facciatapalazzocernezziDopo la scelta innovativa – reale cambio di passo – nella formazione della Giunta che il sindaco di Como Mario Lucini ha voluto composta in modo uguale da maschi e femmine, le nomine nelle partecipate non hanno lo stesso timbro di eguaglianza tra i generi. Il giornalista economico Guido Capizzi evidenzia i limiti della scelta fatta che sacrifica le donne in particolare negli incarichi di maggior peso economico nonostante indicazioni europee e nazionali invitino a fare diversamente.

Il sindaco di Como nomina gli amministratori nelle società partecipate e riceve critiche dalle Donne. Le nomine del Sindaco di Como Mario Lucini per le società partecipate fanno discutere le donne, di fatto escluse dalle scelte del primo cittadino. I curricula presentati dai candidati sono stati 127, di cui 26 donne (il 20,5%); i nominati sono stati 25, di cui 6 donne (il 24%). Di queste: tre vanno alla Fondazione La Presentazione, una alla Fondazione Bonoli, una a UniverComo, una nel Collegio sindacale di Comodepur come supplente. Nessuna donna nei Consigli di Amministrazione delle SpA (SPT Holding e Comodepur). Qualcuno si chiede: possibile che nessuno abbia ricordato al Sindaco Lucini la legge 120 del 2011, nota come legge Golfo-Mosca (dai nomi delle due deputate, una del PdL e l’altra del PD che l’hanno scritta e fortemente sostenuta – anche a Como in due incontri organizzati dall’Associazione Il Senato delle Donne e dal mensile “Geniodonna”) sulla parità di genere? Nemmeno tra le donne assessori (una alle Pari Opportunità) della sua giunta o consiglieri comunali della sua maggioranza? E nessuno ha ricordato al Sindaco di Como che il prossimo 12 febbraio entra in vigore il Regolamento della legge sulle quote di genere per i CdA delle società pubbliche (regolamento che risale a novembre 2012 ed era conosciuto già nei mesi precedenti)?

Allora tentiamo un approfondimento e un promemoria. Le società a controllo pubblico dovranno modificare i propri statuti per assicurare l’equilibrio tra i generi. Questo è previsto dal DPR 251 del 30 novembre 2012 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 gennaio 2013, n. 23) concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 2359, commi 1 e 2 del Codice Civile.

Il provvedimento stabilisce che le società controllate dalle pubbliche amministrazioni, escluse le società quotate, prevedono nei propri statuti che la nomina degli organi di amministrazione e di controllo a composizione collegiale sia effettuata secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato (solitamente il femminile) ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo. Qualora non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al genere meno rappresentato, tale numero è arrotondato per eccesso all’unità superiore. Le società prevedono le modalità di sostituzione dei componenti dell’organo di amministrazione venuti a cessare in corso di mandato in modo da garantire il rispetto della quota di cui sopra. Tale quota si applica anche ai sindaci supplenti (se nel corso del mandato vengono a mancare uno o più sindaci effettivi, subentrano i sindaci supplenti nell’ordine atto a garantire il rispetto della stessa quota). Le società assicurano il rispetto della composizione degli organi sociali per tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del regolamento. Per il primo mandato la quota riservata al genere meno rappresentato è pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell’organo.

Il fine del regolamento previsto dalla legge 120/2011 (la “Golfo-Mosca”) per il riequilibrio di genere nelle società controllate dalle amministrazioni pubbliche è di creare una disciplina uniforme per tutte le società pubbliche. L’obiettivo è di definire i procedimenti – con tempi congrui e modalità efficaci – per assicurare la presenza di un terzo di donne (un quinto al primo mandato) negli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, a partire dai prossimi rinnovi. Le controllate, dunque, devono prevedere che nei propri statuti la nomina degli organi di amministrazione e di controllo sia effettuata secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga un terzo dei componenti di ciascun organo (ovvero un quinto dei componenti in sede di prima applicazione). Ciò significa che, al pari delle società quotate, anche le società controllate dalle pubbliche amministrazioni dovranno rivedere e integrare i propri statuti per renderli conformi al criterio dell’equilibrio di genere imposto dalla Legge 120/2011. L’individuazione dei meccanismi più adeguati per raggiungere tale obiettivo è rimesso all’autonomia statutaria. Dunque, una volta fissato l’obiettivo, il Legislatore ha voluto mantenere flessibile il mezzo per il suo raggiungimento, per permettere alle società di trovare formulazioni di clausole statutarie soddisfacenti rispetto alle singole esigenze. L’approccio può essere condiviso, anche per uniformità di trattamento con le società private quotate, ma potrebbe essere reso più efficace con disposizioni sui tempi e i modi entro i quali adottare gli atti e i provvedimenti di revisione degli statuti. Ogni amministrazione comunale poi potrebbe con il proprio statuto disciplinare in primis le modalità di designazione e di nomina dei componenti degli organi delle proprie controllate, per assicurare il rispetto del riequilibrio di genere. Il perimetro di applicazione della legge 120/2011 sulla parità di genere negli organi sociali include due tipologie di società: le quotate e quelle a controllo pubblico, non quotate nei mercati regolamentati. Il Regolamento era atteso da tempo per le potenzialità numeriche del suo impatto sulla parità di genere ( si stima che nei prossimi dieci anni, tra consiglieri e sindaci, le donne che siederanno negli organi sociali delle società pubbliche saranno circa 10.000). La regolamentazione attuativa ha dovuto considerare che la definizione di “società pubblica” è complessa, ovvero comprende realtà societarie tra di loro diverse, con sistemi di nomina degli organi sociali non riconducibili a una sola procedura. I casi più semplici prevedono enti pubblici che possiedono la totalità del capitale sociale e provvedono direttamente alla designazione dei membri degli organi sociali. Le situazione più complesse sono raggruppabili in due tipologie: nella prima una parte minoritaria del capitale sociale è di proprietà privata e nella seconda appartiene a più di un ente pubblico. L’auspicio che il Regolamento dettasse linee guida chiare e puntuali sul processo di designazione delle cariche sociali si può dire attuato. [Guido Capizzi]

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