso di rivendicare il proprio essere fuori norma.

Dal piazzale della stazione fino a piazza Matteotti, di fronte al comune, il corteo è durato oltre due ore ma è stato animato dalla musica dei tre carri che hanno guidato la marcia. Dunque, mentre a Milano si teneva la Marciona, appuntamento di tramsfemminismo antagonista in vista del ben più istituzionale pride cittadino, anche Bergamo ha alzato la propria voce Lgbtqia+. 

Gli interventi si sono tenuti perlopiù durante il concentramento, quando Csa Pacì Paciana, parte fondamentale dell’organizzazione, Uds, Famiglie arcobaleno, diversi esponenti della politica locale e altre delle numerose sigle presenti all’iniziativa hanno ricordato ai ed alle partecipanti l’importanza di tingere di arcobaleno le strade. Come già il pride lecchese aveva messo in luce, il momento storico è piuttosto avverso sul piano politico e legislativo alle persone non etero e non bianche. Da qui la necessità di reclamare il diritto alla famiglia, alla felicità e alla sicurezza in un territorio nazionale dove la violenza omolesbobitransfobica e la violenza machista sono all’ordine del giorno.
Non solo diritti delle persone non cis-etero, però, in un pride di lotta intersezionale, antifascista ed antirazzista: a metà corteo è stato infatti osservato a metà corteo un minuto di silenzio in memoria delle persone migranti vittime della fortezza Europa annegate nei mari greci, ma più in generale di tutte le vite spezzate dalla politica respingente del vecchio continente.

Tornando alle tematiche principali della manifestazione è stato sottolineato come anche Bergamo, che con Brescia è capitale della cultura 2023, abbia un lungo percorso da compiere per potersi riconoscere come città non discriminante. Come rilevato da Unione degli studenti, il cui striscione era a capo del corteo, scortato dalle drag indiscusse protagoniste del pride bergamasco, è la formazione il primo passo verso la costruzione di una cultura non machista e non omofoba. Da lì, una portavoce del Pacì Paciana ha sottolineato che il fine della lotta Lgbtqia+ non è solo ottenere un riconoscimento istituzionale, ma anche lavorare per creare una società che sia realmente di cura. 
Dunque, non securitarismo, ma tutela e mutualismo; non verticismo legislativo ma costruzione dal basso di un’idea di cittadinanza attiva e tollerante. Una prassi che la stessa struttura del corteo ha rispettato, con un’ampia zona “bianca” di decompressione situata al centro del corteo e la distribuzione di acqua per le ed i manifestanti messi alla prova da oltre tre ore sotto il sole dell’incipiente estate. 

La giornata del pride non è stata però solo corteo cittadino: sono infatti state messe a disposizione delle navette gratuite dal centro a Curno, sede della seconda parte di giornata con musica e altri interventi prima dell’after-party notturno in discoteca. Si può dire insomma che il Bergamo pride abbia fatto proprio il motto secondo cui “non sarà la nostra rivoluzione se non la faremo ballando”. Infatti, l’organizzazione ha ben conciliato la componente di lotta ed interventi politici con quella di festa e divertimento: due elementi fondamentali in un contesto come quello delle parate arcobaleno, nate dalla rabbia ma animate dalla voglia di vivere ed esistere liberamente. [Pietro Caresana, ecoinfromazioni]

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