
Imparare dall’Africa per diventare migliori
Giovedì 30 giugno presso la libreria il Gabbiano di Trezzo sull’Adda è stato presentato il libro Quello che possiamo imparare in Africa, del direttore di Medici con l’Africa Cuamm, don Dante Carraro. L’autore ha dialogato con Marco Trovato, direttore editoriale di Africa Rivista, in una ricca serata organizzata per sfatare molti degli stereotipi su un continente ancora troppo ignorato o sfruttato.
In una calda serata estiva a Trezzo sull’’Adda avviene un tentativo, riuscito, di sfatare molti stereotipi sul continente africano. Una serata che ha ospitato il direttore di Medici con l’Africa Cuamm don Dante Carraro e il direttore editoriale di Africa Rivista, Marco Trovato grazie alla volontà di AfriCast, un collettivo di organizzazioni, associazioni e persone singole che si pone l’obiettivo di trasmettere e far conoscere l’Africa fuori dai normali canoni, anche attraverso un podcast.
Dopo un video iniziale che ha riassunto l’operato di Medici con l’Africa Cuamm – 70 anni di attività in 43 paesi, 232 ospedali costruiti e una presenza costante in Etiopia, Angola, Mozambico, Sud Sudan, Tanzania, Repubblica Centrafricana e non solo – una lunga chiacchierata tra i relatori ha dato modo di approfondire molti dei temi trattati nel libro di don Dante Carrara.
Ancora oggi per l’opinione pubblica l’Africa ispira sfiducia ed è legata a conflitti e tensioni. Ma se si pensa a questo come al continente con la popolazione più giovane in termini anagrafici è impossibile non considerare il potenziale che presenta e la vitalità che potrebbe essere liberata.
Tra i vari temi quello più importante è stato ovviamente quello della salute. E non potrebbe essere altrimenti, poiché l’Africa è il continente con aspettativa di vita più bassa. Si muore ancora per la malaria; su 35 milioni di malati di Aids 25 milioni sono africani. Si muore di peste, febbre gialla, meningite, dissenteria. In un passaggio Marco Trovato racconta la storia di Richard, un uomo congolose, che in un suo viaggio in Congo gli chiese aiuto presentandogli una lista di cose che doveva procurare per il figlio malato di appendicite. Una lista lunghissima, che l’ospedale aveva chiesto a Richard di procurare per l’operazione. Fortunatamente per Richard e il figlio è stato possibile recuperare quei medicinali, ma per molte persone, soprattutto quelle nelle periferie «anche una frattura, se scomposta o esposta, può essere fatale perché rischia di infettarsi e non poter essere curata adeguatamente», come dice don Dante.
È per questo, continua, che il cuore di Medici con l’Africa non è la capitale, ma l’ultimo miglio. Quelle zone più remote dove è fondamentale essere presenti con presidi territoriali, con una sanità che sia di comunità e diffusa e non centralizzata.
Ma un altro problema è anche il cosiddetto brain drain la fuga di cervelli che toglie maestranze ai paesi del continente. Professionisti che lasciano i loro paesi per poter avere una vita dignitosa all’estero e spesso in Europa. «Il 25% di sanitari a Londra proviene da ex colonie», afferma Marco Trovato. Durante la pandemia questo fenomeno è stato esacerbato dalla necessità dei paesi europei molto colpiti di aumentare il numero del personale negli ospedali, di fatto lasciando diversi paesi africani in mancanza di personale già normalmente non sufficiente.
Sono solo alcuni esempi delle problematiche del continente emerse durante la serata e che sono spesso peggiorate da interventi miopi dei paesi che ancora giocano a fare i colonizzatori, seppur in modo meno esplicito e più infimo, come quello del dumping.
Un esempio di questa pratica è quello del Ghana, come racconta Marco Trovato, paese produttore di pomodori con un florido mercato interno, che è stato soffocato dall’importazione di salsa concentrata cinese e italiana a prezzi ribassati negli ultimi anni. Il paradosso di situazioni come queste è che per molti lavoratori africani significa essere costretti a emigrare perché il loro prodotto non vale più. Emigrare in condizioni terribili e lavorare spesso nelle campagne italiane, proprio a raccogliere quei pomodori del terzo paese produttore al mondo, che li esporta nel continente africano rovinando le economie locali. Ma un altro esempio di danno esterno è lo sfruttamento nelle miniere che permette a molti dei nostri prodotti tecnologici di essere più economici sul mercato e quindi consumati in massa per il profitto delle aziende produttrici.
«Quando si vuole intervenire, bisogna chiedersi come. Perché anche se hai del capitale da investire e magari vuoi fare del bene, come effetto indiretto rischi di causare maggiori danni perché non conosci la situazione», afferma Marco Trovato.
Tanti i temi trattati e da trattare per poter permettere di comprendere a pieno le dinamiche che muovono un continente ricchissimo ma poverissimo, sfruttato da potenze straniere con la connivenza di alcuni governanti che non vogliono il bene del loro popolo, ancora per certi versi in catene. Catene che anche don Dante vede e sente ancora con mano.
Alla domanda di Marco Trovato su quanto nel suo libro sia presente la fede, don Dante afferma che Dio è in tutte le sue azioni nonostante il suo libro non sia così denso di temi religiosi. Cita quindi il passaggio in cui nel libro dell’Esodo Mosè viene designato da Dio per liberare finalmente gli israeliti da 400 anni di schiavitù in Egitto chiedendosi «se e quando questo potrà accadere anche per i popoli africani».
«Don Dante scrive come parla, leggendo sembra di sentirlo parlare. Mette in questo libro la testa e il cuore», dice Trovato. «Non ci sono lezioni di morale e non ci sono verità assolute». Un sano interrogarsi, quindi, e interrogarci su quanto possiamo noi imparare dall’Africa, ascoltando questo continente vicino e fraterno. Non per trarne profitto, ma per liberarci finalmente dai pregiudizi che ancora perpetuano lo sfruttamento e contribuiscono a diseguaglianze economiche e violazioni dei diritti umani – tra cui anche quello alla salute.
Quello che questa serata ha provato a insegnare, infine, è che quando si parla di Africa dovrebbero essere accantonate tutte le velleità paternalistiche e superbe, in favore di una prospettiva vera di cooperazione e collaborazione orizzontale, paritaria. Tra i popoli e nel rispetto delle culture e della dignità umana. [Daniele Molteni, ecoinformazioni]