In parallelo alla manifestazione organizzata dal Collettivo di fabbrica Gkn a Napoli, anche a Monza una rete di collettivi e realtà politiche è insorta nel pomeriggio di sabato 5 novembre. Per una società transfemminista, sostenibile sul piano economico e sociale e per una scuola realmente formativa e non aziendale, oltre mille persone hanno percorso la città da piazza castello a piazza Trento e Trieste.

Un corteo fortemente colorato del rossonero anarchico e del viola dei panuelos simbolo del femminismo militante, quello monzese, ispirato alla convergenza fiorentina e mosso dalla rabbia e dal quotidiano vissuto di una realtà ormai insostenibile da vari punti di vista.
“Occupiamola fino a che ce ne sarà”, il coro ormai tradizionale della Gkn, è risuonato nel capoluogo brianzolo, accompagnato da rivendicazioni anche più estreme rispetto a quelle ambientaliste-operaiste. L’idea, comunque, è quella della continuità delle lotte, una prospettiva ormai egemone nella narrazione di movimento contemporanea. A Napoli come a Monza, senza dimenticare la manifestazione pacifista di Roma, la spinta dal basso è l’unico motore di cambiamento a fronte dell’alienazione di una classe politica sempre più filopadronale e fascista.

“Insorgiamo, che sia questo finalmente il tempo”: questo lo slogan della manifestazione, che non ha mancato di sottolineare il proprio sdegno contro le politiche del nuovo governo Meloni. Latenza fascista, omobitransfobia, discriminazioni razziste, mentalità patriarcale e sessista, idea aziendale della scuola sembrano le parole d’ordine del parlamento. I e le manifestanti dicono di no e chiedono unione tra le categorie oppresse in una lotta comune che dev’essere per il presente e per il futuro, sociale quanto ambientale. 

Lotte che si calano anche nel territorio brianzolo tra occupazioni sfrattate, applicazione dell’alternanza scuola-lavoro che la rende sfruttamento e difficoltà ad accedere ai servizi di informazione e tutela sul piano sessuale. Non sono solo problemi astratti e generici, hanno sottolineato gli organizzatori, ma vissuti di tutti i giorni di persone senza lavoro e senza casa per o prezzi troppo alti del mercato immobiliare, studenti considerati come numeri e come braccia da cantiere e donne (e persone non maschi etero e bianchi) quotidianamente molestate e discriminate. 
Tutto ciò avviene, per giunta, in una delle aree più inquinate d’Europa. Però, anziché investire in risorse energetiche alternative, si ampliano strade inutili come la pedemontana, deturpando quel poco di paesaggio integro in pianura padana. 

La componente estremista della manifestazione si è fatta sentire in un accorato intervento contro le prigioni e in particolare contro il 41-bis, regime carcerario estremo ritenuto essere causa di morte sociale di chi vi è sottoposto. Senza entrare nello spinoso dibattito sull’istituzione carceraria va però rilevato come questo tipo di pena, associata per ragioni storiche alla lotta (dai contorni peraltro discutibili) dello stato contro la mafia, sia sempre più spesso comminato a militanti ritenuti scomodi e che, a seguito di azioni particolarmente eclatanti, vengono isolati per tagliarne i contatti col movimento. Su questo tema la valutazione può e deve essere delegata al singolo.

Il corteo si è mosso dalla stazione di Monza arrivando nel centro, cuore della movida locale. Proprio questa estetica di consumo è il simbolo dell’estensione del fenomeno della gentrificazione che, ben lungi dall’essere limitato solo a Milano, tocca ormai anche i principali centri lombardi (Como, Lecco, Varese, Bergamo per fare esempi evidenti), sfrattando e scacciando le fasce “indesiderabili” della popolazione in favore della massimizzazione del profitto.
L’insorgenza brianzola, insomma, ha toccato diversi temi più o meno ampi, calando nel locale le tematiche di lotta globali e rivolgendosi allo specifico della realtà territoriale. La convergenza monzese promette di non fermarsi qui, e rilancia il proprio percorso assembleare e la propria attività politica aderendo allo sciopero generale del 2 dicembre. 
Intanto, in diecimila manifestavano a Napoli, segno che la precarietà della realtà attuale è un problema reale e le vittime del profitto non intendono, ancora, abbassare la testa. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]

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