Russia e Ucraina: le complessità di una tragedia

Dal 24 febbraio l’Europa vede una guerra al suo interno geografico, con l’invasione russa ai danni dell’Ucraina. Per tentare di comprendere la complessità di cause e sviluppi di questo conflitto, Arci Milano e Fiom-Cgil Milano hanno organizzato il 10 marzo alla Camera del lavoro di Milano e online su Facebook Guerra Russia-Ucraina: perché e con quali impatti, un dibattito con Eleonora Tafuro Ambrosetti, dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, Francesco Vignarca di Rete italiana pace e disarmo, Martina Comparelli, portavoce di Fridays for Future Italia e Maso Notarianni, presidente di Arci Milano e Roberta Turi, segretaria generale di Fiom Cgil Milano, che hanno dialogato con Alessandro Giglioli, direttore di Radio Popolare.

La guerra Russo-ucraina ha sconvolto un occidente che si credeva pacifico e pacificato, non solo ampliando le crepe sistemiche già emerse durante la pandemia, ma rimettendo ancora più in discussione il capitalismo nelle sue derive imperialiste e militariste. Una questione sfaccettata che ha portato ad invitare come relatori persone con esperienze politiche e sociali diverse per cercare di orientarsi nell’intrico di implicazioni che l’invasione russa in Ucraina mette in campo sul piano economico e sociale.

Un conflitto che si spiega secondo tre ragioni: storico-etnica, per cui Ucraina, Russia e Bielorussia formano una sola regione; d’influenza sull’Ucraina, progressivamente persa dalla Russia a favore dell’Unione europea; internazionale, di competizione tra la Russia e l’Occidente collettivo (Usa+Ue).
Cause complesse che hanno portato ad una guerra ancora più complicata da risolvere. La Russia chiede il riconoscimento della Crimea, che dal 2014 è annessa alla Russia ma non riconosciuta da numerosissimi stati occidentali e non solo, il riconoscimento dell’autonomia di Donbass e Luhansk e la neutralità permanente dell’Ucraina rispetto alle organizzazioni internazionali europee. Di fatto, quest’ultimo punto mira a far cadere Zelensky e ad isolare lo stato ucraino rispetto all’Occidente, lasciandola di fatto in balia della Russia, che secondo Ambrosetti ha però commesso un errore geopolitico che si ripercuoterà sul mondo e sul paese stesso.

Le ostilità russo-ucraine sconvolgono l’Europa non solo riproponendovi un conflitto potenzialmente su larga scala ma anche rompendo un equilibrio di pace che nell’immaginario occidentale, durava da decenni.
Vignarca è intervenuto, in collegamento da un’assemblea sul nucleare a Ginevra, proprio in questo senso, ponendo l’accento in particolare sulla questione del rischio atomico che la guerra porta con sé. È centrale in questo momento esprimere la volontà di pace al di là delle differenze di concezioni che questa parola porta con sé. Pace, dunque, ma anche consapevolezza della complessità ed evitare posizioni radicali e banalizzanti. Il pacifismo non è solo in manifestazione, ma anche prima, durante e dopo la restituzione pubblica del corteo; i contenuti vengono sviluppati altrove e le analisi, i calcoli e le sintesi seguono piste di lavoro altre. Tra queste, l’idea che se ci si vuole schierare in solidarietà alle vittime pensare di armare lo stato invaso (come stanno facendo diversi paesi occidentali) è un errore. La storia insegna che estendere il conflitto non porta a risultati.
La dimensione nucleare, poi, rende il conflitto estremamente peculiare: la deterrenza non ha più senso se i capi di governo non hanno interesse a proteggere nemmeno il proprio popolo. Un’escalation che può andare in diverse direzioni, dall’uso di missili balistici totalmente distruttivi al fallout nucleare delle centrali ucraine a cui far seguire un attacco normale, passando per le armi nucleari localizzate, meno devastanti e per questo più accettate dai quadri militari. Comunque vada questo conflitto, il disarmo nucleare è una priorità.

La guerra fa emergere anche un problema energetico evidente, con l’Europa costretta a pensare di riaprire le centrali a carbone dato che la Russia ha un ruolo centrale come erogatore globale di energia. Ma questa dimensione ambientale, punto centrale del movimento di Fridays for future, è marginalizzata nei media in base alla logica “una catastrofe per volta” che ha visto la crisi climatica ormai al terzo posto dopo guerra e pandemia.
Il discorso climatico, ha sottolineato Comparelli, è in un certo senso un privilegio occidentale a fronte delle persone che muoiono in Ucraina e dei paesi legati direttamente alla Russia sul piano delle forniture alimentari. La preoccupazione occidentale si rivolge alla tutela di un sistema energivoro insostenibile e la transizione ecologica rischia, paradossalmente, di essere ritardata a fronte delle spese sempre maggiori in difesa. Anche dall’ambientalismo dunque non può che giungere una voce antimilitarista date le conseguenze devastanti delle guerre sulle vite di milioni di persone anche sul piano energetico.
Facendo il discorso privilegiato delle risorse, il problema è il gas russo e la risposta istituzionale è il carbone che, oltre ad essere inquinante, ha tempi di avviamento degli stabilimenti pari se non superiore rispetto alle rinnovabili. Ma la questione è lo stile di vita: il sistema economico capitalista non favorisce solo imperialismo, nazionalismo e guerre, ma nasconde anche i vantaggi di una transizione che, tra allestimento di impianti ed efficentamento degli edifici, è non solo possibile ma anche economica. La questione è di volontà politica che manca, viene da pensare per interessi troppo forti che spingono a far finta di nulladi fronte ai fatti.
Il tema energetico però è anche infrastrutturale, si è inserita Ambrosetti, dato che l’Ucraina è punto di passaggio strategico del gas russo verso l’Europa e l’Italia in particolare è sotto scacco energetico dall’est. La transizione ecologica è, a maggior ragione, centrale per rendersi indipendenti dal colosso russo.
Insomma, se si continua con questa linea il futuro sembra costellato di conflitti anche energetici nel segno della crisi climatica che ogni giorno che passa è sempre più inevitabile.

La complessità della guerra è geopolitica, quindi, ma coinvolge anche tanti altri ambiti in modo deleterio. Di guerre, con Emergency, ne ha viste molte Maso Notarianni, ora presidente di Arci Milano che citando il suo maestro Gino Strada si è definito “non pacifista, ma contro la guerra”.
I conflitti sono l’arma del potere per autoconservarsi e non c’è una guerra meno devastante dell’altra. Oggi è l’Ucraina, ma non ci sono differenze sostanziali con l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria. E allora deve smuovere ma non commuovere un ospedale ucraino bombardato, perché da che si fa la guerra si colpiscono i civili ie le infrastrutture fondamentali per la vita quotidiana. Non si può fare una classifica delle guerre, ed accusare chi lo sottolinea ora di essere filo-Putin è dimostrazione di superficialità ed incapacità di leggere che lo scontro geopolitico Russia-Usa è scontro tra due imperialismi che si trasla altrove per evitare le conseguenze di un conflitto diretto.
Forse, esistono guerre “di resistenza” (kurda, anticoloniale, partigiana) che sono considerabili giuste, per dinamiche da cui sorgono, per i mezzi con cui sono combattute o anche guardando chi le combatte e subisce. Maso, spinto da Giglioli, ha riflettuto ad esempio su come il conflitto partigiano abbia portato alla Costituzione in cui l’Italia ripudia, rifiuta cioè dopo averla conosciuta, la guerra. Però, va sottolineato come una soluzione non bellica del fascismo avrebbe portato forse a fare i conti meglio col regime di come è stato fatto.
La guerra imperialista, comunque, è altro e crea solo sofferenza che, nonostante le armi definite chirurgiche, è tutta dei civili innocenti.

Popolazioni di cui una parte fugge, recandosi verso l’Europa in flussi di oltre 200.000 al giorno.
Anche questo aspetto è problematico alla luce della disparità di trattamento con i migranti che fino a pochi mesi fa venivano respinti in Polonia perché non-bianchi. Il paradosso è che le persone ucraine vengono fatte passare, mentre quelle africane no, con una discriminazione cinica e aberrante.
Ma, al netto di questo filtro razzista, il problema è anche la destinazione di queste persone e la loro integrazione.

La guerra russo-ucraina, infine, è narrata come scontro tra liberalismo ed autocrazia. Se Maso sottolinea che non è altro che propaganda occidentale, laddove il capitalismo occidentale si basa sulle disuguaglianze, Ambrosetti ha rilevato come la corruzione in Russia sia talmente penetrante da essere incomparabile rispetto agli ideali professati (più che perseguiti) da America ed Europa.
L’attivista di Fridays for Future ha invece presentato la teoria di Mary Kaldor sulle nuove guerre, il cui schema si basa sugli interessi che implicano. Alla luce di questa prospettiva, forse, anche nel conflitto ucraino si può ricercare la prevalenza dei fini economici su quelli politici e si vede dal fatto che aziende come Eni e le principali banche italiane hanno incontrato Putin pochi giorni prima dell’invasione, mentre Di Maio veniva schernito dal Cremlino.

Un dibattito complesso che ha visto, come è emerso dalle domande, non citare la Cina, uno dei quattro mediatori con Turchia, Israele ed il Vaticano. La Cina è il potenziale ago della bilancia essendo alleato antiamericano di Putin ma anche superpotenza commerciale che può mitigare l’intrattabilità del Cremlino alla luce del suo legame economico tra Europa, Ucraina e Russia e del suo timore per una guerra che distruggerebbe i suoi rapporti di scambio con l’Occidente.
La questione economica si ripercuote però anche sulle popolazioni, con le sanzioni che stanno stravolgendo il mondo del lavoro russo e che, a breve-medio periodo, rischiano di distruggere anche la società europea colpendo in prima battuta il precariato ed andandosi ad aggiungere ai danni devastanti della pandemia.

Morti civili, un passo indietro energetico ed ambientale evidente, frantumazione economica in Russia e in Occidente, un immaginario collettivo sconvolto tra pandemia e guerra: dal 24 febbraio la società globale si trova in crisi totale. Oltre alle soluzioni geopolitiche, in mano a pochi potenti ed ai loro capricci, la serata, ricca di spunti e questioni intricate, ha fatto emergere la necessità di un cambio di paradigma nella rappresentazione dei blocchi est-ovest, di un ripensamento della produzione energetica, della smilitarizzazione, .
Oltre agli aiuti umanitari necessari nel pieno della tragedia, la svolta è necessaria ma, come le piazze intersezionali (ambientaliste, operaie, femministe, pacifiste, studentesche) di tutto il mondo sottolineano da mesi se non anni, finché la priorità saranno profitto e potere, un miglioramento delle condizioni di vita complessive sembra impossibile. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]


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