Lottare per la produzione alternativa

Nella seconda giornata di Fa’ la cosa giusta, sabato 25 marzo, lo stand dell’Arci ha accolto le esperienze di lotta e autodeterminazione operaia del Collettivo di fabbrica Gkn e di Ri-Maflow. Assenti purtroppo i portavoce del collettivo toscano a causa della concomitante manifestazione nazionale da esso lanciata.

Lottare contro la disoccupazione, mettere in discussione il paradigma industriale padronale, premettere la società del mutualismo e della partecipazione territoriale contro il modello di profitto del capitalismo globale e della delocalizzazione: Ri-Maflow dal 2013, Collettivo di fabbrica Gkn dal 2021 sono accomunate da questa visione del lavoro. Occupazione non intesa quindi come mero mezzo di sussitenza, ma come strumento di aggregazione per incidere sul contesto locale e nazionale garantendo agli operai quanto alla cittadinanza una vita dignitosa.
La loro battaglia quindi non si svolge solo tra le macchine produttive, ma chiede il sostegno della società tutta, propone sinergie e paventa alternative. Certamente, il respiro del movimento di convergenza Insorgiamo!, lanciato in quel di Campi Bisenzio, ha un respiro più ampio, dato che si propone di espandersi su scala nazionale intersecando le lotte per il lavoro con quelle inerenti l’istruzione, l’ambiente, l’antifascismo e l’antirazzismo. Per questo, per altro, per tutto è lo slogan che è risuonato per le strade di Firenze, Bologna e Napoli e che rilancia una realtà in cui non c’è giustizia sociale senza giustizia climatica e senza un contrasto frontale e dal basso a qualunque forma di discriminazione economica e culturale.
Ri-Maflow ha un raggio d’azione politica forse meno ampio, ma non per questo meno incisivo: costituitasi come cooperativa, la fabbrica ha visto i suoi operai reinventarsi in nome della polisemia del “ri-“. Infatti, i e le operaie hanno deciso di ri-aprire una fabbrica che era stata abbandonata dal quadro dirigenziale e ri-attivarla in nome, si legge sul sito di questa realtà, di rinascita, riuso, riciclo, riappropriazione, rivolta (contro il debito ma non solo, viene da dire) e rivoluzione.

L’esperienza milanese ha dieci anni nel 2023, quella fiorentina è ben più giovane e questa differenza si vede, dato che il mondo non è certamente rimasto fermo nell’arco di tempo che separa la nascita delle due realtà. Come ha sintetizzato il portavoce di Ri-Maflow, però, l’intento è simile, così come il modello: le fabbriche autogestite argentine nate dopo il collasso economico del paese di Buenos Aires, nel 2001. La fabbrica va pensata come un luogo di aggregazione, come spazio sociale a tutti gli effetti; lo scopo insomma è costruire una realtà produttiva che prescinda dalle disposizioni padronali, sia capace di (r)esistere anche se il proprietario delocalizza e licenza e si reinventi secondo le esigenze della popolazione. In questo senso, il piano industriale non può che essere anche un piano politico ed una convergenza almeno ideale, un tentativo di fare rete attraverso la condivisione di esperienze, è una priorità tattica. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]

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