
8 settembre/ Memoria di una tragedia nazionale
Si è svolto in occasione della ricorrenza dell’8 settembre un momento di commemorazione voluto dal Centro Studi Schiavi di Hitler, insieme ad Anpi e Istituto di Storia Contemporanea “P.A. Perretta”, soprattutto per ricordare le centinaia di migliaia di soldati italiani abbandonati dalla monarchia, dopo l’armistizio, in balia degli occupanti nazisti.
L’annuncio dell’armistizio firmato a Cassibile, in Sicilia, con le armate alleate, in assenza di qualsiasi direttiva e previsione strategica da parte del governo regio, si trasformò in una tragedia per la maggioranza dei soldati italiani, che non sempre riuscirono a rientrare alle loro case. Per molti, anzi, la decisione di non “servire” il fascismo repubblicano e gli occupanti nazisti ebbe come esito un lungo periodo in campi di concentramento nei territori del Reich, sfruttati come lavoratori coatti e senza nemmeno il riconoscimento del loro status di prigionieri di guerra. Questa situazione, drammatica e paradossale al tempo stesso, si è poi prolungata nell’indisponibilità da parte delle istituzioni a riconoscerne il ruolo (e quindi anche a concedere un doveroso indennizzo). Invece gli IMI (Internati militari italiani, questo il nome con cui sono ormai ricordati) furono una delle espressioni più alte della resistenza civile.
A queste vicende si dedica ormai da più di vent’anni il Centro studi Schiavi di Hitler, nato all’interno dell’Istituto di Storia Contemporanea, e da tempo attivo con piena autonomia.
Durante la commemorazione di ieri, al Monumento alla Resistenza Europea – nel cui ambito è stata posata, negli anni scorsi, una lapide in memoria degli Schiavi di Hitler – hanno preso la parola alcuni parenti dei deportati, che hanno ricordato le vicende dei loro congiunti e anche le difficoltà nel riuscire a ricostruirle. L’incontro è anche servito a gettare le basi per il lavoro da fare in futuro, anche in previsione dell’ottantesimo anniversario dell’armistizio che cadrà il prossimo anno. [Fabio Cani, ecoinformazioni]
I parenti dei deportati testimoniano le vicende dei loro parenti: