16 febbraio/ Cantù/ Un po’ di Iran allo Spazio avventura
Giovedì 16 febbraio alle 21, l’Oratorio San Giovanni Bosco di Cantù (via Andina 4) ospiterà un’iniziativa organizzata dall’associazione Angolo avventura Cantù e dedicata all’Iran.
Giovedì 16 febbraio alle 21, l’Oratorio San Giovanni Bosco di Cantù (via Andina 4) ospiterà un’iniziativa organizzata dall’associazione Angolo avventura Cantù e dedicata all’Iran.
Sabato 11 novembre dalle 19, la Bottega Pianoterra di Menaggio (via L. Leoni, 5) ospiterà un’apericena in occasione di Racconti di viaggio dalla Cambogia, aggiornamenti sul progetto Dalle mine gioielli di speranza di Ida onlus, piatti dai sapori orientali e prodotti equi e solidali. Evento a cura di Associazione In viaggio, Bottega Pianoterra, Coordinamento Comasco per la Pace, Ida Onlus. Visita la pagina Facebook dell’iniziativa. [AF, ecoinformazioni]
Emanuele Pini, docente dell’Istituto superiore “Matilde di Canossa”, è tornato di recente da un’esperienza volontaria di un anno nella Repubblica democratica del Congo (ex Zaire, ex Congo belga, ndr), motivato da una precedente esperienza in Uganda. In attesa dell’incontro con aperitivo previsto al circolo Arci Guernica di Bulgarograsso per le 18 di domenica 15 ottobre, Alida Franchi ha condotto con lui un’intervista per ecoinformazioni, di cui potete leggere qui un estratto. La versione integrale sarà pubblicata sul settimanale di ecoinformazioni numero 593, previsto per la settimana 16-22 ottobre.
Un anno in Africa: perché?
«Nel 2015 sono partito per un mese di volontariato in Uganda. Questa prima esperienza africana mi ha spinto ad affrontarne una seconda più “immersiva” e di trascorrere un anno a Ariwara, nella Repubblica Democratica del Congo [Rdc da ora in poi, ndr], facendo affidamento alla stessa associazione con ero stato in Uganda [Voica Onlus, ndr]. In un anno ho svolto le mansioni più diverse per conto dell’ospedale locale, amministrato dall’ordine di suore che era partner in loco del mio progetto di volontariato; comunque mi è capitato di ricoprire brevemente il mio ruolo “di default”, quello di insegnante di latino».
Partendo, eri pronto a ciò che ti aspettava?
«Non proprio! Ho affrontato un breve percorso propedeutico con altri volontari, che però sarebbero rientrati dopo poche settimane. Solo sul posto ho imparato a integrarmi nella comunità locale, e come unico bianco certo non passavo inosservato… soprattutto all’inizio è stata una sfida cambiare abitudini, ma l’atteggiamento che ho incontrato è stato positivo, soprattutto una volta che ho imparato a esprimermi in lingala, la lingua africana parlata anche da quelle parti, e in lùgbara, il dialetto locale. Ho trovato degli amici tra i locali che mi hanno preso in simpatia: ero diventato un “Lugbara bianco”, per così dire…»
Ti è capitato di viaggiare? Che impressioni hai avuto di Ariwara e del Congo?
«Perlopiù rimanevo a Ariwara, che si trova vicino al confine ugandese e non lontano dal Sudan del Sud, ma mi è capitato di recarmi occasionalmente in altre località tra Rdc e Uganda, e nel mese di marzo mi sono preso quattro settimane per visitare il mio paese ospitante.
Ariwara è una piccola comunità relativamente tranquilla e coesa, in cui la Chiesa svolge un’importante funzione di aggregazione sociale, per quanto riguarda i servizi e il tempo libero. C’è però una forte connotazione sincretica nella cultura locale, in cui riti e simbologie di varie correnti cristiane, dell’Islam e dei culti animisti tribali si commistionano in modo interessante e complesso. Poligamia e stregoneria, per fare due esempi, sono elementi radicati della vita pubblica. Mi sono sentito accolto e mi sono affezionato alla comunità mia ospite, ma ho anche osservato elementi critici sia dal punto di vista strettamente sociale, almeno da un punto di vista occidentale – come il forte assetto patriarcale, la stigmatizzazione dei bambini “anomali” e delle loro madri, un alcoolismo incontrollato – , sia legati all’aspetto politico-amministrativo. Mi hanno colpito negativamente l’aggressività e la corruzione delle forze dell’ordine, e c’è pochissima attenzione del governo di Kinshasa verso gli investimenti pubblici, cosa drammaticamente evidente nella sanità e nelle infrastrutture.
Formalmente, la Rdc è una “repubblica democratica” semipresidenziale, nei fatti, l’establishment del presidente Joseph Kabila si avvicina di più a un modello para-dittatoriale. Questo tipo di governo, che poggia su una rete di rapporti clientelari, ha interesse a evitare l’interazione di oppositori reali o potenziali, perciò cerca di dissuadere gli espatri e i contatti con le comunità congolesi in Europa o all’estero, mentre è incoraggiata l’immigrazione, che proviene soprattutto dal Sud Sudan. Esistono enclaves finanziarie ed economiche di occidentali e di cinesi che si concentrano nelle metropoli e nei pressi di alcune miniere, ma l’altissima instabilità politica ha un effetto deterrente sugli investimenti esteri».
Da due mesi sei di nuovo in Europa. Come ti senti?
«Mi colpisce negativamente quella che ormai avverto come… inautenticità: la stessa razionalità che qui governa la realtà, mi sembra, rende le interazioni umane fredde e “meccaniche”, distanti anni luce dalla vitalità a cui mi ero abituato – anche con qualche difficoltà iniziale – in Congo e a Ariwara, la cui comunità mi ha accettato serenamente e dove – magari non subito – farei volentieri ritorno dai miei amici.».
[Alida Franchi, ecoinformazioni]