Fake news: come difenderci dalle sirene dell’era digitale?

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Un pubblico di circa trenta persone ha partecipato all’incontro che si è tenuto del pomeriggio di venerdì 6 aprile nella Grand’aula del Liceo classico-scientifico Alessandro Volta di Como. Introdotta dai saluti di Domitilla Leali, docente di lettere del liceo ospitante che ha curato l’organizzazione dell’incontro, e di Angelo Valtorta, dirigente dell’istituto, la discussione ha preso spunto da Fake Revolution (ed, Youcanprint, 2018), libro del giovanissimo autore ed ex “voltiano” Eros Robba che analizza il fenomeno, dilagante e preoccupante, delle fake news, notizie false, parziali e spesso inconsistenti che imperversano sul web distorcendo la percezione della realtà. Robba ha preso spunto per il suo lavoro (originato dalla sua tesi di laurea in Comunicazioni sociali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) dalla provocazione di un altro autore comasco, Alessandro Nardone alias “Alex Anderson”, la mente dietro il fasullo candidato repubblicano delle elezioni statunitensi del 2016 nonché autore della prefazione al libro di Robba e co-relatore dell’incontro, a cui sono intervenuti anche i giornalisti Guido Lombardi (in veste di moderatore) e Carlo Cattaneo, Marco Cremonesi, commentatore politico del Corriere della Sera, e Luca Gino Castellin, professore di Storia delle dottrine politiche all’Università cattolica di Milano, già relatore della tesi di Robba.
«L’intento di un dibattito sulle fake news – spiegano Leali e Valtorta in apertura all’incontro – è quello di fare chiarezza su un fenomeno che, pur di grande impatto sociale oltre che mediatico, rappresenta la “punta dell’iceberg” della comunicazione digitale al suo stato dell’arte. Oggi, i ragazzi nascono e crescono  “immersi” nella tecnologia del tempo reale, chi è già adulto ha dovuto adattarsi a essa, talvolta a fatica: in ogni caso, urge consapevolezza sull’uso che ne facciamo, e sulle sue implicazioni,  spesso più pericolose o rischiose di quanto non si creda».
Nell’era dell’informazione digitale, la creazione e la diffusione di contenuti informativi è cresciuta in modo esponenziale e continuo, anche per mezzo dei social media che a partire dalla metà degli anni Duemila sono diventati un, e forse “il”, mezzo di comunicazione di primaria importanza per la società globale, non solo per quanto riguarda la sfera “privata” (virgolette necessarie: poi si capirà il perché) dell’individuo, ma anche nella diffusione dei contenuti originariamente veicolati dai mass media per così dire tradizionali, dunque i giornali, la televisione e la radio, poi il web nella sua fase “pre-social”.
Questo “bombardamento” di contenuti non opera in modo casuale, ma secondo algoritmi che si basano, a loro volta, sui dati volontariamente forniti dagli utenti stessi: non solo le generalità inserite alla registrazione a ogni nuovo sito, si intende, ma anche i nostri dati di navigazione e le keywords – le parole chiave – di cui facciamo uso più spesso nella comunicazione e nella navigazione via internet. E in questo flusso di notizie diretto ad hoc verso ciascun utente, la qualità dei contenuti non regge il passo con la quantità: in altre parole, sarebbe ingenuo supporre che tutto ciò che un algoritmo ritiene interessarci sia attendibile; ma sarebbe altrettanto naïf pensare che i contenuti “inattendibili” ci raggiungano “per sbaglio”. «Nell’era della comunicazione digitale – argomenta Robba – la diffusione di contenuti falsi o fuorvianti, ma presentati in modo da attirare la nostra attenzione, fa parte del sistema. E allora possiamo decidere di opporre una resistenza oscurantista, come i marinai dell’Odissea che si tappano le orecchie per non udire il canto delle sirene, delegando a un arbitro superiore la responsabilità di discernere il vero dal falso – cosa che non sempre avviene in buona fede – ; oppure seguire l’esempio di Ulisse, che per sete di conoscenza rimane esposto alla melodia ammaliatrice, facendosi però legare all’albero per non cadere nel tranello. E se non è sempre facile usare spirito critico in un’azione ormai normale come la navigazione, è però importante che ognuno sia in grado di riconoscere i contenuti distorti come tali, e regolarsi di conseguenza».

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Fare uso di internet e dei social media, dunque, significa cedere dati personali in cambio di contenuti, e poco importa che essi siano “veri” fintantoché attirano l’attenzione dell’utente, permettendone una profilazione ancor più precisa. Creando Alex Anderson, il candidato-avatar alla Casa Bianca, Nardone intendeva inizialmente promuovere il proprio romanzo di fantapolitica, ma il progetto ha preso una piega inaspettata, mettendo a nudo la superficialità dell’utente (ed elettore) medio. Con una campagna di marketing tanto efficace quanto posticcia, il presunto repubblicano di Cleveland, Ohio ha saputo concorrere degnamente contro un avversario fittizio di un inesistente collegio elettorale, peraltro sostenendo idee “eterodosse” rispetto a quelle di molti altri candidati, prima di uscire allo scoperto nel marzo 2016, a otto mesi dall’Election Day.
«Proprio lo stile “sopra le righe”, per non dire viscerale, del personaggio di Donald Trump, già icona pop dell’American Dream rampante, i suoi istrionismi e il suo radicalismo reazionario, decisamente eretico rispetto ai dettami del politically correct, gli sono valsi la vittoria finale, poiché – spiega Castellin – al mainstreaming della politica attraverso i media audiovisuali – si parla degli anni Sessanta, Kennedy contro Nixon –  si è accompagnato un cambio di baricentro dalle idee all’immagine, segnando la nascita del marketing politico per come lo conosciamo oggi, e la tendenza non si è certo invertita con l’affermarsi del tempo reale, che si basa sull’impatto dell’immediatezza, non sempre ragionata, non sempre esaustiva. L’apice di tale fenomeno è costituito da Barack Obama, in anni in cui i social media, con tutta l’immissione e la circolazione di big data che ne è derivata, si sono imposti come arena di espressione personale, dunque anche politica in senso lato» (perché, contemporaneamente, gli stessi social media hanno consentito la propagazione dell’antipolitica e, soprattutto in Europa, dei movimenti populisti in generale).
In questo scenario – torniamo ora al di là dell’Atlantico -, l’immagine della candidata Hillary Clinton, nata Rodham, è stata penalizzata in molti modi: le sue campagne di auto-promozione si sono rivelate meno efficaci di quelle del marito illo tempore, poi di Obama e di Trump, e soprattutto in quest’ultimo caso la candidata sembrava incarnare una sostanziale continuità e, se così si può dire, “moderazione” rispetto al progressismo di Obama e più ancora di Bernie Sanders, suo avversario alle primarie dei Democrats nel 2016. Non solo: ha fortemente danneggiato la sua reputazione lo scandalo Mailgate, svelato e denunciato dai whistleblowers della rete.  Sono, questi ultimi, figure in grado di creare forti divisioni nell’opinione pubblica. Julian Assange, Chelsea Manning (al secolo Bradley Manning), Edward Snowden – per citare i nomi più noti  – sono stati accusati di tradimento alla patria per aver denunciato pubblicamente l’accumulo improprio di dati di privati cittadini, sommariamente giustificato con questioni di sicurezza delle quali si è poi ampiamente abusato (il caso specifico di Edward Snowden è illustrato più dettagliatamente da Cattaneo, che ne esprime un giudizio positivo e grato). Tali informazioni sono state in buona misura captate tramite intercettazioni, ma anche  – si diceva – cedute spontaneamente dagli utenti, ormai essi stessi considerati alla stregua di mercanzia in un sistema in cui i dati sono scambiati con beni e servizi, con la differenza che questi ultimi si esauriscono, mentre i primi restano nelle mani di chi li ha accumulati, che può disporne secondo il proprio interesse manipolandone le stesse fonti.

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Fatalmente, Fake Revolution è stato pubblicato quasi in contemporanea a un “nuovo” grande scandalo informatico: quello di Cambridge Analytica, sempre relativo alla profilazione di utenti-elettori. Poco prima dell’insorgere dello scandalo, Mark Zuckerberg, co-fondatore e amministratore delegato di Facebook, aveva annunciato un cambio di algoritmo per il social network, teso a privilegiare i contenuti “personali” degli utenti rispetto a quelli caricati e condivisi dalle “pagine” delle aziende. «I contenuti autoreferenziali –   spiega Nardone – tendono a ottenere più consensi in termini di like nelle interazioni da utente a utente, ma soprattutto aiutano a tenere traccia delle abitudini della persona e del suo giro di contatti, entro il quale, tipicamente, sussiste un certo grado di omogeneità nelle abitudini e nelle preferenze». «D’altra parte –  precisa Cremonesi –  anche l’accesso ai contenuti pubblicati da altre pagine web, comprese le fonti d’informazione autorevoli, passa sempre più spesso dalla condivisione sui social network, che funzionano da hub per tracciare e reindirizzare le preferenze individuali». Di nuovo, il fine giustifica i mezzi, e il clickbaiting (la pubblicazione di contenuti “esca”) è la norma e non certo l’eccezione, da cui pochissime testate “illustri” sono esenti.
Gli effetti della propagazione di notizie-fuffa o vere e proprie bufale, che non di rado entrano in contraddizione tra loro (non è immune da questa tendenza nemmeno la divulgazione scientifica) sono però controllabili solo in parte, con buona pace delle pur necessarie campagne educative in tal senso. Le falsità diffuse dalla rete hanno sempre più spesso l’impatto di profezie che si autoavverano, “creando” situazioni e dichiarazioni inverosimili nella realtà pur di fare sensazione. La situazione è in qualche modo analoga a quella ambientale: molti utenti, qualche arbitro, poco esercizio di responsabilità, dunque poca “ecologia”. Per “ripulire” la rete (e il pianeta) siamo già ampiamente in ritardo, e tutti i relatori si dicono pessimisti a riguardo. Nessuno di noi è veramente invulnerabile all’ “automercificazione”, al targeting su misura, e all’erogazione di notizie false o distorte, e le pressoché inevitabili interazioni tecnologiche ci espongono quotidianamente a tutto questo. Lo sviluppo di “anticorpi” alle falsità e alle “esche” non passa perciò dalla loro rimozione dalla rete, ma da un esercizio di spirito analitico, logica e autocontrollo da parte degli utenti. [Alida Franchi, ecoinformazioni – foto di Alida Franchi e Daniele Fulco, ecoinformazioni]

Già on line sul canale di ecoinformazioni i video di Alessia Rizza e Daniele Fulco dell’iniziativa.

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