Memoria e musica al Sociale: Brundibár

 

Il teatro Sociale di Como ha accolto nella serata di venerdì 12 gennaio l’operina Brundibár, di Hans Krása con libretto di Adolf Hoffmeister, contestualizzata con scene recitate ispirate e tratte dal libro La repubblica delle farfalle di Matteo Corradini.
L’operina ha visto Pierangelo Gelmini come direttore di un’orchestra mista con studenti del Conservatorio “Verdi”, dell’Istituto comprensivo Como Borgovico e del Liceo musicale “Ciceri”. Il coro era quello di voci bianche del teatro Sociale, insieme ai bambini dell’Istituto comprensivo. Le sezioni recitate sono state messe in scena con la partecipazione dell’Accademia teatrale del  teatro Sociale e la regia di Pia Mazza e Cristina Quadrio; le scene del Liceo artistico “Melotti” di Cantù.

Legato al campo di concentramento di Terezín / Theresienstadt, in Cecoslovacchia, lo spettacolo racconta la vicenda di due bambini, Pepinček (Noemi Conti) e Aninka (Marta Masola) che, per curare la mamma malata, cercano di procurarsi un po’ di latte. Ad opporsi al loro proposito un organettista, Brundibár (Francesco Malanchin), che monopolizza l’attenzione dei passanti nonostante la sua musica sia stonata e inascoltabile. Un passerotto (Chiara Barcella), un gatto (Rebecca Crisciullo) e un cane (Nicole Girola) accorrono in soccorso dei due bambini, convincendo gli altri bambini a cantare tutti in coro per scacciare il dispotico musicista.

Brundibár porta con sé il fardello dell’allegoria: Brundibár può essere Hitler, la cecità che la gente dimostra nel giudicarne le capacità musicali non è altro che quella dei sostenitori del partito nazista tedesco, i bambini Pepinček e Aninka rappresentano la giustizia e la bontà oscurate fino quasi a essere cancellate negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale. Più in generale Brundibár può essere l’ingiustizia (anche economica) del sistema sociale.

D’altra parte, l’operina – scritta all’inizio della seconda guerra mondiale – è ormai indissolubilmente legata alla Shoah e rappresenta una delle testimonianze più emozionanti dell’universo concentrazionario allestito dal regime nazista in vista della “soluzione finale” (cioè dello sterminio degli ebrei e delle altre popolazioni e persone “inferiori”). Il librettista fu l’unico personaggio coinvolto nella creazione di Brundibár a evitare la follia nazista, mentre il compositore Krása fu deportato da Praga a Terezín, stese di nascosto una riproduzione dello spartito originale, arrangiandolo per i pochi di strumenti disponibili nel campo.

Terezín è un’esperienza a sé nella tragedia dei campi di concentramento e sterminio.  Fu infatti utilizzato come “campo modello”, da mostrare alle poche ispezioni della Croce Rossa Internazionale, con l’obiettivo di far credere che la detenzione degli ebrei non era poi così “terribile”. A Terezín furono quindi concentrati molte personalità dell’arte e della cultura, e furono permesse – e anzi per certi versi incoraggiate – manifestazioni culturali, da spendere anche attraverso operazioni di comunicazione, come un documentario di propaganda, girato dagli stessi “reclusi”. Salvo poi deportare ad Auschwitz-Birkenau e sterminare tutte le persone coinvolte, e in primo luogo intellettuali e artisti.

Il contesto storico, cui nell’operina si allude solo metaforicamente, è stato esplicitato nella cornice “recitata” della messa in scena al Teatro Sociale di Como. Infatti, nonostante la data precoce, il 12 gennaio, Brundibár è stato rappresentato in relazione diretta con la Giornata della Memoria (27 gennaio). e fa parte di un lungo e articolato percorso didattico che le realtà coinvolte hanno portato avanti nell’arco di oltre un anno e che ha coinvolto oltre 150 ragazze e ragazzi (tra orchestra, coro, attori, scenografie eccetera). Nella mattinata dello stesso venerdì lo spettacolo è stato presentato, grazie alla collaborazione con il Comune di Como, per gli allievi e le allieve delle scuole comasche, proprio in occasione della Giornata della Memoria. Inoltre, Terezín è da tempo al centro della riflessione storica dell’Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como (la mostra dedicata, già qualche anno fa, ai disegni e alla poesie dei bambini e delle bambine del campo-ghetto boemo era esposta ieri nel foyer del Sociale), così come di quella della Casa della Musica che da tre anni dedica un concerto speciale alle musiche di Terezín (il primo anno con la proiezione degli spezzoni superstiti del film di propaganda nazista sul campo-ghetto).

 

La messa in scena di Como non è una “semplice” riproposizione del lavoro di Hans Krása, ma uno spettacolo nuovo e più complesso, che contiene al suo interno anche l’intera operina. L’esito è risultato convincente: dal punto di vista musicale, la partitura non facile di Hans Krása è stata proposta in modo efficace, con freschezza ed entusiasmo da parte dei giovani esecutori.

D’altro canto, la finalità didattica e culturale del percorso comasco rende conto anche di alcune criticità che si sono dovute affrontare e che in qualche misura sono affiorate nella messinscena al Sociale. Krása a Terezín riscrisse l’opera per quattro violini, violoncello, contrabbasso, chitarra, clarinetto, tromba, flauto traverso, organetto, pianoforte, tamburo da parata e grancassa; l’organico che ha suonato al Sociale era nettamente più numeroso, mentre le voci soliste, molto giovani, avevano qualche difficoltà di volume (in un caso si è persino dovuto ricorrere al microfono). La direzione di Gelmini e il coro di voci bianche hanno regalato una notevole continuità musicale.

Brundibár è stato uno dei personaggi più apprezzati dal pubblico per l’interpretazione ben bilanciata tra il significato allegorico del personaggio e la leggerezza del clima dell’operina stessa.

Fondamentali per la buona riuscita dello spettacolo sono stati gli studenti della scuola di teatro, che hanno affiancato la parte operistica con le scene recitate ispirata al libro di Corradini. Una menzione speciale la merita la figura di Brundibar, un enorme pupazzo con testa di scopa, su cui è stato disegnato un volto caricaturale di Hitler e che è stato a dir poco affascinante quando, sullo sfondo delle parole recitate «Ma Brundibar è sempre in agguato» la sua testa di paglia ha fatto capolino dalle quinte, generando un sentimento a cavallo tra angoscia e divertimento.

Il pubblico ha applaudito a lungo al termine della serata, il che dimostra la riuscita del progetto.
Brundibár, poco conosciuto alla grande platea, si rivela un’opera di assoluto interesse, grazie anche alla leggerezza con cui tratta un tema di assoluta gravità, e di un’universalità tale da farle meritare l’augurio che venga riproposta altrove, in futuro.

Il messaggio di speranza che racchiude l’operina si lega perfettamente a quello tramandato dalla sua stessa esistenza: il nazismo, atroce frutto della natura umana, è stato sconfitto ma, anche quando pareva imperante, non è riuscito del tutto ad annientare la bellezza dell’arte.

Essa gli è resistita e ha attraversato il tempo fino a noi, per ricordarci cos’è stato e far sì che non si ripeta. Mai più.

[Pietro Caresana – Fabio Cani, ecoinformazioni]

 

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