Gli skinheads entrano ordinatamente

Sulla scandalosa sentenza di assoluzione in appello degli esponenti di Veneto Fronte Skinheads, pubblichiamo l’analisi di Giuseppe Battarino, già magistrato e attualmente presidente del Comitato comasco per il centenario di Giacomo Matteotti, autore anche di un approfondito articolo sulla sentenza, inserito nella rivista Questione Giustizia, pubblicazione on line promossa da Magistratura Democratica.

«Dopo una serie di ritardi, nel febbraio 2022 era arrivata la condanna per violenza privata dei militanti del “Veneto Fronte Skinheads” per i fatti del Chiostro di Sant’Eufemia del 28 novembre 2017.

Nella sentenza del Tribunale di Como si parla con chiarezza di “irruzione squadrista, retaggio di una cultura dell’odio e della violenza che, nella stessa retorica dei prevenuti, si contrappone alla logica dell’accoglienza”.

Cosa ben diversa da una contestazione di dissidenti in una pubblica manifestazione culturale o politica: non vi era stata dialettica, quantunque aspra, bensì “autonoma costrizione coercitiva” che aveva costretto i presenti a subire un proclama contro i “non popoli” (così si esprime un passaggio).

L’intento dell’azione esemplare non era la dialettica con i portatori di un pensiero alternativo, bensì dimostrare di essere in grado di occupare militarmente un territorio di “nemici della patria”.

A Milano la Corte d’appello ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. La lettura delle motivazioni, depositate il 10 maggio 2023, mostra una seria lontananza dei giudici milanesi dalla realtà di fatto.

Dice la sentenza: “i tredici imputati […] entrano uno alla volta, camminando, senza impeto violento o con la forza, in silenzio e senza rumoreggiare, senza rivolgersi a nessuno, se non per consegnare volantini, senza gesti particolari, e soprattutto senza costringere nessuno a spostarsi ovvero a rimanere nel posto in cui si trovava; neppure è stato spostato alcun mobile o suppellettile della stanza”.

E’ difficile immaginare come i tredici skinheads avrebbero potuto entrare in una stanza di quaranta metri quadrati, in cui già si trovavano una decina di persone sedute a un tavolo e un paio in piedi se non “uno alla volta”, salvo volersi ridicolmente accatastare. Fa sorridere poi il rilievo che gli skinheads non abbiano spostato “alcun mobile o suppellettile”: non era necessario, per occupare la stanza, spostare un armadio, un attaccapanni o un portamatite.

E la visione dei giudici milanesi sembra davvero lontana dalla comune esperienza quando, a favore degli imputati, li mostra “in silenzio e senza rumoreggiare, senza rivolgersi a nessuno”: è invece proprio questa la deliberata dimostrazione della forza di un occupante, che mostra gelido disprezzo per i nemici occupati, che compie la sua azione guardando dall’alto in basso – è ciò che accade, sono in piedi e circondano i volontari seduti – i miserabili traditori della patria che osano aiutare i migranti.

Dicono i giudici milanesi: “nessuno dei presenti ha chiesto di interrompere la lettura del comunicato, o di uscire dalla stanza, o ha manifestato, con gesti o con parole, alcunché in contrario”. Evitare di opporsi, da parte di alcune donne e uomini pacifici, a un gruppo organizzato e numeroso, che li circonda, di skinheads, non sembra proprio un criterio per attestarne il consenso.

I giudici milanesi, poi, rimangono affascinati da una curiosa “consulenza sulla paura”.

Secondo un consulente della difesa “l’esito della ricerca scientifica è stato nel senso che nessuna delle facce esaminate dai partecipanti, è stata identificata come quella di una persona che prova paura”.

La ricerca scientifica sarebbe questa: secondo una specie di “giuria” organizzata dal consulente della difesa, le persone circondate dagli skinheads non avevano sul volto un’espressione impaurita: dunque non vi è stata violenza o minaccia.

Sicché una persona offesa estorta, rapinata o violentata, che, ad esempio nel filmato acquisito da una videocamera di sorveglianza, non mostrasse (ad avviso di un panel di spettatori o di un consulente) visibile timore, non sarebbe vittima di un reato.

La capacità di immedesimarsi nei “fatti della vita” e la reale conoscenza del territorio e delle dinamiche sociali sono elementi fondanti del lavoro del magistrato.

“Milano è lontana dalla mia terra”, cantava l’Antonello Venditti degli esordi.

Il problema non è tutto qui ma è anche qui.» [Giuseppe Battarino]

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