Migranti/ Il consiglio è aperto, la discussione meno

Per fare il punto della situazione dei migranti a Como lunedì 23 gennaio si è tenuto un nuovo consiglio comunale aperto, con la partecipazione di alcune realtà che a vario titolo si stanno occupando della questione. Hanno quindi portato la loro esperienza Roberto Bernasconi della Caritas diocesana, Andrea Anselmi di Medici senza frontiere, Antonio Lamarucciola dell’Osservatorio giuridico, Abramo Francescato della rete Como senza frontiere e don Giusto Della Valle della parrocchia di Rebbio. Assenti ingiustificati, invece, i rappresentanti della Prefettura e quelli della Croce Rossa Italiana, che pure gestiscono il campo governativo di via Regina Teodolinda; hanno preferito non confrontarsi con la città e la sua amministrazione.

In apertura di serata l’assessore alle politiche sociali, Bruno Magatti, riassume in estrema sintesi la situazione, che non è particolarmente cambiata nelle ultimissime settimane: a Como risiedono 850 richiedenti asilo e 120 sono le persone attualmente ospitate nel campo (di cui la metà minori); 119 sono i minori in carico al Comune; ricorda anche che l’amministrazione comunale sta lavorando, nell’ambito delle indicazioni dell’ANCI (l’associazione dei Comuni), per attivare un centro SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), cioè per dare consistenza all’accoglienza di secondo livello, così da uscire – almeno in parte – dall’emergenza (un incontro a livello governativo ci sarà il 26 gennaio); la stessa metodologia di intervento si sta cercando di mettere in campo per affrontare il problema dei minori non accompagnati, in accordo con Save the children e il Coordinamento comasco di assistenza ai minori; e ancora si lavora a una proposta di intervento per i senza fissa dimora, partecipando a un bando FSE, che scade il prossimo 15 febbraio, secondo la parola d’ordine “housing first” (prima la casa). Con questo ventaglio di iniziative, l’amministrazione comunale intende evidenziare che l’unico modo di uscire dall’emergenza è quella di lavorare sulla progettualità; ciò ha tempi non brevi, ma è – a parere dell’assessore Magatti – l’unica possibilità per non arrestarsi sulla soglia dei problemi.

Il primo intervento degli “invitati” è sferzante. Roberto Bernasconi della Caritas esordisce esprimendo un certo disinteresse alla serata, quasi si trattasse di un passaggio superfluo. Basta uscire per rendersi conto della situazione; bisogna farsi partecipi delle fatiche di questo dovere, ma l’accoglienza deve essere “ordinata” e priva di qualsiasi rivendicazione collegata. Sembra di capire che l’accoglienza deve essere questione solo di carità e non di diritti e di politica; d’altra parte la sua analisi sulla situazione generale è secca: le forze in azione sono bloccate sulle proprie posizioni, e ancora più bloccate sono alcune istituzioni, la parte politica è assente, il rischio è quello dell’illegalità diffusa. Non è disposto a stare su un ipotetico banco degli imputati, così come non ritiene che i migranti siano da considerare l’unica e più grave emergenza.

Più informativi i contributi di Andrea Anselmi di Medici senza frontiere e di Antonio Lamarucciola dell’Osservatorio giuridico. Il primo riferisce del progetto che Msf ha attivato tra Como e Ventimiglia per far fronte al disagio psicologico (che a volte sfocia in vero e proprio disagio mentale) di molti migranti (circa il 60% ne soffre); la loro opera è cominciata a metà dicembre, sia presso il campo di via Regina che presso la parrocchia di Rebbio e ha già interessato circa 230 persone in incontri di gruppo e altri 200 in sedute individuali. Il secondo ricorda che la cosiddetta emergenza migranti è alimentata anche dalla carenza di informazioni sui propri diritti e sulle reali possibilità di dar corso al “progetto migratorio”, ed è quindi prioritario attivarsi in questo settore; per questo l’Osservatorio ha promosso un vero e proprio corso di formazione, oltre che organizzare uno sportello per i migranti, ancora in fase di sperimentazione perché a una immediata disponibilità da parte dell’amministrazione comunale ha fatto riscontro una collaborazione piuttosto carente da parte della Prefettura; ciononostante, grazie anche alla stretta collaborazione con analoghe associazioni di avvocati elvetici, si è potuto risolvere la situazione di parecchie decine di persone, cosa che ha contribuito anche ad alleggerire la pressione sul campo di via Regina; in prospettiva, l’impegno per una corretta gestione delle questioni giuridiche collegate alla migrazione non può che approfondirsi anche in considerazione dell’esigenza di tutele provvisorie per i minori ipotizzata nella nuova legislazione al riguardo.

Il portavoce della rete Como senza frontiere, Abramo Francescato, dopo aver brevemente richiamato la storia e gli obiettivi della rete, affronta i problemi del momento, riassunti nell’“emergenza freddo”: sono 1300 le persone che le ronde solidale hanno raccolto in strada da ottobre a dicembre, in situazioni al limite della sopportabilità; dal punto di vista operativo, rivolge un appello al Comune di Como per l’apertura di un dormitorio nell’ex drop–in (in viale Innocenzo XI), aperto alle persone italiane senza fissa dimora e a quelle migranti, per accelerare il più possibile la riattivazione del centro Puzzle di Tavernola e per sondare la possibilità di utilizzare la caserma De Cristoforis, attualmente inutilmente vuota.

Da ultimo, don Giusto Della Valle riporta il discorso sulla dimensione generale del problema: le migrazioni sono da sempre connaturate alle dinamiche umane (negli ultimi mesi a fronte delle 150/180 mila persone arrivate in Italia, almeno 100 mila sono quelle che dall’Italia si sono spostate in altri Paesi); e questa situazione è anche frutto della dialettica tra invecchiamento della popolazione europea e giovinezza dei popoli del “terzo mondo”. In questo processo mondiale, Como non può chiamarsi fuori perché è città di frontiera, e dunque occorre un pensiero politico globale, visto che l’unica chance di non subire è quella di programmare. Certo, Como ha fatto dei grossi sforzi per affrontare il problema: ci sono molti tasselli ma manca ancora il progetto complessivo del mosaico. È indispensabile migliorare la qualità dell’accoglienza (e il Comune può avere un ruolo essenziale nel monitorare le varie situazioni); è indilazionabile affrontare il problema dell’orientamento delle persone migranti, proprio per non limitarsi a subire l’esistente; serve quindi un vero e proprio osservatorio sulle migrazioni, in grado comprendere e di gestire il fenomeno.

Ultimato il giro di interventi, tocca al Consiglio comunale: qualche minuto per porre domande di chiarimento e poi qualche altro per interventi più analitici.

Anche astraendo dalle domande inutilmente provocatorie, da quelle palesemente insensate e da quelle capziose, il panorama che emerge è – come già nei precedenti consigli – sinceramente sconfortante. Fatte le debite (poche) eccezioni, chi siede in Consiglio a palazzo Cernezzi sembra non sapere nulla o quasi della situazione, come se questi sette mesi – con i problemi globali e i non meno essenziali drammi personali – non fossero serviti a niente. E chi poco sa, ancora meno capisce, così che la “questione migranti” scivola spesso in sterili piccolezze partitiche. Non serve a molto rivendicare, da parte dell’assessore Magatti, l’importanza della progettualità; non serve neanche, da parte della consigliera di opposizione Anna Veronelli, chiedere ulteriori approfondimenti sulla questione dei minori (che, nella richiesta di convocazione di consiglio aperto, era per lei fondamentale). La maggior parte dei consiglieri continua a inveire, oppure si disinteressa.

A mezzanotte spaccata, tutti a casa. Per chi ha ascoltato, la serata – certo non risolutiva – non è stata del tutto inutile, ma le orecchie – a palazzo Cernezzi – sembrano a tratti un optional poco richiesto. [Fabio Cani, ecoinformazioni]

 

 

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