Tra lotte e speranze. L’utopia concreta di Shirin Ebadi

OLGIATE COMASCO, 27 novembre 2011. Le iniziative organizzate per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne da Acli, Cgil, Coordinamento comasco per la Pace, Coordinamento provinciale donne Pd, Comitato 13 febbraio, Geniodonna, Donne in nero, Rosa Bianca, Sistema bibliotecario Ovest Como, Soroptmist international (Co, Lc, Lugano lago, Merate, So), Telefono donna si sono concluse con l’incontro Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace 2003. Una sfida per i diritti delle donne iraniane e di tutto il mondo.

 La premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi ha chiuso la sua due giorni a Como con un appuntamento pubblico domenica 27 novembre. L’incontro, aperto da Maria Rita Livio, sindaca di Olgiate Comasco in rappresentanza del Sistema bibliotecario Ovest Como, è stato coordinato da Grazia Villa, presidente dell’associazione La Rosa Bianca.

Il primo intervento del pomeriggio è stato quello di Marisa Paolucci, la giornalista, collaboratrice di Telefono Rosa, un Centro per i Diritti della Donna che ha sede a Roma, sul suo libro-intervista, Tre donne, una sfida, (edito da Emisferi, nelle librerie da gennaio 2012) che racconta l’incontro con tre donne musulmane − l’iraniana Shirin Ebadi, la sudanese Fatima Ahmed Ibrahim, prima donna eletta in un Parlamento africano e Malalai Joya, la giovane afgana, parlamentare dal 2003 al 2007, quando fu espulsa per aver denunciato i «criminali di guerra» che le sedevano accanto.

Nonviolenta e radicale

Una donna minuta, che parla con dolcezza nella sua musicale lingua madre (abilmente tradotta in italiano da Ella Mohammadi, che si è detta onorata di essere stata scelta da Shirin Ebadi come interprete), è entrata per sempre nei cuori e nelle menti di quasi 350 donne e uomini convenuti nel pomeriggio del 27 novembre alla sala Medioevo di Olgiate Comasco per incontrarla Perché, come ha detto Grazia Villa «quando ci si incontra una volta ci si incontra per sempre. Questo regime priva Shirin di alcuni affetti importanti. Noi non possiamo sostituirci a suo marito e a sua sorella, ma Shirin da oggi sa di poter contare su tante amiche e amici». e

La prima donna musulmana insignita del Nobel perla Pace(2003) per il suo impegno in difesa dei diritti di tutte e di tutti, in particolare delle bambine e di bambini, per la sua azione contro ogni discriminazione e il suo impegno per modificare l’umiliante condizione della donna nel suo Paese è un simbolo delle lotte delle attiviste e degli attivisti dei diritti umani in tutto il mondo. La sua notorietà è cresciuta ancora, dopo i contestati risultati delle elezioni presidenziali iraniane del giugno 2009, quando una moltitudine di persone, soprattutto giovani donne e uomini, ha, in modo pacifico, manifestato nelle strade e nelle piazze subendo una violenta repressione da parte del governo e della polizia, responsabili di pestaggi, arresti, torture e uccisioni nei confronti di dissenzienti inermi. Le donne che avevano visto ammazzare brutalmente persone care, quelle che cercavano i dispersi e quelle che avevano amici e parenti in prigione, con la collaborazione di Ebadi, crearono a luglio 2009 un comitato che ogni sabato alle 19 per un’ora si riuniva in un parco in Teheran per gridare in silenzio il proprio dolore ai passanti. In solidarietà con quelle donne altre donne in tutto il mondo (a Como le Donne in nero) manifestarono il loro sdegno.

Il secondo libro di Ebadi (il primo Il mio Iran è stato pubblicato in Italia Sperling & Kupfer, nel 2006 ed è attualmente in ristampa), il romanzo, La gabbia d’oro, edito da Rizzoli nel 2008, si apre con le parole del pensatore e sociologo iraniano Alì Svariati: «Se non potete eliminare l’ingiustizia, almeno raccontatela a tutti». È il compito che da sempre si è assunta Shirin. Ancora di più ora dopo la sua decisione di lasciare l’Iran. Infatti, lontana dai soi affetti più cari (a suo marito e a sua sorella sono stati ritirati i passaporti per costringerli a restare) passa più di 300 giorni all’anno girando i cinque continenti per narrare la difficile condizione del paese e ancor di più le lotte delle donne e degli uomini iraniani per contrastare le violenze e le discriminazioni e sensibilizzare tutte e tutti nella convinzione che i diritti o sono di tutti, di tutte, o di nessuno, nessuna.

L’avvocata Ebadi, dal 1970 presidente di una sezione del tribunale di Teheran annessa al ministero della Giustizia, è stata licenziata dopo la rivoluzione islamica nel 1979; ha conosciuto la prigionia nel carcere di Evin,a Tehran; è stata condannata a morte dal regime teocratico iraniano ai tempi dei delitti su commissione ammessi dal Governo Khatami; più volte minacciata di morte anche da quando è al potere Mahmoud Ahmadinejad che ha provato a farla tacere arrestando i suoi familiari senza riuscirci «Amo la mia famiglia, ma ancora di più amo la giustizia»: Dopo il Nobel ha fondato insieme ad altre e altri avvocati l’associazione “Society for Protecting the Child’s Rights” che si occupa di casi di bambini maltrattati, prigionieri politici, matrimoni forzati e abusi sulle bambine e le adolescenti. «In Iranla Convenzioneper i diritti del fanciullo, che vieta la pena di morte per i minori di 18 anni, è stata ratificata ma dal 1979 è stata abbassata l’età della responsabilità penale a 15 anni per i maschi e a 9 per le donne. Se una bambina di 10 anni o un ragazzo di 16 commettono un reato possono essere puniti come un adulto, quindi anche con la pena di morte». L’Iran ha il numero più alto di esecuzioni di minori nel mondo».

È realista Shirin. È convinta che sia prematuro parlare di Primavere arabe, come hanno fatto e fanno i media occidentali. «Il primo provvedimento dei Comitati per la liberazione in Libia è stato quello di ripristinare la poligamia. Tante donne libiche e noi con loro ci domandiamo tanti morti per far sì che gli uomini libici potessero sposare quattro donne?». Mette in guardia anche dalla possibilità di strumentalizzazione delle masse come è avvenuto in Iran con la rivoluzione del 1979 quando, ingenuamente molti giovani uomini e donne lottarono per il desiderio di una vera democrazia mentre un dittatore lo scià Reza Pahlevi fu sostituito da un altro dittatore, un religioso fondamentalista l’ayatollah Khomeini.

È laica Shirin. I religiosi al potere hanno reso legali le discriminazioni nei confronti delle donne (la vita di una donna vale metà della vita di un uomo, la testimonianza di due donne vale quanto la testimonianza di un uomo, un uomo può avere quattro mogli e ripudiarle senza dover motivare la sua decisione, per una donna divorziare è molto complesso, le donne ereditano metà dei loro fratelli, coprirsi la testa è obbligatorio per tutte le donne anche per le straniere). «In Iran il 65 per cento di chi studia all’Università è donna. Ci sono molte professioniste e intellettuali. Le leggi non sono compatibili con a cultura del Paese». «Il regime islamico ci vuole tutte e tutti in Paradiso. Ci ha tolto anche la libertà di andare all’inferno». Non è la religione a vincolare le donne ma i precetti selettivi di chi le vuole costrette all’isolamento. Sono i religiosi al potere che cercano di attribuire al Corano leggi che con la religione non hanno alcun nesso. Ci sono molte interpretazioni dell’Islam. Per lottare contro mentalità antiquata e fondamentalista è necessario separare lo stato dalla religione e non permettere che i religiosi al potere sfruttino i sentimenti religiosi della popolazione. Un’interpretazione dell’Islam che sia in armonia con l’uguaglianza e la democrazia è autentica espressione di fede.

È femminista Shirin. Le leggi del regime iraniano, ma anche le discriminazioni nei confronti delle donne che esistono in occidente e anche in Italia (una donna a parità di funzione guadagna meno di un uomo, ci sono poche donne ministre o in altre istituzioni, ci sono poche donne nei luoghi delle decisioni politiche ed economiche,…) sono frutto della «cultura patriarcale che per giustificarsi usa e abusa della religione, a volte anche della scienza e della psicologia, secondo alcuni psicologi le donne sono più emotive. Contro questa cultura, che esiste in occidente e in oriente, dobbiamo lottare. Quando dico cultura patriarcale non intendo cultura di genere maschile, ma una cultura che non crede nell’uguaglianza, non soltanto tra i generi. La prima condizione di una democrazia è il rispetto delle minoranze etniche, religiose, politiche». «Le donne sono vittime ma anche portatrici di questa cultura patriarcale. Ogni uomo prepotente è stato cresciuto nel grembo di una donna». Da qui l’importanza dell’informazione e dell’educazione, «profonda, globale, in particolare delle donne. Perché quando conoscono le modalità di azione della cultura patriarcale imparano a combatterla».

È chiara Shirin. «Noi stiamo facendo il nostro dovere. Stiamo lottando per la democrazia. Voi occidentali dovete lottare nei vostri paesi. Chiedere ai vostri governanti e ai vostri giornali di smetterla di preoccuparsi solo del nucleare e di interessarsi delle violazioni dei diritti umani. Se non ci fosse il problema del nucleare, si potrebbe uccidere e torturare le persone in Iran?».

«In quali banche secondo voi i religiosi al potere portano i loro soldi? Certo non in quelle degli Stati Uniti. E non in quelle in Africa. Li portano in Europa. Chiedete alle banche di non accettare danaro sporco». «Sono contro le sanzioni, ma sono anche contro gli affari sporchi e vergognosi che anche i vostri governi continuano a fare con il governo iraniano».

È fiduciosa Shirin. È convinta che alla base della democrazia ci sia la libertà di espressione. La tecnologia ci aiuta. Internet ha favorito la libera espressione. La censura, le interferenze che disturbano le connessioni Internet, il filtraggio dei siti degli oppositori del regime, messi in atto dal cyber esercito insediato in Iran dai servizi segreti, non riusciranno a fermare i giovani e le giovani in lotta per il proprio futuro. «I nostri giovani sapranno eliminare quei filtri».

È piena di speranza Shirin. All’inizio della sua attività si sentiva isolata «oggi il Paese è pieno di giovani donne più coraggiose e brave di me». È convinta che saranno le donne, pacificamente, a liberare l’Iran, guidandolo fuori dall’attuale medioevo, non le guerre e neppure le sanzioni: «Le guerre e le sanzioni colpiscono il popolo. Le donne musulmane lottando porteranno democrazia nei loro paesi. In Iran le donne sono contrarie alle leggi discriminatorie e patriarcali. C’è un movimento di donne femministe molto attive. Le loro azioni sono considerate contrarie alla sicurezza del paese, ma per ogni donna imprigionata o uccisa altre dieci donne scendono in piazza. Molti uomini fanno parte del movimento femminista. La vittoria delle donne segnerà l’inizio della vera democrazia. Lo sanno anche gli uomini. Le donne presto porteranno con le loro mani forti e abili la democrazia anche in Iran». [Celeste Grossi per ecoinformazioni] [Foto Carmen Àncora]

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