Il sindaco ai ferri corti con la Cultura popolare

L’associazione Pro Coltura popolare venne fondata nel 1901, e per qualche tempo ebbe sede insieme alla Camera del Lavoro nei locali generosamente messi a disposizione dal Comune di Como presso l’ex chiesa e convento di San Pietro in Atrio in via Odescalchi. Poi, nel 1910, l’associazione, grazie soprattutto all’impegno dei suoi promotori (primi fra tutti l’ing. Enrico Musa e il segretario Giuseppe Bedetti), inaugurò una nuova sede, in viale Cavallotti, intitolandola al poeta dell’Inno a Satana, Giosue Carducci, esplicitando così la sua ispirazione laica, massona, socialisteggiante. Da allora il palazzo e l’associazione sono per tutta la città “il Carducci”.

Non paga di ciò, sull’onda di un crescente successo, l’associazione ampliò la sua sede e nel 1920 nacque una seconda – più grande – porzione di edificio, al cui primo piano si insediò anche il Museo Casartelli, uno spazio scientifico-didattico.

Vennero poi i tempi grami: l’avvento del fascismo, la crisi economica mondiale… L’associazione – per rientrare della grande esposizione finanziaria – vendette l’edificio al Comune di Como, che vi insediò l’Istituto fascista di cultura e anche la prima sede dell’Istituto Magistrale. Dopo la Liberazione, l’associazione rientrò nel palazzo (il primo presidente fu, naturalmente, il socialista Bedetti) ospitata dal proprietario pubblico, il Comune di Como. Qui, nei decenni seguenti, si è costruito, pur tra molte difficoltà e qualche contraddizione, un pezzo importante della cultura cittadina, popolare in primo luogo, ma persino aulica: lezioni, incontri, concerti, spettacoli…

La crisi dell’associazionismo non ha lasciato indenne il Carducci, ma ancora in questi tempi è un presidio autentico di cultura, disponibile non solo a continuare a offrire corsi popolari, ma anche ad aprirsi alle altre associazioni e a richieste innovative (l’abbiamo utilizzato più volte come Arci e come Coordinamento comasco per la Pace per la Scuola di Pace, tuttora in corso).

Tutto bene dunque?

Non proprio, perché il Comune di Como, proprietario “dei muri” ma non delle attività che vi si svolgono ora avanza le sue pretese su tutto il complesso, a partire dal Museo Casartelli (piccolo gioiello dimenticato dalla città, ma comunque in buono stato e non troppi anni addietro anche restaurato). Lo fa con quella maniera “imperiosa” che ormai conosciamo, chiedendo di “consegnare le chiavi”, dimenticando non solo l’attività benemerita dell’associazione, ma anche il fatto che proprio il Museo è per esplicita convenzione affidato alla gestione del Carducci.

Questa – in sintesi – la storia che sta dietro la lettera che la presidente dell’associazione Carducci ha diffuso via mail in mattinata, lamentando il merito e il metodo:

«Gent.mi Soci
ho deciso di scriverVi per una cosa gravissima che sta accadendo alla Nostra Associazione.
Dopo [oltre 100 anni] di legittima attività nei locali che utilizziamo come lascito notarile il Sindaco dott, Rapinese VUOLE PRIVARCI DI OGNI BENE, lo fa da quando è iniziato il suo mandato, fin dalla gestione Siani con cui ha iniziato una causa pendente in Tribunale.
Ciò per dare i locali a una storica Fondazione …
Dopo [oltre 100 anni] che gestiamo il Museo Casartelli ci viene chiesta, come se fossimo dei ladri, l’immediata restituzione delle chiavi.
Non tollero che l’Associazione Carducci sia trattata come l’ultima associazione della città mentre siamo una tra le più vecchie compagini.  
Era mio dovere informarvi.»

La cultura comasca ha bisogno di cura, non di maniere forti.

Probabile che il ritratto di Carducci, sopra la porta d’ingresso, sia oggi più corrucciato del solito. [Fabio Cani, ecoinformazioni]

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