In 30.000 anche a Milano contro il patriarcato

Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne anche a Milano, in Largo Cairoli, una marea si è raccolta per ricordare le vittime di femminicidio di quest’anno e per fare rumore. Una rabbia diffusa che non chiede solo provvedimenti istituzionali ma una rivoluzione culturale.

Sabato 25 novembre alle 11.00 anche Largo Cairoli a Milano è stato invaso da una marea di persone. Molti i volti noti, oltre a esponenti politici e il sindaco Beppe Sala. Ma chi ha fatto più rumore sono state soprattutto le studentesse e gli studenti delle scuole superiori e delle Università, arrivate/i in corteo con tanta rabbia e numerosi slogan. Nel corso della mattinata si sono susseguiti interventi ed è stata letta la poesia Se domani non torno di Cristina Torres-Caceres, oltre ai nomi delle 107 vittime di femminicidio di quest’anno. A conclusione della manifestazione, al posto di un minuto di silenzio c’è stato l’ormai diffuso minuto di rumore fatto con chiavi e oggetti. Un minuto per dimostrare la rabbia per quanto accaduto a Giulia Cecchettin e alle altre 106 donne vittime di un delitto che è direttamente collegato alla struttura patriarcale e alla cultura dello stupro.

Proprio di patriarcato, che è un’influenza culturale importante in questi crimini pur non togliendo la responsabilità penale personale degli individui che li commettono, ne ha dato negli scorsi giorni una definizione da manuale Ida Dominijanni in un lucidissimo articolo apparso su Internazionale, scrivendo che il patriarcato è «una struttura socio-simbolica (cioè un ordine sociale sorretto dall’ordine simbolico e viceversa) basata sulla legge e sul cognome del padre, sul dominio degli uomini, sull’oppressione e sul consenso delle donne. È una struttura transculturale (cioè radicata in tutte le culture), trasversale (cioè né di destra né di sinistra), trans-storica (cioè resistente al cambiamento d’epoca). Il che non significa però né che sia dappertutto uguale né che sia immodificabile o invincibile».

E se è vero che è una struttura trasversale non afferente a una specifica parte politica, deve essere politica la risposta per cercare di decostruirla. Una politica quotidiana e diffusa che intervenga sia nelle scuole ma anche nei luoghi di lavoro, educando alla sessualità e all’affettività bambini e giovani ma anche adulti. Una svolta culturale dove nessuno è escluso – soprattutto se socializzato come uomo – dalla messa in discussione dei propri comportamenti ritenuti normali. «Giulia Cecchettin e decine di donne come lei non sono state uccise perché non avevano diritti; sono state uccise, nonostante li avessero, perché hanno detto “no” a un uomo», continua Dominijanni sottolineando che «di femminicidi ce n’è “solo” uno ogni tre giorni, ma di relazioni fra un uomo e una donna che vanno a male perché lei finisce annichilita e lui auto-amputato ce ne sono migliaia al giorno. Non c’è donna che, a qualunque età e a qualunque latitudine, non abbia avuto a che fare con un uomo incapace di rapportarsi al di lei desiderio senza distruggerla e senza autodistruggersi».

Intanto anche dopo queste occasioni di piazza, in cui ci si ritrova e riconosce, continuano le notizie relative a questo tipo di violenze. A Erba il 21 novembre una ragazza è stata aggredita con l’acido dall’ex fidanzato, già segnalato per stalking e con un divieto di avvicinamento a seguito di vari episodi di violenza. Ma gli episodi non si fermano qui e spesso molti non sono visibili perché non denunciati o perché considerati poco gravi. Anche nella provincia di Como i dati relativi alle violenze e ai casi di stalking sono aumentati nel corso degli anni, sia per la propensione a denunciare maggiormente sia per una reazione rabbiosa di figli sani del patriarcato che vedono questa struttura sgretolarsi.

Come sottolineato da Nicola Lagioia per Lucy siamo forse in un momento di mobilitazione così forte grazie a Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, che come scrive lo stesso Lagioia «non si è chiusa nel contegnoso silenzio domestico che i suoi futuri detrattori le auguravano, ma ha parlato, trasformando il proprio dolore in un fatto politico». E in mezzo all’infodemia, con parole efficaci e lucide ha indicato la strada. Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999 per il 25 novembre, in onore delle sorelle Mirabal, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nel 2023 e in Italia, assume un’importanza forse mai così grande. Offre un’occasione per riflettere e per ritrovarsi arrabbiate e arrabbiati, per fare autocritica ed essere sempre più vigili. Ma questo non basta più. Una rivoluzione culturale continua, capillare, dal basso e dalla politica è necessaria per non permettere che un patriarcato decadente faccia pagare un tributo di sangue alle donne liberate da questa cultura. [Daniele Molteni, ecoinformazioni]

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