Basta morti. Basta cimiteri marini

emigrareCon una lettera aperta alla donne e agli uomini di Como e alle donne e agli uomini che ci rappresentano nelle istituzioni locali, la pacifista comasca Celeste Grossi denuncia le responsabilità della tragedia di Lampedusa e l’ipocrisia delle lacrime a cui non seguono azioni concrete e chiede che il Comune di Como proclami «una Giornata di lutto per i morti nel Mediterraneo. Quei bambini e quelle bambine, quelle donne e quegli uomini fanno parte della nostra comunità umana, la comunità che mancava a quelle vittime della frontiera fuggite in cerca di sicurezza e protezione per sé e per i propri figli. Vorrei che la mia comunità le accogliesse almeno da morte e desse a quelle persone − che non incontreremo mai e che sarebbero potute diventare nostre concittadine −, simbolicamente, almeno per un giorno, cittadinanza in questo Paese che le ha costrette ad un viaggio mortale». Leggi nel seguito del post il testo della lettera.

«Fleba il Fenicio, morto da quindici giorni/ dimenticò il grido dei gabbiani, e il flutto profondo del mare./ E il guadagno e la perdita. Una corrente sottomarina/ gli spolpò le ossa in sussurri. Mentre affiorava e affondava/ traversò gli stadi della maturità e della gioventù entrando nei gorghi. (T. S. Eliot, La morte per acqua)

La tragedia avvenuta a Lampedusa ci interroga su quanto il nostro paese e l’Europa tutta stiano smarrendo il senso di umanità. Le oltre cento persone morte oggi (e il numero è drammaticamente destinato a salire ancora) vanno ad aggiungersi alle altre ventimila morte per i naufragi nel Mediterraneo.

Ognuno di loro − donne, uomini, bambine e bambini − ha avuto una donna che gli ha dato la vita e adesso ha una striscia d’acqua a scarnificarne il corpo e a trasportarne le ossa. Dei loro nomi non sappiamo, delle loro storie nemmeno; conosciamo il mare che li porta con sé attorno ai luoghi da noi abitati. Chi come me ama la vita, di fronte alla morte resta attonita, ma continuo ad avere il coraggio di nominarla, di ricordarla e di narrarla. Il coraggio del dolore e del lutto, per evitare altre morti e altre tombe marine.

 «Dovremmo protenderci nel Mediterraneo non come “arco di guerra” ma come “arca di pace”». Diceva inascoltato don Tonino Bello. In Italia e in Europa, invece, ci si arrampica sulle parole: “Sì ai regolari, no ai clandestini”.

Non accetto che il mondo venga diviso in clandestini e non. Per anni la parola “clandestino”, nel nostro Paese e nel nostro territorio, è stata usata come sinonimo di pericolo, di criminale. Non nego che ci siano anche tra i migranti soggetti pericolosi o criminali, questi vanno puniti individualmente se hanno commesso reati accertati. Ma trovo inaccettabile considerarli tutti pericolosi. Soggetti pericolosi e criminali ci sono anche tra noi, non sono clandestini e molti vestono in doppio petto, sono stimati e rispettati, con soldi e potere, talvolta dietro il loro volto sorridente ci sono le mafie. Mi sento cittadina del mondo, per caso nata in Italia. L’unica razza che conosco, proprio come Albert Einstein è la razza umana.

 Di fronte a queste vittime innocenti non dimentico che il Parlamento italiano il 6 febbraio del 2009 ha ratificato il Trattato di amicizia italo-libico che prevede l’impiego di mezzi e risorse per controllare le frontiere e impedire le partenze verso l’Italia. Un’ulteriore norma disumana ha reso istituzionale questo mare di morte, dopo la legge Bossi-Fini, che negli anni precedenti aveva determinato le nuove forme di schiavitù con cui sono stati accolti gli immigrati e le immigrate. Nel Mediterraneo si combatte una guerra. La guerra contro gli esclusi.

E non dimentico che il 6 maggio del 2009, dopo che per anni le navi italiane avevano soccorso i migranti anche fuori dalle acque territoriali, per la prima volta il nostro Paese respinse 3 barconi con 227 persone a bordo, cancellando di colpo il principio di non respingimento previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sul diritto d’asilo. Non dimentico la tragedia avvenuta il 6 aprile 2011 nel Canale di Sicilia. Allora, dopo la Rivolta dei gelsomini, di fronte all’esodo, del tutto prevedibile, di alcune migliaia di migranti e profughi l’Italia reagì con disumanità, allarmismo sociale, competizione fra egoismi istituzionali, campi di concentramento, filo spinato, minacce di rimpatri collettivi, ronde “spontanee” e caccia ai fuggitivi.

Di pensieri e azioni rivolte all’umanità che soffre ne vedo pochi, troppo pochi. Non accetto l’ipocrisia di chi oggi si veste a lutto mentre ieri firmava le leggi sull’immigrazione. Non accetto le politiche migratorie italiane, che trasformano i disperati in clandestini. Non accetto che chi scappa dalla guerra e dalla miseria abbia, come unica possibilità, quella di affidarsi a uno scafista che poi li butta in mare. Non accetto di essere corresponsabile di una strage quotidiana di donne, uomini, bambini la cui unica colpa è inseguire la speranza di una vita migliore. Sono impietrita dalla ripetizione di cose già viste. Non voglio sentirmi complice, anche solo per scoraggiamento e rassegnazione. Sono addolorata e indignata. Per poco che sia, voglio ancora dire e far sentire “Non in mio nome”.

Vorrei che il Comune di Como proclamasse una Giornata di lutto per i morti nel Mediterraneo. Quei bambini e quelle bambine, quelle donne e quegli uomini fanno parte della nostra comunità umana, la comunità che mancava a quelle vittime della frontiera fuggite in cerca di sicurezza e protezione per sé e per i propri figli. Vorrei che la mia comunità le accogliesse almeno da morte e desse a quelle persone − che non incontreremo mai e che sarebbero potute diventare nostre concittadine −, simbolicamente, almeno per un giorno, cittadinanza in questo Paese che li ha costretti ad un viaggio mortale». [Celeste Grossi]

1 thought on “Basta morti. Basta cimiteri marini

  1. Niente da aggiungere, parole da condividere e da meditare. Grazie Celeste.

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