Mimmo Lucano a Rebbio: impariamo da Riace

Di passaggio da Lugano (dove ha ricevuto il premio dell’associazione Main dans la main) a Orio al Serio (dove deve prendere l’aereo per tornare in Calabria), Mimmo Lucano fa tappa a Rebbio, per incontrare don Giusto Della Valle e la sua comunità. È una visita d’amicizia, dettata dalla voglia di stringere di più i contatti tra realtà fisicamente distanti ma vicine negli obiettivi e negli ideali, che si trasforma rapidamente in un momento di condivisione della lunga vicenda di Mimmo e del suo paese Riace.

Intorno ai tavoli del bar dell’oratorio di Rebbio si forma rapidamente un gruppetto di persone, raccolte dal passaparola degli ultimi minuti (un paio arrivano a chiacchierata già iniziata “attirati” dalla diretta facebook di ecoinformazioni), interessate a sentire dalla viva voce di Mimmo la “sua storia”, per esprimergli di persona la solidarietà e l’appoggio che già pubblicamente gli è stata manifestata. Basta una domanda, peraltro abbastanza scontata, per iniziare il racconto, che non si limita alle ultime settimane (a dopo, cioè, la scandalosa sentenza che l’ha condannato a una pena abnorme), ma parte da lontano: dal 2018, anzi – si corregge subito – dal 2016.

Il suo racconto conviene seguirlo sulla registrazione di quel video che Dario Onofrio ha “girato”, perché quella narrazione è frutto di una sofferta sintesi e riflessione, che non voglio rischiare di smussare, e “tradire”. Qui intendo proporre alcune “nostre” riflessioni, che ci devono muovere in questa fase, tutt’altro che facile per la difesa dei diritti.

Prima di tutto è doveroso un sincero omaggio all’umanità di Mimmo. È profondamente segnato dalla vicenda giudiziaria, ma non indulge mai a nessun tipo di vittimismo; è tutto teso a spiegare, a riportare ai fatti originari quello che è successo, a cercare di seguire le tortuose strade che vanno dallo sforzo di saldare le esigenze di una comunità di un piccolo paese abbandonato a se stesso con quelle di un vasto gruppo di persone che hanno dovuto abbandonare tutto dietro di sé fino alle aule di un tribunale. Per questo riparte dal 2016, per farci capire che la vicenda ha radici profonde. Ripete spesso, ma senza alzare la voce, che lui non ha ricavato da tutto ciò nessun guadagno personale, neppure minimo, e che questo glielo riconosce anche il Tribunale, che gli contesta invece un “interesse politico”.

E questa è la prima riflessione che ci tocca: come può l'”interesse politico” diventare sic et simpliciter un comportamento delittuoso? ci siamo completamente dimenticati del significato delle parole? L’interesse politico è quello “della polis”, cioè – diciamolo in parole più correnti – della comunità. L'”interesse politico” certo può diventare un reato quando si sposi a interessi “spuri” (economici o d’altro tipo) ma se l’interesse politico che si colpisce è quello di mostrare che si è fatto il proprio lavoro, non si può fare a meno di pensare che il motivo profondo di questa condanna risiede nel fatto che non sono riconosciute le ragioni di quell'”interesse”. Detto in modo un po’ meno aulico: il processo a carico di Mimmo Lucano è un processo politico, che mette sotto accusa tutte le “buone pratiche” di accoglienza. E questo ce lo spiega Mimmo, con parole pacate e misurate.

La lunga e complessa vicenda di Riace mette in evidenza anche una seconda cosa: quell’esperienza non è stata “escogitata” lì per lì, non è frutto solo di buona volontà e di disponibilità magari un po’ confusionaria. Mimmo Lucano tiene molto a sottolineare che i problemi sono stati affrontati e che le soluzioni adottate sono state meditate (magari anche forzando qualche regolamento e qualche norma, e persino dimenticandone alcune, ma – davvero – sono questioni marginali in una vicenda pluriennale), così come sono stati ricercati momenti di confronto con le superiori autorità, che – in generale – a questo confronto si sono sottratte. La seconda riflessione potrebbe quindi essere (sempre a proposito della vicenda giudiziaria) che fin dall’inizio qualcuno aveva deciso di “criminalizzare” il “modello Riace”. Ma è più importante entrare nel merito di quelle valutazioni che hanno creato il “modello Riace”. Un solo esempio: l’entità della diaria per ogni rifugiato accolto. Quei 35 euro giornalieri, uguali in tutta Italia, erano – dice Mimmo – un’enormità a Riace; quindi con gli “avanzi” si è deciso di “rafforzare” il contesto, creando infrastrutture (il forno, il frantoio ecc.) che potessero tra l’altro costituire una “valorizzazione” per il paese. Si tratta di distrazione di fondi pubblici? Non so se la terminologia giuridica è corretta, ma la domanda è essenziale… La magistratura in questo primo grado ha deciso di sì. Crediamo che sia il caso di ripensarci, tutti insieme.

Nel racconto di Mimmo alcune vicende specifiche – finite sotto l’occhiuta indagine della magistratura – assumono quasi il tono del racconto popolare. Ed è giusto così. Si ascolti tutta la messa a punto della raccolta differenziata, organizzata con asini e carretti appositamente costruiti da un artigiano rom (!). Ma Mimmo – viene da esclamare – ma proprio a un rom dovevi rivolgerti? È come tirarsi la zappa sui piedi. Eppure sì. È proprio giusto così.

È possibile riproporre l’esperienza di Riace? Sulla domanda, più volte ripetuta, Mimmo Lucano sembra glissare, riproponendo pezzi della storia di quel modello. In realtà – credo – propone una risposta implicita: ogni realtà è diversa ogni “modello” deve essere diverso. Mimmo non è un teorico, non è così che si propone. Ha ragionato sulla propria comunità e ne ha tratto delle conseguenze, che ha provato a mettere in pratica. Questa, probabilmente, è la strada; inventare soluzioni sempre diverse, imparando anche dagli incidenti di percorso degli altri. Non è una strada lineare, né facile…

Dopo oltre un’ora di racconti, ormai obbligati alla partenza verso l’aereo di ritorno, don Giusto, ospite accogliente come sempre, sintetizza: non sempre l’osservanza assoluta della lettera della legge è bene. A noi tocca il compito – aggiungo – di migliorarla e di renderla conforme alle esigenze di tutte le persone, migranti e native.

C’è ancora un po’ tempo per offrire un rapido “spuntino” alle persone convenute, abilmente preparato dalle donne marocchine di Rebbio (anche questa è accoglienza!). Mimmo e l’amico Carlo – che fa da accompagnatore – cedono solo dopo molte insistenze. Non ci pare che abbia perso l’aereo.

A noi, qui, resta il dovere di continuare l’opera – la sua, la nostra – nei modi più adeguati. [Fabio Cani, ecoinformazioni]

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