
Le sfide e il futuro della Res publica
A volte ho il timore di partecipare a celebrazioni o convegni sulla storia, un po’ forse perché non mi sento del tutto in grado di comprendere le reti intricate che avvolgono il nostro Paese, ma soprattutto perché mi aspetto di trovare relatori molto intelligenti ma al tempo stesso difficili da codificare, uomini che sciorinano dati e date oppure nostalgie che non mi è concesso conoscere, vista la mia età.
Ciò che il 9 giugno davvero non mi aspettavo, e, ascoltando gli entusiastici commenti finali, non si aspettavano nemmeno la cinquantina di persone presenti al Teatro Nuovo di Rebbio, era un dibattito tanto vivo, attuale e coinvolgente come quello che ci si è presentato.
Certo il Comitato soci Coop e l’Istituto di Storia contemporanea Pier Amato Perretta di Como, organizzatori e promotori dell’incontro, gli indizi ce li avevano forniti tutti. Il primo, il tema della serata: La responsabilità del futuro. Res publica, sovranità di popolo. Ieri, oggi e domani della Repubblica italiana. Riflessioni a 70 anni dalla sua proclamazione. Il secondo, gli ospiti d’eccezione: Giuliano Turone, ex magistrato, giudice emerito della Suprema Corte di Cassazione, docente all’Università Cattolica di Milano e ultimamente anche scrittore teatrale per lo spettacolo E l’modo ancor m’offende sulla violenza di genere; Antonio Maria Orecchia, ricercatore e docente di Storia contemporanea all’Università dell’Insubria di Varese, giornalista, autore de La difficile Unità. Storia di ieri, cronaca di oggi; Rita di Giovacchino, giornalista d’inchiesta e autrice de Il libro nero della Prima Repubblica.
Dopo la presentazione di Patrizia Di Giuseppe, direttora dell’Isc, si è entrati nel vivo della discussione grazie ad una domanda, quasi d’obbligo, del moderatore Bruno Profazio, vice direttore de La provincia di Como: «Cosa intendete voi per res publica? Come la interpretate?». Turone ha subito parlato di sovranità popolare derubata, limitata dai tre corni di un stesso problema che ancora oggi ci affligge, profondamente radicati e intrecciati fra loro. Ai tre ha associato senza esitazione nomi e cognomi: per le mafie Stefano Bontade, per la finanza d’avventura Michele Sindona(senza tralasciare Calvi, o lo Ior), per i poteri occulti Licio Gelli. Si è quindi avventurato in un’accurata analisi dei “pasticciacci brutti”, partiti dagli anni Settanta e comprendenti non solo i già citati, ma anche Giulio Andreotti (di cui è stato accertato il coinvolgimento in Cosa Nostra fino al 1980 dalla sentenza della Corte d’appello di Palermo nel maggio 2003, poi confermata dalla sentenza della Corte di Cassazione nell’ottobre 2004 ), in un «intrico inestricabile fra Stato e antistato che sta alla base del furto di sovranità che abbiamo subito».
A questo punto l’intervento di Orecchia, che interpellato da Profazio ha analizzato le “vittorie” e le conquiste della res publica, partendo proprio dal referendum, che segnava inesorabilmente la volontà degli italiani di voltare pagina con il fascismo e con la stagione pre-fascista. Un referendum dall’esito non scontato, e, ulteriore conquista, il primo suffragio universale della storia italiana.
Seconda vittoria della Repubblica: gli anni Sessanta (e l’idea del centro-sinistra), nei quali la classe dirigente è riuscita a far capire al popolo, che non l’aveva mai conosciuta, il valore della democrazia.Basti pensare al Comitato di Liberazione Nazionale che a Genova insorse contro il congresso del Movimento sociale, minacciando un colpo di stato, ribadendo la volontà degli italiani espressa un quindicennio prima.
Terza vittoria: la sfida (seppur piena di falle e punti di domanda) contro il terrorismo neofascista e quello rosso, nemmeno dieci anni più tardi, riuscendo a mantenersi l’unico Stato democratico dell’area mediterranea.
Rita Di Giovacchino ha invece messo l’accento sugli attentati sotterranei perpetrati dalle diverse “leghe” negli anni Novanta, che puntavano a dissolvere l’Europa unita, e dividere l’Italia in tre macroregioni, tutti falliti perché il Paese anche allora è rimasto unito, a differenza della ex Jugoslavia e della ex Cecoslovacchia.
La giornalista ha quindi raccontato della sua generazione, una classe dirigente che non ha mai visto la luce, “bruciata” dall’inizio dell’operazione Brigate Rosse e dilaniata dai movimenti segreti di Gladio, organizzazione paramilitare di cui ancora non conosciamo bene ruoli e responsabilità, ma che stava sicuramente alla base di tanti (o tutti) gli attentati che hanno portato in quegli anni a 738 fra morti e feriti.
I relatori hanno poi analizzato insieme le cause delle peculiarità del nostro Paese, come le mafie storiche, concatenate e perpetrate in un Mezzogiorno dominato da stranieri lontani, grazie anche ad un’educazione civica pressoché inesistente, nell’unico stato occidentale del doppio potere papa-re.
E dopo averci accompagnato attraverso la storia, a noi partecipanti è stato finalmente concesso quello sguardo al futuro che attendevamo e per cui eravamo lì. Sono partiti proprio dalla nostra Costituzione, che è stata diverse volte definita ”la più bella del mondo”, e che secondo la giornalista e l’ex magistrato andrebbe cambiata il meno possibile, essendoci ben poco da introdurre di nuovo riguardo i diritti, mentre secondo il professore, che ne riconosce comunque la bellezza e la funzionalità (soprattutto riferite all’epoca in cui è stata scritta) andrebbe perlomeno rivista sotto alcuni punti, fra cui il federalismo.
Turone ha quindi sottolineato che è possibile emanciparci dalle nostre vecchie e attuali peculiarità, solo lavorando costantemente e in una direzione ben precisa.
Una direzione diametralmente opposta alla concezione di antistato, che ci porterebbe finalmente ad una reale sovranità popolare. Difficile, forse, ma non impossibile.
Una nuova sfida per il futuro della nostra Res publica. [Ilaria Romeo, ecoinformazioni]
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