
Aula bunker/ Condanna o redenzione?
Camminando per il quartiere di Como Albate, le persone riscoprono luoghi e spazi che avevano un po’ dimenticato. Forse perché le necessità del periodo hanno quasi costretto a riscoprire le immediate vicinanze di casa, ciascuno vede con uno sguardo nuovo l’ambiente quotidiano e pensa, si interpella, si chiede, domanda come si potrebbero migliorare determinate situazioni sotto gli occhi di tutti.

Se camminando si scende per via al Piano, sulla sinistra dopo il ponte ma prima del carcere, ci si imbatte in una grossa costruzione quadrata, alta oltre nove metri, di cui è impossibile non notare il degrado esterno, l’abbandono: l’ erba è incolta, la cancellata scolorita, anche se però dentro dicono ci siano una buona attrezzatura, riscaldamento ed impianto elettrico funzionante, bagni.
Si tratta dell’aula bunker, pensata e costruita apposta per un maxiprocesso di mafia, eppure mai usata. Terminata nel 1985 – al tempo in cui Francesca Fabrizi, indimenticata direttrice della casa circondariale ne assumeva l’incarico – e di pertinenza del Ministero di grazia e giustizia, col passare degli anni lo stabile è stato considerato da esso non più funzionale; la competenza è quindi passata al Ministero dei trasporti, che aveva valutato l’idea di spostare in quello spazio la Motorizzazione (tutt’ora sita in Via Tentorio con tutti gli uffici e i luoghi per gli esami) ma senza risultati. 35 anni di denaro pubblico sprecato prima, 35 anni di spazio pubblico inutilizzato poi.
Cercando sui documenti si legge che, nel 2014, la Regione Lombardia ha assunto questo luogo come bene patrimoniale dello Stato, mentre nel Piano di governo del territorio comunale del 2016, alla variante del Piano dei servizi, esso è considerato attrezzatura di interesse comunale, quindi un bene urbano da valorizzare.
La gente, come ha fatto per tanto tempo, discutendo, fantastica ancora sull’uso ipotetico cui potrebbe essere destinato: chi lo vorrebbe utilizzare come luogo di accoglienza per i senza fissa dimora (come tra l’altro si è tentato di fare anni fa), chi lo vorrebbe trasformato in una palestra per le Società sportive della città. Più realisticamente, potrebbe invece essere ricollegato al Carcere e ai suoi bisogni: spazi di socialità o magari per laboratori, aree di pronta accoglienza e reinserimento nella società per chi termina la pena… Pensiamo davvero a quante cose potrebbero nascere in questo luogo abbandonato, spreco di denaro pubblico come ce ne sono tanti nel nostro Paese, ma soprattutto spreco di luoghi, facilmente impiegabili per i bisogni sociali.
Istituzioni e società civile devono pensarci e progettare: lasciarlo così ancora per anni sarebbe un delitto. [Luigi Nessi, ecoinformazioni]