Cgil Como

Giù le mani dalla Ca’ d’industria

Alcune centinaia di persone hanno partecipato davanti alla Prefettura di Como venerdì 12 marzo dalle 10 al presidio organizzato dalla Cgil nell’ambito dello sciopero generale «Lavoro, fisco, cittadinanza. Cambiare si può».

Lavoratori, pensionati esponenti sindacali di tutte le categorie hanno animato venerdì 12 marzo dalle 10 avanti alla prefettura di Como  il presidio della Cgil. Del tutto assenti gli studenti che pure in analoghe manifestazioni in corso in tutti i capoluoghi italiani hanno dato pieno sostegno alla proposta del maggiore sindacato italiano.
Il segretario dell Cgil di Como in un breve discorso ha richiamato i temi al centro della mobilitazione ricordando in particolare l’attacco ai dirtti dei lavoratori ed il modo particolarmente subdolo e antidemocratico con il quale ancora si pongono ostacoli all’applicazione dell’articolo 18. Alessandro Tarpini ha inoltre citato due questioni relative alla realtà comasca sulle quali il sindacato  chiede l’intervnto del prefetto: la drammatica situazione delle scuole ormai prive delle risorse indispensabili ad assicurare il diritto allo studio dei giovani e l’attacco alla Ca’ d’industria, patrimonio pubblico frutto delle donazioni che da due secoli i cittadini hanno assicurato, oggi colpita da un processo pericolossisimo di esternalizzazione.
Gli hanno fatto eco i lavoratori che hanno scandito lo slogan «Giù le mani dalla Ca’ d’industria».

Venerdì 12 marzo sciopero generale

«Lavoro, fisco, cittadinanza. Cambiare si può». Sciopero generale di 4 ore venerdì 12 marzo indetto dalla Cgil, alle 10 presidio davanti alla Prefettura di Como.

La Cgil nazionale ha indetto uno sciopero generale venerdì 12 marzo al grido di: «Lavoro, fisco, cittadinanza. Cambiare si può».
Diverse le rivendicazioni del sindacato di Epifani per affrontare la crisi: fermare i licenziamenti, affrontare le vertenze (per impedire le chiusure delle aziende), ridurre le tasse per lavoratori e pensionati.
La Cgil chiede di «garantire la prosecuzione della Cassa integrazione in deroga, raddoppiare la durata dell’indennità di disoccupazione e aumentare i massimali della Cassa integrazione, sostenere il reddito e prevedere gli ammortizzatori per i precari, prevedere periodi di formazione durante la Cassa integrazione, per affrontare la riorganizzazione e e incentivi per l’assunzione stabile di lavoratori disoccupati o in mobilità, estendere i contratti di solidarietà».
Viene chiesta anche la «restituzione di quanto lavoratori e pensionati hanno pagato in più» ovvero 500 euro per il 2010.
L’impegno è anche, per «un futuro per il paese», l’avvio di «politiche di accoglienza e lotta alle nuove schiavitù», regolarizzando i migranti che lavorano, sospendendo la Bossi-Fini per quelli che cercano un impiego, abolendo il reato di clandestinità, estendendo «l’art. 18 del Testo unico sull’immigrazione equiparando il reato di caporalato a quello di tratta sugli esseri umani».
A Como l’appuntamento è alle 10 con un presidio davanti alla Prefettura in via Volta. Al presidio ha aderito l’Arci di Como.

VII congresso della Cgil di Como

Con la relazione del segretario generale Alessandro Tarpini si è aperto lunedì 1 marzo allo Shed di Cernobbio in via Manzoni 1 il VII Congresso provinciale della Cgil di Como. A tutti i partecipanti è stato distribuito un fiocco giallo simbolo dell’adesione alla giornata per i diritti dei migranti.

Il testo integrale della Relazione.

Riportiamo dalla relazione del segretario alcuni passi della sezione Migranti, risorsa e integrazione relativa al tema dei diritti dei migranti al centro della mobilitazione del primo marzo.
«Il primo giorno del nostro congresso coincide con la giornata di mobilitazione dei migranti italiani.
Noi abbiamo ritenuto la proposta, poi accantonata, dello sciopero dei migranti una scelta inopportuna.
Continuiamo ad essere convinti che i problemi di questi lavoratori siano anche i nostri e che un mondo del lavoro spaccato in due – con gli italiani che difendono i propri diritti ed i migranti che lottano per ottenerli in modo separato – rischi di peggiorare ulteriormente la situazione.
Quanto successo nelle scorse settimane a Rosarno e quanto accaduto a Milano in viale Padova, potrebbe facilmente accadere in altre parti d’Italia dove, nell’agricoltura ed in altri settori produttivi, migliaia di immigrati irregolari sono costretti a lavorare e vivere al limite dell’umano tollerabile, sottoposti ai ricatti di chi vive di economia sommersa, anche a causa dell’attuale normativa sull’immigrazione che condanna all’espulsione chiunque decida di denunciare le condizioni di lavoro.
La vicenda di Milano sta a dimostrare il fallimento delle politiche del centrodestra in tema di immigrazione. Comune, provincia e regione, sono governati da 15 anni da amministrazioni di centrodestra; la legge che regola la materia si chiama Boss-Fini: se questi sono i risultati, una classe politica responsabile dovrebbe avere il coraggio di mettere in discussione provvedimenti che forse sono utili in una campagna elettorale, ma che dimostrano ogni giorno la loro inconsistenza.
Vorrei anche dire che le dichiarazioni di un esponente politico regionale all’indomani dei disordini di via Padova, arrivato a proporre “rastrellamenti casa per casa”, pongono anche un problema di civiltà.
Mi sarei aspettato di fronte a tali deliranti affermazioni un moto di indignazione diffuso: non è più accettabile che chi ricopre cariche istituzionali e di governo in importanti amministrazioni si lasci andare a simili inqualificabili affermazioni.
La tragedia di Rosarno parla invece a tutto il Paese: bisogna ricostruire relazioni che mettano al centro la capacità di convivere con le diversità, del vivere insieme, del rispetto di diritti e doveri di cittadinanza e del lavoro, per tutti e da parte di tutti. Questa situazione è il frutto di una politica migratoria non governata, utilizzata in maniera sistematica come arma di propaganda politica, e dell’incancrenirsi di situazioni di estremo sfruttamento e degrado, dove lo sbocco della guerra tra poveri, presto o tardi, rischia di diventare l’esito più probabile. […]
È invece su politiche di inclusione, su progetti di integrazione – partendo dalla scuola – e di sostegno a tutte le famiglie che si trovano coinvolte dalla crisi economica, che occorre puntare, per rinsaldare una vera coesione sociale basata sui valori della solidarietà e dell’accoglienza».