Tsipras? L’Europa e la Nazione
Luca Michelini interviene nel dibattito dopo l’incontro con Guido Viale di venerdì 21 febbraio alla Cascina Massée. Leggi nel seguito il testo integrale dell’intervento diffuso con la mailing list Democrazia economica.
1. Sono tra i firmatari per la lista Tsipras e, se le condizioni lo permetteranno, rimarrò nel comitato organizzativo provinciale della lista. Ho ascoltato all’assemblea di presentazione di Como la conferenza programmatica che ha tenuto Guido Viale, tra i promotori di questa nuova aggregazione. Ma di che cosa si tratta, esattamente? E come valutarla?
Le riflessioni che propongo vorrebbero costituire una focalizzazione di problematiche, piuttosto che un grido di battaglia propagandisco, a cui non sono aduso e che ritengo del tutto controproducente.
Del resto, sono osservazioni problematiche per un motivo preciso: perché sarà solo il corso degli avvenimenti futuri a determinare le scelte di voto e di militanza. Gli scenari sono in così rapida evoluzione che sarà anche solo il mero istinto di sopravvivenza a dettare l’agenda di ciascuno. A questo, purtroppo, ci ha ridotti la politica italiana e coloro i quali, da posizioni dominanti sul piano economico e sociale e istituzionale, la dirigono. Basta vedere quanti sono diventati in termini quantitativi gli spostamenti di voto in Italia: si misurano, ormai, in quasi due decine di milioni, ma potrebbero diventare di più. E non a caso lo sforzo maggiore dei ceti oggi socialemente e politicamente dominanti è quello di concepire sistemi elettorali e istituzionali antidemocratici, che limitano la rappresentanza. In nessun Pese civile esiste una sola Camera: ricordate la liberale “divisione dei poteri”? In nessun Paese civile si ignorano politicamente e tecnicamente le sentenze della Corte costituzionale: ricordate le lotte del dopoguerra per la nascita della stessa Corte? In nessun Paese civile farebbe ancora presa la propaganda della “governabilità” e “dell’alternanza” (che la Corte, e l’attuale Governo Renzi, ricordano essere una mera chimera), dopo i disastri di cui ha dato prova per vent’anni. In nessun Paese civile i parlamentari vengono scelti dalle segreterie di partito.
2. In Grecia è accaduto un “miracolo” politico, afferma Viale: partitini di cosiddetta “sinistra” (una parola del tutto vuota, segnala opportunamente Viale, perché utilizzata da partiti che hanno programmi del tutto differenti e contrastanti, spesso), in continuo, reciproco litigio e quasi scomparsi elettoralmente, sono riusciti a trovare una sintesi federativa e la via del successo elettorale. Domani forse quella del Governo. E’ un metodo che si vorrebbe ripetere in Italia, grazie alla iniziativa di un gruppo di intellettuali che dalla loro hanno una merce rarissima in Italia: la credibilità; hanno, cioè, anni di militanza civile, di analisi, di battaglie, di coerenza, di tentativo di trovare un legame tra teoria e prassi, di indipendenza di giudizio, di libertà di pensiero.
3. A Como non mancano i critici, come Gianpaolo (il) Rosso: che scorgono nel metodo i tratti dell’elitarismo, come dimostrerebbe l’opacità del metodo di selezione delle candidature.
Non entro troppo nel merito, perché non è il momento delle polemiche, ma alcune osservazioni si possono proporre.
Il metodo prevede che tutti i partiti che fossero interessati all’aggregazione debbano fare un passo indietro proprio per le candidature (non possono presentarsi eletti e dirigenti degli ultimi dieci anni); purtroppo non è stato esteso il veto ai sindaci: è il caso di ricordare che il Governo Renzi è un governo di sindaci e che il sindaco-sceriffo è stata una di quelle innovazioni istituzionali che hanno contribuito a portarci dove siamo e che è del tutto funzionale al famigerato “patto di stabilità”, che offre un potente contributo all’avvitamento della crisi.
Ma più che il ragionamento tecnico-organizzativo, ora vale quello politico.
La possibilità di elezione e il potere da esercitare sono così ridotti (il Parlamento europeo non conta quasi nulla e il numero dei deputati italiani è quello che è), che il problema delle candidature è del tutto secondario (una volta eliminati gli appetiti dei partiti esistenti… ) rispetto alla prospettiva politica che le elezione europee possono aprire.
n altri termini, le elezioni europee sono il banco di prova per la costruzione di una formazione politica nuova, capace di ridare rappresentanza politica, in Italia, ad una delle forze sociali che ha segnato la storia nazionale ed europea degli ultimi duecento anni: le organizzazioni di differente natura ed orientamento ideologico che si sono poste l’obiettivo di democratizzare politicamente, socialmente ed economicamente il Paese. Il bacino elettorale di riferimento è potenzialmente molto vasto, avverte Viale: anzitutto gli astensionisti, ma poi anche i delusi dal PD e da M5S, oltre che i rimasugli dell’elettorato dei partitini alla sinistra del PD stesso. I partitini sono chiamati a fare un deciso passo indietro, per farne, sperabilmente, molti in avanti assieme a tanti altri sogetti (individui, associazioni) finora privi di rappresentanza politica.
Le elezioni, dunque, non sono solo un banco di prova elettorale, ma anche l’inzio, se il responso delle urne sarà incoraggiante, di un embrione di organizzazione. Sarà a quel punto che i problemi della forma organizzativa (i metodi di selezione della classe dirigente, l’organizzazione territoriale, il tema del rapporto tra politica ed istituzioni, il tema dei finanziamenti pubblici ai partiti ecc.), assumeranno rilievo decisivo. E poiché si è insistito nell’affermare che l’organizzazione in fieri è una “squadra aperta”, cioè è una squadra pronta ad inglobare, cammin facendo, individui, associazioni, movimenti, partiti o loro spezzoni, il metodo di lavoro e la credibilità dei promotori lascia presupporre che sia finalmente possibile creare una organizzazione politica vitale e non settaria; in caso contrario, l’esperimento imploderà da sé.
4. Non mancano, dunque, le criticità.
Qualla maggiore ritengo sia costituita proprio dal ricorso alla collaborazione dei partiti esistenti, soprattutto quelli “rossi” (da SEL a quanto esiste alla sua sinistra, ma anche ai tanti profughi del PD): che sono ridotti al lumicino e al traccheggio non a caso, cioè per una serie di errori politici, organizzativi, culturali e sociali evidentissimi, sui quali non è il caso ora di dilungarsi, perché sono i fatti a parlare. Pur vivendo una situazione di gravisssima crisi economica e sociale milioni di italiani non trovano alcuna rappresentanza in partiti che, a parole, si presentano come loro interpreti e referenti. Del resto, la crisi in corso in gran parte è frutto delle politiche di “centro-sinistra” fin qui perseguite.
Inoltre, fa pensare il fatto che in Grecia il “miracolo” politico si è realizzato solo quando il Paese è stato deliberatamente gettato, dall’Europa e dalla Germania in particolare, in una crisi economica e sociale spaventosa (smantellamento del sistema sanitario, dell’istruzione e della Università, dell’informazione pubblica ecc.) e solo quando hanno ripreso enorme vigore forze addirittura apertamente fasciste e antisemite. Ho cioè il timore che in Italia le ottuse abitudini politiche del passato sopravviveranno ancora a lungo e potranno essere sradicate solo quando la situazione diventerà drammatica, appunto come in Grecia.
5. Insisto sulla valenza nazionale di questo tentativo elettorale ed organizzativo. Perché nutro talune perplessità sull’orizzonte programmatico-culturale, per altro ancora embrionale, di questa lista, soprattutto in merito alle seguenti tematiche: superamento dello Stato nazionale; immigrazione; moneta unica europea; referenti sociali, più che politici, a cui ci si vuole rivolgere.
In estrema sintesi, provo a focalizzare questi temi.
Credo che lo Stato nazionale e la Nazione, intesa come complesso etico-culturale, siano ancora dei punti di riferimento imprescindibili dell’azione politica. Tanto è vero che, anche nell’analisi di Viale e, soprattutto, nell’esperienza comune, lo Stato nazionale è stato il primo oggetto di attacco da parte di quelle forze antidemocratiche (Consiglio Europeo, potere economico-finanziario trans-nazionale) che hanno concepito l’Europa anzitutto ed esclusivamente come spazio economico di sfruttamento e di colonizzazione, invece che come governo politico e sociale del mercato. Lo svuotamento di sovranità che sta subendo l’Italia indica, appunto, che il primo strumento per difendere la democrazia e il benessere sociale ed economico dei cittadini è quello di una decisa riappropriazione della sovranità nazionale.
Questa riappropriazione di sovranità non può e non deve escludere una decisa limitazione e dunque una decisa regolamentazione della libertà di circolazione dei capitali, delle imprese e della forza-lavoro: dentro e fuori i confini europei. Il mercato deve essere governato: perché non è capace di alcuna autoregolazione; perché crea tali e tante diseguaglianza da minare la convivenza civile; perché limita le potenzialità di sviluppo economico e di benesere che dischiude il progresso scientifico e tecnologico. E ad aver dimostrato i limiti insuperabili della società e dell’ideologia liberista e neo-liberista, è bene rammentarlo, non sono stati soltanto i fatti e non è stata soltanto la tradizione di pensiero anticapitalista, ma anche una parte consistente della tradizione liberale.
Questa riappropriazione di sovranità deve contemplare nel proprio orizzonte anche quella monetaria. L’irresponsabilità politica della Bce, il fatto che i piani di salvataggio finanziario dipendano prevalentemente dalla politica nazionale della Germania (che usa il ricatto del debito per appropriarsi di mercati e di ricchezze), infine la ripresa della politica di potenza dei principali Stati europei (Francia e Germania in primis: ricordate la Libia? Ricordate la “Mitteleruopa” e le cartine geografico-poitiche che i tedeschi avevano come punto di riferimento geopolitico durante la Prima Guerra Mondiale?), dimostrano che un’Europa diversa da quella attuale implica un processo di unificazione ben differente da quello che, invece, si è percorso e che, appunto, ha fatto dell’unificazione monetaria il perno e l’antecedente di quella politica, sociale e culturale. I fatti dimostrano che l’unificazione monetaria rischia fortemente di impedire quella politica e sociale, che se avverrà, sarà sotto il segno della colonizzazione e non certo sotto quello della integrazione. L’unione monteria, del resto, potrebbe implodere da sé, nel momento in cui una crisi sistemica devastasse un Paese come l’Italia, che ha un peso ben differente da quello della Grecia o del Portogallo.
Temo, insomma, che si dia per scontato che il processo di unificazione debba partire dall’unione monetaria; se così fosse, temo si sconfinerebbe nel campo della utopia.
6. L’utopia, insomma, è il rischio di questa operazione politica, se la guardassimo solo con occhi rivolti all’Europa e all’europeismo. Perché le conseguenze della crisi in corso sono talmente ampie e imprevedibili che non è affatto da escludere che saranno le destre ad imporre, forti di un notevole successo elettorale, un’agenda politica che dello Stato, della Nazione, della limitazione e della regolamentazione della libera circolazione delle merci (capitali, aziende, forza-lavoro) e della sovranità monetaria faranno l’agenda politica fondamentale. Con il risultato che questo processo di riappropriazione di sovranità assumerà una coloritura decisamente antidemocratica e di “potenza” (come appunto ha già assunto in diversi Paesi), mentre essa può e deve assumerne una progressista.
7. A denunciare il carattere utopistico dell’iniziativa, infine, è anche l’assenza, nei programmi di questa nuova aggregazione, di un riferimento sociale preciso a cui rivolgersi. Viale ha parlato di bacino elettorale, ma gli elettori sono anzitutto uomini e donne che hanno precisi ruoli economici e sociali. Naturalmente, il bacino elettorale lascia presupporre che quello sociale di riferimento è quello “tradizionale”, che genericamente potremmo definire “del mondo del lavoro”. E tuttavia mi pare che in proposito lo sforzo di analisi sia debole e generico.
Basti pensare che gran parte del mondo del lavoro dipendente (esclusi gli statali) ha votato per anni per i partiti di destra; basti pensare che gran parte del mondo dell’immigrazione, sottoposto a un durissimo iper-sfruttamento economico e sociale, è orientato prevalentemente a destra. Basti pensare alle varietà di “borghesie” di cui è costellato in nostro Paese e che hanno punti di riferimento politico e ideale molto differenziati. Basti pensare, infine, al multiforme mondo del pubblico impiego o a quello dell’istruzione ed al peso ancora enorme che nel Paese hanno le differenze regionali o le economie sommerse o addirittura illegali e criminali.
Manca, insomma (e non parlo, ovviamente, delle analisi dei singoli, come Luciano Gallino, tra i promotori della lista, ma mi riferisco dell’aggregazione politica in fieri), una disamina delle dinamiche sociali passate e presenti e, di conseguenza, manca un orizzonte programmatico che si ponga l’obiettivo di dare alle idee e ai diritti, gambe e interessi capaci di supportarli e farli diventare proposta politica e capacità di governo. Capace di far diventare Stato, Nazione, Interesse Generale, una miriade di interessi economici e sociali disgregati, oggettivamente contrapposti, particolaristici, privi di una visione generale della società e del progresso umano.
8. Oggi, tuttavia, esistono le condizioni oggettive perché attorno alla Nazione e allo Stato, e ad un’Europa sociale e democratica, si riaggreghino forze sociali che, sul piano economico, spesso hanno forti ed oggettivi contrasti: perché la pressione che altri Stati e altre Nazioni stanno esercitando sulla nostra è talmente forte ed ha un potere talmente destabilizzante, che la salvezza degli uni diventa la salvezza degli altri. Oggi esistono le condizioni oggettive perché si comprenda la natura ideologica e destabilizzante di tutte quelle teorie e quelle prassi politiche e sociali che hanno messo in contrapposizione lo Stato al mercato, la democrazia al benessere economico, il pluralismo alla libertà, la lotta e il conflitto e il raggiungimento dell’interesse particolare alla sintesi e all’interesse generale.
L’auspicio, dunque, è che la credibilità si trasformi in metodo democratico e che la prassi politica, oltre che dal lume dell’utopia e dei diritti individuali e sociali, sia guidata da una penetrante analisi economica e sociale, capace riaggregare e governare in primo luogo le dinamiche italiane fondamentali, così da farne perno per una radicale trasformazione istituzionale e dello Stato italiano e dell’Europa. [Luca Micchelini, democraziaeconomica@libero.it]