
Possibile: «Macerie nel campo largo del centrosinistra»
È severo il giudizio di Possibile di Como sulle prime fasi dell’esistenza di Liberi e uguali: «è stata raccontata ed è stata percepita come una sinistra radicale, ovvero gli eredi di Sel, mentre il progetto era molto, molto più grande e ambizioso»; è sembrata «una cosa vecchia, con un certo ceto politico ammuffito, non più credibile, meno che meno dopo la sconfortante pagina delle candidature». Ma d’altra parte: «Liberi e Uguali era un’operazione obbligata» e – citando Gianfranco Pasquino -: «se non si fa una sinistra plurale non si va da nessuna parte». Leggi nel seguito il testo integrale.
«La maledetta analisi del voto
Nutrivamo molte aspettative nel progetto di Liberi e Uguali: per primi abbiamo lanciato l’idea e per oltre un anno abbiamo lavorato al disegno di unificare una serie di culture politiche che potessero far emergere una visione progressista, riformista e democratica del paese. Il risultato del 4 marzo però ci dice che qualcosa è andato storto. Liberi e Uguali quindi non è stata in grado di accreditarsi come forza credibile di cambiamento e per questo gli elettori di sinistra, quelli che abbiamo tentato di conquistare, hanno votato M5S, riconosciuto come un piattaforma credibile, solida, votabile.
Tutto questo nonostante la piattaforma programmatica tosta, piuttosto radicale, per cui non vale dire che fossimo “troppo contigui al PD”. Alla fine però LeU è stata raccontata ed è stata percepita come una sinistra radicale, ovvero gli eredi di SEL, mentre il progetto era molto, molto più grande e ambizioso.
Sappiamo che Liberi e Uguali era un’operazione obbligata, che ci ha portato le necessarie risorse economiche, politiche e mediatiche per affrontare una sfida nazionale senza le quali non avremmo nemmeno superato lo sbarramento e non avremmo nemmeno una rappresentanza in parlamento.
Sappiamo che è andata male perché è sembrata “una rimpatriata” per dirla alla Bersani: ovvero una cosa vecchia, con un certo ceto politico ammuffito, non più credibile, meno che meno dopo la sconfortante pagina delle candidature in cui abbiamo fatto a pezzi le regole approvate in Assemblea nazionale e subito disattese.
L’operazione ha avuto evidenti limiti organizzativi a tutti i livelli (in alcuni territori molto pesanti, in altri invece più leggeri): la sfida è partita troppo tardi e ha avuto connotazioni troppo verticistiche ma va detto che non sarebbe bastata una più efficace organizzazione per migliorare sensibilmente le cose.
L’impressione invece è che ci siamo trovati di fronte dei fenomeni su un altro ordine di grandezza: le onde del consenso hanno viaggiato metri sopra le nostre teste e non le abbiamo né viste né intercettate. Dall’incasinamento delle teste per aver “battezzato come sinistra cose di destra” come dice la documentarista Cecilia Mangini, all’insofferenza per le narrazioni da Mulino Bianco di chi stava troppo male per crederci, alla guerra tra poveri contro gli immigrati scatenata dai media che è diventata senso comune se è vero che recentemente un autista di bus non si è fermato ad una pensilina perché “c’era un gruppo di neri”.
Decidere che fare adesso è complicato: abbiamo le macerie nel campo largo del centrosinistra che avevamo ampiamente previsto ma abbiamo anche davanti delle settimane non banali in cui succederanno cose che nemmeno ci immaginiamo. Le tensioni per la formazione del nuovo governo potrebbero scaricarsi sul polo più debole che al momento è il Pd, con conseguenze non prevedibili.
L’impressione è che, purtroppo o per fortuna, non dipenda totalmente da noi quello che faremo: troppi fenomeni esterni condizionano il nostro cammino futuro. Una mozione possibile è quindi quella di attendere sulla riva del fiume ma nel frattempo viene spontaneo interrogarsi su “cosa sarebbe successo se”: se Liberi e Uguali avesse messo in secondo piano i vecchi personaggi ammuffiti e avesse promosso i “giovani” sarebbe cambiato qualcosa? Se avesse promosso metodi di partecipazione e di condivisione delle decisioni con i territori sarebbe stata percepita meglio? Questo non lo sappiamo.
Gianfranco Pasquino però ci aiuta quando sostiene che “se non si fa una sinistra plurale non si va da nessuna parte.” Questo è l’aspetto da valorizzare del progetto di LeU: l’idea di mettere insieme diverse culture politiche che possano trovare una casa e una convergenza senza sentirsi insultate ogni giorno. Evidentemente il progetto è da allargare ulteriormente però: quello che manca al momento è il maledetto “foglio del come”, esattamente come manca un solido partito di “sinistra di governo” in questo paese». [Paolo Sinigaglia, portavoce del Comitato Como Possibile Margherita Hack]