Alla trattoria popolare Arci Traverso il 7 luglio si è parlato di guerra e prospettive di pace attraverso la presentazione dell’ultimo numero della rivista Jacobin Italia dal titolo Le due guerre. Una serata in cui la convivialità popolare ha incontrato le analisi storiche dei luoghi più remoti dell’ex Urss da parte di Maria Izzo (presidente circolo Arci Traverso e autrice del numero) e le testimonianze da Lviv di Alona Liasheva (sociologa condirettrice di Commons: Journal for Social Criticism e membro del gruppo socialista ucraino Sotsialnyi Rukh) moderate da Piero Maestri di Ri-Make e Jacobin Italia. Un incontro ricco di analisi, testimonianze importanti e spunti di riflessione che lasciano però ancora molti interrogativi.

«Da una parte c’è una forma di capitalismo anti-liberale (la cui esistenza stessa smentisce le profezie sul fatto che la vittoria del capitalismo globale avrebbe implicato il trionfo della democrazia liberale) che ha bisogno di spazio vitale e guerre di conquista. Dall’altra, un Occidente che non riesce a uscire dalla gabbia della Guerra fredda e/o dello <scontro di civilità> e che di fatto crea le condizioni per un’escalation globale del conflitto in corso». Inizia così il nuovo numero di Jacobin Italia, presentato il 7 luglio nella trattoria popolare Arci Traverso da Piero Maestri con la presenza di Maria Izzo (presidente circolo Arci Traverso e autrice del numero) e l’attivista e sociologa Alona Liasheva in collegamento da Lviv.

Numerosi i contributi e i nomi di spessore all’interno della rivista, da quello di Ida Dominijanni e Salvatore Cannavò proprio sul concetto delle due guerre a quelli di Donatella Di Cesare e Giorgia Serughetti che ragionano sul concetto di verità e narrazioni tossiche. C’è spazio anche per le analisi sul femminismo russo, di Maria Chiara Franceschelli, e per testimonianze dirette dalla sinistra Ucraina e della dissidenza interna russa.

Ma la serata offre soprattutto l’analisi e l’approfondimento degli stati di tensione dei luoghi remoti delle repubbliche ex sovietiche che potrebbero riaccendersi partendo dal conflitto in Ucraina. Territori come il Nagorno-Karabagh, la Transnistria, l’Ossezia e l’Abkhazia dove sono presenti dispute territoriali più o meno latenti, che Maria Izzo definisce «aree dalla poca possibilità di sviluppare un’economia, altamente fragili e con grandi vulnerabilità. Che sono collegate a stati protettori. L’Armenia per il Nagorno-Krabagh, mentre la RUssia per Abkhazia, Transnistria e Ossezia. Legate quindi profondamente alla geopolitica mondiale».

Un altro discorso è quello relativo a Donets e Luhansk, a volte pensate come terre di nessuno in quella zona grigia in cui si fa fatica a immaginare come si viva. «Ho avuto modo di passare un periodo in quelle zone e posso dire che non sono distanti da quanto definiamo normalità, spesso le persone ti raccontano dell’ordinario. Una normalità fragile, uno stato in cui non c’è nessuna guerra e nessuna pace, in cui nessuna pace significa rischio della guerra che spesso è a pochi passi».

«Una delle narrazioni è appiattire la società russa sul proprio presidente, così è anche in Ucraina ma qui non c’è una società civile piatta. Esiste società civile anarchica, di sinistra radicale che si oppone alla guerra con iniziative dal basso», afferma Piero Maestri, autore di Jacobin Italia.

E un esempio è quello di Alona Liashev, sociologa e attivista attiva nel mutuo soccorso delle popolazioni che arrivano a Lviv (nella parte più occidentale dell’Ucraina) che racconta del grande lavoro svolto dalla società civile a sostegno delle persone che scappano dal conflito ma anche delle iniziative politiche portate avanti per continuare a garantire i diritti umani. «Mi sono occupata di internally displaced people, che arrivano da territori come Kharkiv e altri territori occupati. Ogni giorno diventa sempre più dura».

Difficile capire cosa succede sulla linea del fronte perché internet non funziona, i mezzi di comunicazione nemmeno e spesso non si hanno notizie certe. Molto viene raccontato da chi è fuggito, spesso anche in modo “illegale”. «Per l’evacuazione sono stati organizzati dei convogli ucraini e internazionali che sono stati colpiti dalle forze armate russe. Molti riescono a scappare attraverso la corruzione dei russi stessi».

L’unica fonte attendibile su quello che succede sono le persone che scappano. In questo momento della guerra, sentendo le parole di Alona, il problema è duplice: economico e umanitario. Mancano cibo, elettricità, acqua, esiste una fortissima repressione nel regime di occupazione russo e anche se ci sono state esperienze di resistenza è difficile.

«Non c’è nessun accordo di pace perché si tratterebbe di congelare la situazione con famiglie divise, di abbandonare territori occupati dai russi. L’unica possibilità per alcuni è cercare di liberare più territori. Esiste una sinistra marginale ma radicale, che supporta le persone e i membri dei sindacati che si sono mobilitati non in modo radicale. Certo si mantiene la posizione critica con lo stato ucraino rispetto a politiche economiche liberiste e politiche sociali insufficienti. Mantenere questa critica in questo momento è importante ma la società ucraina dal nostro punto di vista è per una volta piuttosto unita contro l’occupazione russa».

Alona, nonostante l’appartenenza alla sinsitra radicale, presenta una posizione di supporto alla resistenza ucraina. Nel suo discorso non emerge mai il cenno alle discrasie di questa resistenza e alla presenza di numerosi gruppi di estrema destra, nostalgici del militante filo nazista Stepan Bandera, che vengono sovente glorificati dallo stato ucraino e da media e politici occidentali. Ma dal suo discorso emerge il timore che una cessione territoriale e un compromesso con la Russia da parte del presidente Volodymyr Zelensky possa determinare un’ascesa dell’estrema destra e un’escalation nazionalista più preoccupante di quella attuale. «Il problema è il governo che verrà a seguito di una ipotetica sconfitta».

Dal pubblico c’è chi si chiede che ne sarà dei territori russificati e come fare a evitare uno scontro più sanguinoso nel tentativo della riconquista. Le domande vertono anche sulla nuova politica della Nato, sul nuovo Strategic Compact approvato il 29 giugno che ha cristallizzato la ritrovata recente vitalità di un’alleanza i cui più grandi beneficiari sono gli Stati Uniti, che presto accoglierà Svezia e Finlandia come nuovi membri. Testimonianze e analisi importanti, molte domande, ma poche risposte.

Al termine della presentazione l’occasione della cena popolare, con buon cibo e buon vino, offre nuovi spunti di riflessione e confronto. Ma allo stato attuale delle cose appaiono poche le prospettive di speranza. L’unica bussola è quella della continua lotta verso una pace effettiva, contro la guerra in Ucraina e contro l’insensato scontro internazionale alimentato da scelte politiche scellerate dai fini poco nobili – anche euro-atlantiche, oltre che russe. Per porre fine alla guerra è necessario avere in agenda l’interesse della pace e l’abbandono della competizione tra potenze – principalmente Russia, Stati Uniti e Cina – sulla pelle delle popolazioni di tutto il mondo. [Daniele Molteni, ecoinformazioni]

 

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