
Maroni contro la salute/ 3. I “gestori” privati della sanità pubblica
Proseguiamo l’analisi degli esiti tragici per la salute dei cittadini e delle cittadine della Riforma sanitaria della Lombardia delle destre con la terza parte dello studio di Manuela Serrentino del Forum salute di Sinistra italiana. Seguiranno nei prossimi giorni ulteriori approfondimenti.
Un’altra novità della riforma è quella che prevede da parte di Ats l’accreditamento di soggetti idonei a gestire la presa in carico: i gestori. Secondo le delibere possono diventare gestori enti pubblici o privati oppure medici associati in cooperative, ma i critici di questa cosiddetta riforma hanno subito formulato la previsione che sarebbero stati in prevalenza privati che già gestiscono servizi sanitari o nuovi soggetti di grandi dimensioni, in grado di controllare l’intero percorso di cura, dalla progettazione alla fornitura degli interventi, erogandoli direttamente o tramite accordi con fornitori scelti attraverso accordi bilaterali.
Il gestore provvede alla sottoscrizione del patto di cura, alla definizione del Pai, alla presa in carico del paziente attraverso la prenotazione delle prestazioni e il coordinamento tra diversi partner della rete, all’erogazione delle prestazioni previste dal Pai direttamente o tramite partner di reti accreditate. Il soggetto che si propone come gestore deve specificare sia i gruppi di patologia che vuole e/o può curare con risorse proprie o con patti predefiniti.
Il diritto alla salute e all’assistenza sanitaria viene trasformato in una relazione contrattuale di tipo privatistico in cui l’eventuale contenzioso vede il gestore come parte più avvantaggiata e forte. Il nuovo sistema del gestore impedisce di rivolgersi a chi si desidera, perché i percorsi saranno determinati dai gestori così come le sedi e gli stessi erogatori, mettendo fortemente in discussione la tanto decantata libertà di scelta.
Il contratto ha la valenza di un anno e non si può scindere prima della scadenza. Il paziente inoltre rimane solo o con i suoi familiari a decidere, in caso di insorgenza di qualche sintomo o malattia, cosa sia di pertinenza del gestore o cosa invece del medico di base che comunque rimane come figura di riferimento, almeno in questa fase iniziale. E questo perché viene presa in carico la malattia e non la persona.
Va considerato che ogni gestore potrà avere in carico fino a 200.000 utenti, ricevendo una somma fissa per ogni utente con cui ha stipulato il contratto, oltre a un premio se otterrà risultati positivi, in termini di efficacia ed efficienza non meglio definiti. In presenza di una torta di queste dimensioni si apre lo spazio per investimenti speculativi suscettibili di portare alla creazione di grosse concentrazioni monopolistiche, creando un mercato della salute, basato sul profitto e avulso dai reali bisogni di salute, senza nessuna programmazione territoriale basata su evidenze epidemiologiche e demografiche e senza prendere in considerazione i determinanti di salute, nonostante sia universalmente accettato che ben il 40 % della salute è determinato da fattori economici, di istruzione e di reddito e solo il 20% dalle cure sanitarie
Il ruolo del medico di base.
Il medico di base ha tre possibilità. La prima prevede che si proponga come soggetto gestore. In questo caso deve organizzarsi in forme associative dotate di personalità giuridica (Cooperative). Si deve avvalere di una filiera erogativa, attraverso contratti, che garantisca le prestazioni previste dal Piano Assistenziale individuale. La seconda prevede che il medico si proponga come co-gestore. In questo caso collabora con il gestore solo attraverso la stesura del Piano assistenziale e, di fatto, diventa un suo dipendente. Infine il medico può decidere di non partecipare alla presa in carico e, in questo caso assume un ruolo solo interlocutorio, in quanto viene messo a conoscenza del Piano Assistenziale dei propri assistiti. Complessivamente il medico non è più al servizio delle persone che vanno da lui per essere aiutate. La fedeltà va ad un’ entità il cui giuramento principale è “Prima il pareggio di bilancio”. Non a caso Gallera, l’Assessore alla sanità lombarda, ha minacciato di non rinnovare la convenzione ai medici di medicina generale che invitano i loro pazienti a non aderire alla scelta del gestore.
In questo modo si avvia un processo in cui il pubblico è progressivamente sostituito dal privato come agenzia che fornisce welfare e, dal punto di vista concettuale, l’interesse della collettività è soppiantato dagli interessi atomizzati dei singoli individui, coordinati dai mercati.
Altra criticità è rappresentata dal fatto che per tutto il primo anno la modalità di funzionamento sarà basata ancora sulle prestazioni erogate e i medici di medicina generale potranno ancora usufruire della quota capitaria relativa al proprio paziente anche se cronico. Pare però che dal 2019 il malato sarà affidato al gestore come una merce e allora si scatenerà la caccia all’arruolamento, così come sarà a discrezione del gestore chi prendere in carico o meno, in quanto è lui che valuta e decide se ci sono le condizione per l’arruolamento. Non sono stati evidenziati indicatori di salute come criterio di valutazione, ma altri indicatori basati sull’efficienza e sul risparmio. Il cittadino viene sempre più trasformato in un consumatore all’interno di un’economia di servizi e il paziente diventa egli stesso merce oggetto di misurazione e di profitto.
Inoltre se con questa trasformazione si azzereranno le liste d’attesa per i cronici, cosa succederà agli altri 6.500.000 cittadini/e? Si allungheranno le liste d’attesa ma, in considerazione che queste persone sono comprese nella fascia di età tra i 25 e i 55 anni, persone in gran parte in età lavorativa,si è già pensato di garantire altre forme di assistenza attraverso il welfare integrativo o aziendale, già introdotto in molti contratti di lavoro. Chi ne rimarrà fuori saranno i precari, i disoccupati, le fasce più fragili della società. Così si azzera l’universalismo e si introducono diversi livelli di assistenza, accentuando le diseguaglianze già esistenti.
Infine, con questa concessione/dispersione/distribuzione di responsabilità dallo Stato, dalla Regione /Ats agli enti privati, in quale modo verrà garantita l’integrità dei dati sanitari raccolti o la sanzione per il loro utilizzo a fini commerciali o peggio, come previsto dal regolamento europeo sulla tutela della privacy?
[Manuela Serrentino, Forum salute di Sinistra italiana]