
Per la cura del Mediterraneo
La seconda giornata di Che il Mediterraneo sia, svoltasi nel pomeriggio di domenica 26 giugno all’Arci Mirabello di Cantù, aveva come titolo Mare comune, e non a caso. Introdotto dall’intrevista di Sara Sostini a Edoardo Bennato, il pomeriggio si è svolto discutendo l’eponimo libro di Andrea Rosso, edito da Nodo libri e ecoinformazioni, e approcciando questo luogo fisico, storico ed immaginario attraverso un complesso intreccio di saperi. A parlarne con l’autore e con Fabio Cani sono intervenuti Elena Riva, docente di Storia moderna all’Università cattolica, Enzo Tiso, presidente di Legambiente Como, e Sara Sostini, di Arci Como.
L’oggetto di discussione è un mare piccolo, semichiuso, più salato rispetto alla media, povero, vissuto sostanzialmente solo in costa. Eppure, o forse proprio per questo, il Mediterraneo è anche una culla di biodiversità, un crocevia di popoli e storia, nella sua accezione pacifica di commerci e sincretismi come in quella conflittuale e sanguinosa, fatta di guerre e migrazioni. Porsi l’obiettivo di parlare del Mediterraneo allora è forse già riduttivo, sarebbe forse più corretto parlare di dialogo con il Mediterraneo, senza dimenticare che tutti, direttamente o meno, vi siamo storicamente, ambientalmente e culturalmente immersi.
Un mare fondamentale che, però, non sta bene. La malattia mediterranea ha tanti volti: uno, quello rilevato da Enzo Tiso, è ambientale; ma c’è anche quello, sottolineato da Rosso nel libro, dello sfruttamento turistico; fino ad arrivare ai mali sociali del conflitto e delle migrazioni, che hanno reso le onde di questo bacino il fin troppo lieve sepolcro di migliaia di persone.

Queste alcune coordinate della questione. I problemi sono tanti, le soluzioni difficili e sempre da mediare nell’assemblea ideale (ed inesistente) dei popoli e dei viventi non umani coinvolti.
Alcuni spunti sono emersi nel corso dell’incontro: accanto alle quasi diecimila isole che costellano il Mediterraneo si stanno formando sempre più agglomerati di plastica, sgradevoli prodotti di geografia antropica mortali per la fauna marina, minacciata anche da sistemi di pesca irresponsabili e sversamenti più o meno voluti di petrolio. Ma non solo: sono ventiquattro i paesi che si affacciano direttamente sul mare, ma ai popoli costieri vanno ad aggiungersi trecento milioni di pendolari del mare, turisti per la maggior parte, che spesso non si rendono conto dell’irresponsabilità con cui imperversano sul territorio. E ancora, il Mediterraneo è un luogo condiviso ed è una fucina culturale e storica, ma la convivenza difficilmente è pacifica, e viene da chiedersi se sia possibile invertire la rotta verso un sincretismo contemporaneo che renda pacifica la convivenza di diversità troppo spesso conflittuali.

Il secondo incontro della due giorni sul Mediterraneo è diventato allora un dibattito articolato che ha delineato una necessità e posto un problema a monte di quelli delineati dai relatori. Da una parte, con l’espressione che usa nel libro l’autore stesso, la guarigione del Mediterraneo presuppone una coscienza di luogo da parte di chi lo vive, che porti ad una fruizione responsabile degli spazi, ad un rapporto di riconoscimento verso lo straniero del mare comune, al rispetto ambientale. Ma d’altro canto, la nozione stessa di coscienza di luogo porta con sé il problema di come rendere collettiva una forma mentis attraverso le differenze identitarie che si affacciano su questo mare. Identità, dunque, è il termine chiave della questione.

Da una parte, allora, è emersa una tendenza identificante, che suonerebbe più o meno così: ripensiamo il Mediterraneo come luogo dell’immaginario a cui tornare e a cui fare riferimento per un’identità comune e condivisa, transnazionale e transculturale. Invertiamo la rotta del pensiero “per direzioni”, il pensiero delle migrazioni, che va da sud a nord, e della politica, che va da est ad ovest, per tornare al centro. Quel centro sarà il mare. Il riscatto esistenziale del Mediterraneo, citando Bennato nell’intervista fatta da Sara Sostini e proiettata ad inizio conferenza, passa da quello culturale dei popoli marginalizzati dalle polarizzazioni socio-culturali.
Dall’altra, invece, la spinta storico-filosofica a mettere in discussione l’identità come concetto: non un’identità nuova, ma piuttosto una non-identità. Un’identità fluttuante, citando Fabio Cani, o addirittura quell’idea di identità come costrutto sociale che richiama L’invenzione della tradizione di Ranger e Hobsbawm e che porta a pensare l’esistenza e la coesistenza in un modo altro e meno autocentrato.

Che il Mediterraneo sia un ecosistema nonché un sistema sociale fragile ed attualmente sotto minaccia, comunque, è assodato e da questo presupposto deve muoversi la cura nei suoi confronti, che è anche cura di sé e del futuro del pianeta stesso, a livello sociale come sul piano ecologico.
È un punto solo filosofico che si arrivi al rispetto di questa entità pervasiva rendendosi conto, per dirla con Nancy, che si con-è noi con il Mediterraneo nella sua e nostra singolarità pluralità, o che invece si voglia invertire la rotta a seguito di una presa di coscienza che “si localizza” e ci cala nella simbiosi ecosociale con le diverse alterità che abitano questo mare. La certezza è che bisogna agire subito, pacificare la dimensione sociale, sanare l’ambiente e calarsi responsabilmente nella storia di questa piccola ma fondamentale bacinella d’acqua culla della civiltà. [Pietro Caresana, ecoinformazioni, guarda a questo link tutte le foto dell’incontro e del successivo aperitivo in musica, di Dario Onofrio, ecoinformazioni]
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