
Diritti/ A Cantù la manifestazione per la libertà di culto e di associazione
A Cantù, il corteo per la “libertà di culto” si è snodato nel pomeriggio di sabato 3 dicembre dalla sede dell’Associazione Assalam (nella zona industriale prossima a Mirabello) fino a piazza XX Settembre (di fronte a Villa Calvi, già sede dell’amministrazione comunale canturina). È stato un corteo pacifico, partecipato (sicuramente non meno di 700 persone – contate quasi una per una al principio del percorso – forse quasi mille), interculturale con una notevole rappresentanza di persone di fede musulmana e una selezionata partecipazione di appartenenti al mondo dell’associazionismo, dei sindacati, dei partiti democratici.
Prima della partenza, la voce della comunità musulmana del Canturino, ovvero dell’Associazione Assalam è stata efficacemente affidata a persone giovani: un ragazzo che ha sintetizzato i termini ideali e “costituzionali” della questione (quella dei diritti, cioè: a partire da quello della libertà di culto ma non solo) e due ragazze che hanno espresso la multiforme realtà dell’Associazione, dove si studia in italiano, si impara l’arabo, si socializza e (anche) si prega.
Qual è dunque la materia del contendere? Il diritto alla libertà di culto si dirà, secondo il dettato costituzionale. Oggi le voci pubbliche di Assalam hanno messo in chiaro che la fede musulmana non ha bisogno di un luogo deputato per esprimersi (come del resto anche quella cristiana, secondo la ben nota citazione evangelica: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» [Mt 18, 20]); non si può quindi “vietare un culto” in forma personale, così come non si può “vietare un pensiero”. Ma si può vietare – o quantomeno cercare di comprimere – la sua espressione pubblica, collettiva, civile. Ed è evidentemente a questo che si riferisce l’articolo 19 della Costituzione italiana, quando scrive all’art. 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Ed è altrettanto evidente che a questo si riferisce l’azione “repressiva” dell’amministrazione canturina, così come i provocatori comunicati delle ultime ore, che hanno l’unico, evidente scopo di cercare di incattivire la vicenda, esacerbando gli animi…

In questi ripetute prese di posizione – di ispirazione “leghista” nel senso peggiore del termine –, si continua a ripetere che non sono in discussione i principi costituzionali della libertà di culto (e ci mancherebbe altro!…), bensì quelli che vengono ritenuti “abusi” o “violazioni delle leggi”. È giocoforza a questo proposito ricordare alla zelante amministrazione canturina e a un rappresentante del governo eletto al Parlamento sul territorio, un altro articolo della Costituzione: il terzo che – come si capisce facilmente dalla sua presenza nelle prime righe – deve essere considerato fondamentale e – ovviamente – ineludibile. Recita l’art. 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Se di questo articolo si dà una lettura non ottusamente burocratica, si capisce che l’unico modo di rispondere da parte di un’amministrazione pubblica a criticità (anche legali) nell’espressione di un diritto fondamentale di un gruppo (non piccolo) di cittadini e cittadine è quello di mettersi a disposizione per cercare di risolverlo «rimuovendo gli ostacoli» e facendo in modo che gli eventuali abusi o difformità legali vengano risolte (non ignorate, si badi bene – nel caso ovviamente che in qualche caso sussistano…).
La vicenda dell’Associazione Assalam è lunga e complessa, e in essa svolgono ruoli centrali diversi “attori”: più di una amministrazione civica e poi il governo lombardo (che, con una legge poi dichiarata incostituzionale, entrò a gamba tesa cercando – in quel caso con sfacciata evidenza – di sopprimere un diritto fondamentale perché “non gradito”), e quello nazionale, oltre diverse istanze della magistratura. Si potrebbe pensare che molte abbiano fatto del loro peggio…
A fronte di qualsiasi problema, non è comunque lecito per un’amministrazione pubblica ignorare e anzi reprimere le giuste esigenze di una parte (non importa quanto estesa, se minoritaria o maggioritaria) della cittadinanza. L’ultima procedura avviata per l’acquisizione al “patrimonio pubblico” del capannone legittimamente di proprietà dell’Associazione Assalam suona davvero come uno stravolgimento della ragione e una totale incomprensione dei fatti.
La manifestazione di oggi, in modo civile e democratico, ha provato a ristabilire la ragione e i diritti: più volte si è ribadito che non era un corteo “contro” il Comune, ma una richiesta di ascolto, per arrivare a una soluzione (ascolto che fino ad ora l’amministrazione di Cantù ha pervicacemente negato). Ancora alla fine della manifestazione, i rappresentanti dell’Associazione Assalam hanno consegnato a Francesco Pavesi, consigliere comunale della lista Lavori in corso, che si era offerto nei giorni scorsi come “mediatore”, una lettera per la sindaca Alice Galbiati, nella speranza dell’avvio di un dialogo.
In piazza c’era un folto gruppo di cittadine e cittadini, così folto che un pezzo del corteo non è nemmeno riuscito a entrare nella piazza XX Settembre. Però, di fronte a simili questioni, di alta idealità e di concreta quotidianità, ci sarebbe dovuta essere l’intera popolazione. Perché – come bisogna continuare a ripetere – i diritti sono tali solo se valgono per tutte le persone, singolarmente e nel loro complesso. [Fabio Cani, ecoinformazioni – foto Fabio Cani, Dario Onofrio ecoinformazioni]