Ascolto e dialogo: giustizia riparativa ed isolamento

Lockdown. Vissuti e memorie della pandemia da Covid-19 [CeSgReM, 2020, 45 pagg.], gratuitamente scaricabile, è un volume realizzato dalle/dagli studenti dei corsi di Giustizia riparativa e Mediazione penale dell’Università dell’Insubria. Curato dal Centro Studi sulla Giustizia Riparativa e la Mediazione, all’interno del progetto COnTatto, il volume si propone di offrire a lettrici e lettori una raccolta di memorie recenti del primo periodo di lockdown, vissuto tra l’inverno e la primavera scorsi, dalle/dagli studenti universitari e dai docenti che li hanno accompagnati in questo percorso, Grazia Mannozzi, Chiara Perini, Giovanni A. Lodigiani.

Nello spendere qualche parola su questo volume è indispensabile inquadrarlo in prima battuta all’interno del percorso universitario entro cui ha visto la luce: un corso di giustizia riparativa. La giustizia riparativa, (nota anche con l’espressione inglese restorative justice) costituisce una branca degli studi giuridici che si approccia al reato considerandolo in termini esperienziali, ovvero come danno alle persone. In questa prospettiva l’agente del reato è chiamato a porre un rimedio alle conseguenze lesive della sua condotta. Ma perché un rimedio sia messo in atto è necessario il diretto coinvolgimento non solo dell’agente e della vittima, ma anche della comunità civile che li circonda. Quest’ultima deve rendersi disponibile alla ricerca di possibili soluzioni che permettano all’agente del reato di rimediare al danno commesso. «Il crimine è una violazione delle persone e delle relazioni interpersonali; le violazioni creano obblighi; l’obbligo principale è quello di rimediare ai torti commessi» spiega Howard Zehr, uno dei fondatori di questa disciplina giuridica.

Questa contestualizzazione è indispensabile a comprendere come da un corso universitario di Giustizia riparativa sia potuto nascere un volume realizzato tramite la partecipazione attiva delle/degli studenti e volto alla narrazione di una catastrofe che ha colpito la comunità civile nel suo insieme. Come evidenziato infatti nell’introduzione, questo corso non si limita a riversare sulle/sugli studenti conoscenze, ma anzi si impegna a costruire attivamente con loro delle competenze, in modo cooperativo e dialogico, soprattutto attraverso il cosiddetto metodo circle. Quest’ultimo è così presentato nell’introduzione al volume: «una modalità archetipica di gestione di conflitti, controversie o disagi; viene proposto per piccoli gruppi, in cui ciascuno può mettere alla prova le proprie capacità di ascolto attento e attivo, di empatia, di dialogo dignitoso e rispettoso dell’umanità dell’altro». Dialogo e ascolto sono infatti le azioni che hanno permesso la realizzazione di questo libro, che è fondamentalmente una raccolta di memorie. In quanto tale, il libro si propone come strumento di esercizio di ascolto dell’esperienza dell’altro o dell’altra, nonché di rinnovata attenzione verso le sue esigenze. Non solo, nel libro il pubblico può trovare anche una prova di confronto e messa in dialogo del proprio vissuto con quello altrui.

Dalle memorie di studenti e docenti, che occupano ciascuna una sola pagina e che si esprimono in modalità estremamente differenziate, emerge con forza un aspetto del lockdown che merita di essere raccontato: la sofferenza ci accomuna, ma non ci colpisce tutti nello stesso modo. Anzi, la sofferenza esacerba le disuguaglianze pregresse e lascia spazio di proliferare a dolori preesistenti. Da questa consapevolezza, che le pagine del volume fanno emergere con chiarezza proprio grazie alla loro eterogeneità, si può muovere una riflessione intorno ai bisogni che il lockdown ha fatto emergere e alle soluzioni che la comunità civile è invitata a elaborare per far loro fronte. La comunità tutta dell’università, che si amplia per presa coscienza anche a chi legge, è chiamata da questo volume non solo a conoscere le proprie sofferenze e quelle altrui, ma anche a sviluppare la costruzione di possibili rimedi.

Fotografia tratta dal volume Lockdown. Vissuti e memorie della pandemia da Covid-19

Dalla duplice azione di ascolto e messa in dialogo delle esperienze che le 45 pagine del volume sono in grado di ingenerare nel pubblico scaturisce così una competenza, oggi più che mai messa a rischio dalla realtà virtuale in cui siamo costretti a vivere i nostri rapporti sociali: quella di creare legami interindividuali a partire da una condizione comune che ciascuno elabora a suo modo.

Non ha minor valore il fatto che questo volume si proponga di mettere in scena uno spaccato di vita di una porzione, seppur piccola, di una categoria sociale che nel dibattito pubblico intorno alla pandemia (ma non solo) è generalmente sottorappresentata: quella delle/degli studenti. Interessante poi è evidenziare il fatto che, per quanto nato da un corso universitario, questo progetto narrativo è stato costruito su base volontaria, perchè è proprio la messa in gioco personale e la volontà di ascoltare l’altro oltre che di raccontare se stessi che permette alla giustizia riparativa di avere un senso. Non troverete in queste pagine i nomi degli autori e delle autrici: questa infatti è stata la scelta di chi ha curato il libro che si è preoccupato più di fornire uno spazio di libero ascolto e auto-narrazione, piuttosto che di esibizione di sé. Non troverete le firme, dunque, ma molto di più: racconti fuggiti da pagine di diario personalissime, confidenze e segreti sussurrati a fior di penna, dolori taciuti e sofferenze gridate, in prosa, in versi e tramite il medium delle immagini. Un racconto insomma comunitario, umano, ma non per questo meno scientifico nella misura in cui cerca di fotografare gli effetti che un evento anomalo come quello che stiamo vivendo può avere su un microcosmo nel quale il macrocosmo dei lettori può trovare dei punti di comunanza tanto quanto di separazione.

Sempre nell’introduzione infatti questa progettualità comunitaria è messa in luce, con l’invito al pubblico di lettori e lettrici a trovare in questo spazio di lettura anche un’occasione di narrazione di sé, nonché per recuperare tra le pagine quella comunanza e quel sostegno che oggi così tanto ci mancano nella concretezza del reale.

«Le storie che giungevano giorno dopo giorno sono state “cucite” insieme – perché nella giustizia riparativa la metafora dell’ago che cuce è forse una tra le più potenti per evocare la “ricostituzione” di persone e legami – e rispettate nella loro autenticità contenutistica e stilistica attraverso un lavoro di editing limitato sostanzialmente all’impaginazione.
Il libro che ne è derivato è destinato non solo alla comunità universitaria ma alla collettività nel suo complesso. Ciascuno può leggerlo, meditarlo, riconoscersi nel vissuto di altri, trovare risposte, condividere la sofferenza o trarre linfa per nutrire la speranza». [Martina Toppi, ecoinformazioni]

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