4 febbraio/ Giovanni Gentile al Ciceri

gentileMercoledì 4 febbraio alle 17,30 nell’Aula Magna del Liceo Teresa Ciceri in via Carducci 8 a Como,  Gianfranco Giudice discuterà del suo libro Scritti di Giovanni Gentile [Edizioni Aracne, settembre 2014, 436 pagg., 20 euro, 12 in pdf] con il Nicola D’Antonio e Paolo Ceccoli.

La filosofia ha pensato spesso la realtà come necessaria, qualcosa che è così e non può essere altrimenti. Il discorso filosofico ha cioè voluto in molti casi, ma non tutti e non sempre, cercare l’Assoluto.

Uno dei presuppostidi questa ricerca dell’Assoluto sta nel concetto di epistème (dal greco ἐπιστήμη – stare su, che si tiene su da sé), la certezza indubitabile sulla quale, come su di una roccia inamovibile, ogni conoscenza e ogni pensiero della realtà si fonderebbe.

Aristotele, Kant almeno in parte, la tradizione scettica e una buona parte della filosofia del Novecento hanno inteso la filosofia in altro modo: come ricerca di un’enciclopedia del sapere, come ricerca del senso stesso della ricerca, come ricerca del senso della vita, come analisi del linguaggio o dei linguaggi, come riflessione morale.

La passione verso l’Assoluto è comunque una delle principali attrazioni del discorso filosofico e in Italia nel primo Novecento questa passione è stata coltivata con ardore dal filosofo di Castelvetrano Giovanni Gentile (1875-1944).

Gentile, noto ai più per la riforma della scuola che da lui prende il nome (Riforma Gentile, 1923) fu innanzitutto pedagogista e storico della filosofia, fu anche teorico del fascismo, fascista convinto fino all’adesione alla Repubblica Sociale Italiana, direttore dell’Enciclopedia Italiana, poligrafo e docente universitario nei più prestigiosi atenei italiani, direttore e dirigente della Normale di Pisa e della Bocconi di Milano.

Come si vede dagli incarichi ricoperti fu un uomo ambizioso ed ebbe la carriera brillante che desiderava, ma anche un uomo tragicamente coerente. Condivise le sorti del regime fascista e del suo leader, Mussolini, fino a pagare con la vita la fedeltà a quello che considerava l’ideale nazionale e perciò universale, universale concreto come avrebbe detto lui, del Fascismo in tutte le sue forme. I partigiani che lo uccisero nella primavera del 1944, al di là delle polemiche che suscitò e suscita ancor oggi l’assassinio di un filosofo inerme, uccisero in lui il più alto rappresentante intellettuale del regime che aveva portato l’Italia nel baratro della Seconda Guerra Mondiale.

Gianfranco Giudice, docente di Storia e Filosofia al Liceo Giovio di Como, autore di vari libri tra cui il bellissimo Un manicomio di confine: storia del San Martino di Como [con prefazione di A. V. Sironi e fotografie di G. Angri, Laterza, 2009, pagg. 316, 24 euro], ha pubblicato di recente presso l’editore Aracne di Roma un’antologia degli scritti di Gentile tutta tesa e presentarne la figura e il pensiero.

Della figura abbiamo detto, non ci resta che accennare al pensiero. Di entrambe le cose comunque discuteremo il prossimo 4 febbraio alle ore 17.30 nell’Aula Magna del Liceo Teresa Ciceri con Nicola D’Antonio, dirigente scolastico dell’istituto, quando Giudice ci presenterà il suo lavoro.

Gentile ritenne di aver risolto tutti i problemi della filosofia come teoria generale della realtà affermando che tutto può essere riassunto, compreso, colto o racchiuso nell’atto del pensare.

Qualunque cosa ciò voglia dire, l’atto del pensare, non il pensiero o il pensato, ma il processo stesso del pensare, fuori dal quale non esiste nulla, perché ogni qualvolta affermiamo o neghiamo l’esistenza di qualcosa attiviamo il pensiero, è l’intera realtà senza residui né eccezioni. Insomma l’atto del pensare sarebbe l’epistèmegentiliana.

Ogni filosofia è in un certo senso idealismo, conoscere, filosofare è produrre concetti, idee; ogni scienza è in un certo senso costruzione ideale, le teorie sono astrazioni che permettono agli uomini di controllare la realtà, ma restano astrazioni.

La filosofia di Gentile però pretende di essere la teoria che comprende tutte le teorie fino ad annullarle in sé nel paradosso della sua involuzione, secondo la quale tutto che si può dire in verità lo si può dire solo filosofando e filosofare vuole dire pensare questo processo di pensiero in una spirale infinita da cui, come per un vortice della riflessione, tutte le cose si mostrano agli uomini.

Questo pensiero vertiginoso è stato definito da qualcuno un delirio, mentre altri lo considerano profondissimo e fecondo. Da entrambi i punti di vista il suo fascino, e in un certo senso anche la sua spaventosità,consisteproprio nel fatto che si oppone nella maniera più radicale ad uno degli aspetti più fondamentali della modernità: quello per il quale il pensiero è sempre insufficiente, sempre inadeguato, quello per il quale il legno storto dell’umanità non potrà mai essere raddrizzato, quello per cui il poeta poteva dire che «ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia».

Ecco, a differenza di quanto riteneva Shakespeare, per Gentile non c’è nulla fuori della sua filosofia. [Paolo Coccoli per ecoinformazioni]

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