
Terremoto di classe
La domanda, dopo ogni terremoto, è sempre la stessa: perché muoiono per lo più poveri? La notizia rassicurante che tra le vittime non ci sono italiani e forse solo un cittadino europeo conferma che anche il terremoto, come le epidemie e ogni altra catastrofe discrimina per classe e risparmia noi opulenti europei, insieme oggi ai pochi marocchini che possono permettersi case vere, analoghe alle nostre.
Così quando il sisma violentissimo colpisce un paese come il Marocco, dove lo squilibrio tra ricchezza e povertà è inumano, la scossa miete migliaia di vittime, la maggior parte sepolte vive in case dalle strutture inconsistenti, inabitabili sempre, trappole mortali se la terra trema.
Forse anche questo fa capire perché è necessaria (indipendentemente dal sisma) la fuga di moltitudini da zone insicure del pianeta, inospitali per scelte politiche criminali dei poteri locali e internazionali, non per sventura naturale. Sono persone che scappano (non solo mentre c’è un terremoto) dalle loro case e dal pericolo di morte e infelicità, dalla povertà. Il flusso migratorio, determinato dal colonialismo economico che ancora impazza e fomenta guerre in Africa (e non solo), viene invece ostacolato uccidendo in mare e nel deserto i profughi o non accogliendoli e vessandoli in Italia, a Como.
Confesso che anche io, viaggiatore innamorato del Marocco, più volte ho indugiato con soddisfazione ammirando la bellezza antica di ksar o casupole di argilla documentando fotograficamente la “suggestiva” miseria. Siamo così noi occidentali: ricchi da fare schifo, ma romanticamente appassionati dal fascino della capacità atavica dei poveri di vivere nonostante tutto, senza nulla. Ma povero e disperato non può essere bello.
Ricordo una viaggiatrice che con disappunto notò in uno sperduto villaggio nel quale ritornavamo dopo anni che, con l’arrivo dell’acqua potabile, si era persa l’autenticità della cultura locale fatta di donne costrette al trasporto del vitale liquido in vasi di terracotta e capaci di sostenerli sul capo con grande dignità. Io stesso, quando a Fes mi fu offerto un mazzo di menta per sovrastare l’odore terribile di putrefazione delle pozze del souk dei tintori nelle quali lavoravano (e lavorano) persone immerse nell’aqua putrida, mi indignai, ma nulla feci per limitare che non si svolgesse l’oscena visita dei turisti ricchi per cogliere con infiniti scatti i “gladiatori” marocchini nel “Colosseo” terribile dove vengono con tecniche “naturali” preparate le pelli che poi pretendiamo di comprare per pochi euro.
Anni fa Internazionale analizzò l’atteggiamento di noi ricchi in visita ai paesi poveri e osservò che forse la visione della degenerazione imposta dalla povertà oltre che la lacrimuccia di commiserazione ci rende felici facendoci sentire ricchi anche quando nella piramide sociale del nostro paese siamo solo in una posizione mediana, ma con casa, acqua, scarpe, cibo, possibilità di curarci, …
Forse la prima cosa che dobbiamo alle migliaia di vittime di oggi in Marocco è una revisione del nostro rapporto rapace anche di chi come me ha grande rispetto per la dignità di tutti i popoli e sogna la loro liberazione e l’affermazione universale dei diritti. Forse i milioni di immagini della Koutoubia in questo momento furiosamente condivise sui social dai milioni di italiani che il Marocco lo hanno visto in tour e che dai propri archivi estraggono immagini per commentarle con reale sofferenza e assoluta mancanza di azione perché la piaga smetta di sanguinare. Trasformare ogni immagine della povertà in impegno per risolverla mi sembra l’unico modo per renderla giustificabile. Si tratta anche in questo caso di smetterla di “aiutarci a casa loro” e iniziare davvero a “aiutarli a casa loro” e chiarire che “casa nostra è anche casa loro”. [Gianpaolo Rosso, ecoinformazioni]
Presto su ecoinformazioni le info sulle iniziative di Arci e Arcs di solidarietà con le vittime del terremoto in Marocco che stiamo concordando con le persone impegnate in nostri progetti nella zona colpita.