Il contrario di uno. Nuovi orizzonti cooperativi nel territorio che cambia

coperazioneSi è svolta il 30 novembre, all’Università dell’Insubria l’assemblea 2013 di Confcooperative di Como.  Pubblichiamo un estratto della relazione del presidente Mauro Frangi. «Le cooperative dentro la crisi hanno svolto – in Italia e a Como – la “funzione sociale”, sancita dall’articolo 45 della Costituzione Repubblicana. 

L’hanno svolta aldilà di ogni aspettativa. Hanno retto all’urto della crisi e incrementato l’occupazione complessiva. I recenti Censimenti Istat – quello delle imprese e quello delle istituzioni no profit – ci consegnano una fotografia chiarissima. Nel decennio della stagnazione prima e della recessione poi, le cooperative sociali sono quasi raddoppiate di numero (+98%) e hanno più che raddoppiato l’occupazione complessiva (+132%). Erano un fenomeno di nicchia nel 2001. Sono oggi un protagonista del nuovo Welfare. Davano, alla data del Censimento (2011), lavoro a 3.628 cittadini comaschi.

Il dato è decisamente superiore se non ci limitassimo a guardare solo ai rapporti di lavoro subordinato, ma aggiungessimo a questi le centinaia di rapporti di lavoro autonomo e tutte le altre forme contrattuali con cui si crea e si distribuisce il lavoro nella nostra società. L’occupazione si è quasi raddoppiata (+96%) anche nelle cooperative diverse dalle cooperative sociali.

L’Istat attesta che sono 10.146 gli occupati con contratti di lavoro subordinato dell’intero sistema cooperativo comasco (+108%). Erano 4.882 alla data del precedente censimento. 429 imprese (+ 9%), con un occupazione media passata nel decennio da 12 a 24 unità, attestandosi, quindi, ad un livello decisamente superiore a quella dell’intero sistema imprenditoriale comasco (4 unità).

Nel frattempo, l’occupazione nella nostra provincia si è ridotta pesantemente, sia nelle Istituzioni Pubbliche (- 17%) che nel sistema delle imprese (- 8%). Quasi 17 mila occupati in meno. 15 mila nelle imprese e poco meno di 2 mila nelle Istituzioni Pubbliche.  6 mila in più nel sistema cooperativo. L’apporto delle cooperative  al Paese nel tempo della crisi è stato, quindi, indiscutibile. Anche il loro apporto per la ripresa della crescita e dell’occupazione deve essere altrettanto robusto ed indiscutibile. Senza accontentarsi di vivacchiare o di azioni difensive. Ma cercando di dare vita – con inventiva e sapendo guardare al futuro – ad una nuova stagione di proposte e di sviluppo. Con nuove tipologie cooperative in nuovi campi. Con la capacità di generare innovazione. Promuovendo la soluzione cooperativa come una possibilità in più, una risorsa in più, per contribuire allo sviluppo del nostro territorio. Dalla crisi usciremo solo “re-imparando” un modo diverso di fare economia. Per tornare a “produrre valore”, occorre diventare capaci di generare “valore condiviso”. Un valore che sia insieme economico e sociale, capace di tenere insieme efficienza e senso, individualismo e costruzione di comunità e di legami, innovazione, progresso tecnico e crescita culturale.

 Ripartire dalla eccellenze

Qualcuno ha parlato di “we-economy”. Ma non servono le citazioni e i riferimenti culturali di matrice anglosassone. Serve  ripartire dalle eccellenze italiane.

Quelle che hanno generato il più grande sviluppo del nostro Paese, in epoche recenti e in altre molto più remote.L’eccellenza costituita dalla grande tradizione dell’”economia civile”. Quella di chi vive il mercato come luogo umanizzato. Come luogo di relazioni fiduciarie e non rapaci. Che legge la vicenda economica e la vita sociale come una faccenda che ha strettamente a che fare con la cooperazione e la reciprocità tra i soggetti. Che mette al centro e a fine dell’azione economica il “bene comune”.

Di questa storia profonda le cooperative costituiscono una delle componenti più significative. Non da sole, certo.  E’ la storia delle imprese familiari. Che sono pur sempre il 90% dell’intero settore privato. E’ la storia dei nostri distretti industriali. Dove imprese e comunità intere hanno sperimentato lo sviluppo economico senza cessare di essere comunità. E’ la storia delle banche mutualistiche e territoriali, che hanno accompagnato e sostenuto lo sviluppo di quelle imprese e di quei distretti.

Certo, di questi modelli oggi vediamo anche le crisi; vediamo le difficoltà ad adattarsi ai nuovi paradigmi della competizione globale. Ma è da questa storia di eccellenza che bisogna ripartire.

Un’Italia che si rimette in moto, un Italia con più fiducia, ha bisogno di più cooperazione e  anche di più cooperative. Perché sono imprese della comunità. Di persone che scelgono la comunità come l’orizzonte decisivo della propria azione imprenditoriale. Perché sono imprese della democrazia e della partecipazione.

Perché sono imprese dell’economia reale. Imprese che non danno stock options ai propri dirigenti e che non delocalizzano. Che non si gettano nelle avventure speculative, anche quando fanno finanza, come le Banche di Credito Cooperativo. Non girano il mondo alla ricerca di rendite volatili, ma, al contrario, reinvestono le risorse affidate dai depositanti nel medesimo territorio che le ha generate, sostenendo famiglie ed imprese.

Per queste ragioni le cooperative sono un asset strategico per lo sviluppo del Paese. Una risorsa per lo sviluppo del territorio e della comunità che abitiamo.

Ma – anche per l’economia cooperativa – è vero quel che vale in generale. La ripresa non possiamo limitarci ad attenderla. Non sarà il vento di una congiuntura favorevole – che speriamo arrivi e si consolidi – a riportarci al largo. Stare fermi ad aspettarlo al massimo ci costringe alla deriva. Non si esce dalla crisi tornando quelli di prima.

Attrezzarsi per le emergenze

Le difficoltà economiche, sociali, politiche che stiamo vivendo si traducono in altrettante emergenze. Ai cooperatori tocca attrezzarsi per saperle affrontare. La forza del movimento cooperativo, la sua credibilità ed il suo prestigio, stanno tutte nella sua capacità di costruire soluzioni per esigenze insoddisfatte delle persone e delle comunità.

Nella capacità di rendere attuale il modello cooperativo per far fronte ai nuovi bisogni che i territori esprimono. Apportando vitalità a un Paese ed a un territorio che ne hanno bisogno. I cambiamenti sociali e demografici ci pongono sfide ineludibili. Nel welfare, anzitutto. Nell’equità tra le generazioni. Nella costruzione di un Paese veramente capace di accogliere e integrare chi lo raggiunge e di essere davvero interculturale. Le nuove tecnologie pervadono la nostra quotidianità. Modificano il modo con cui facciamo ogni cosa. Ma, soprattutto, incidono in profondità nelle modalità di relazione interpersonale.  Cambiano il nostro modo di essere.

Siamo inseriti in un contesto che apre e allarga gli spazi d’azione per l’impresa cooperativa. Non serve attardarsi nelle lamentele su “come va il mondo” e nemmeno alzare richieste impossibili alla politica, immaginando il sostegno di risorse pubbliche che non esistono più e sempre meno esisteranno nel prossimo futuro. Dobbiamo noi essere all’altezza.  Essere capaci di ripensare il progetto cooperativo del futuro. Declinando nuovi spazi di azione mutualistica e una maggiore capacità di fare rete tra le nostre imprese e con tutti gli attori sociali ed economici del nostro territorio.

Orizzonti cooperativi

Concludo con alcuni orizzonti del futuro cooperativo che siamo chiamati a costruire e a mettere in campo. Occorre al nostro Paese un nuovo welfare. Quello che abbiamo conosciuto si è rotto. Non funziona più. Schiacciato, prima ancora che dalla contrazione delle risorse pubbliche e dalle scelte della politica, dai cambiamenti demografici, dall’allungamento delle aspettative di vita, dall’emergere di nuovi bisogni, dal moltiplicarsi e dal frammentarsi delle domande. Non è un caso che la più grande spesa per servizi di welfare sia, in Lombardia, quella per le cosiddette badanti. Magari “in nero”.

Non se ne esce dentro la classica alternativa stato o mercato. E nemmeno con le Amministrazioni Locali che cercano di risparmiare qualche risorsa o rispettare il patto di stabilità interno, appaltando qualche altro servizio all’esterno o realizzando società a controllo pubblico per la gestione privatistica dei servizi. Se ne esce lavorando insieme – cooperazione sociale e Enti Locali – a ri-progettare il welfare locale e di prossimità. Integrando strutture, risposte, soluzioni. Valorizzando il protagonismo auto-organizzato dei cittadini. Trasformando i portatori dei bisogni e delle domande in protagonisti attivi della costruzione delle risposte.

Welfare territoriale

Per questo chiediamo alle Amministrazioni Pubbliche locali di essere autentici co-protagonisti della progettazione dei servizi di welfare territoriale. Un welfare che esisterà solo se saprà essere inclusivo, aperto, solidale, imprenditivo, innovativo. E oltre al welfare tanti altri sono i campi di promozione e sviluppo di nuova cooperazione su cui misurarci.

Non per fare cose vecchie con modi nuovi. Ma per stare sul fronte dell’evoluzione economica e sociale e rispondere alle emergenze fondamentali del Paese. A cominciare dalla possibilità – attesa e invocata per decenni – di costituire finalmente cooperative tra professionisti. Un campo che si apre, anche per un numero crescente di professioni non regolamentate. Proseguendo, mettendo a tema il nodo delle modalità più efficienti ed opportune di gestione dei servizi di interesse pubblico, dei beni comuni delle nostre città Dalle farmacie – per citare una recente esperienza o, meglio, un’occasione perduta comasca – al patrimonio immobiliare, sino ai  trasporti alle utilities.

Significa proporre e gettare le basi per la costruzione di una cooperazione di utenza in mercati sino ad oggi monopolizzati da aziende municipalizzate, spesso inefficienti e quasi sempre al servizio più della politica che dei cittadini, o aperti a privatizzazioni senza controllo da parte dei cittadini-utenti. Perché se è vero che l’impresa for-profit non sempre è la soluzione ottimale per gestire i beni comuni delle nostre città, è altrettanto vero che pubblico non è necessariamente sinonimo di statale o di comunale.

L’interesse pubblico non si persegue unicamente con la gestione pubblica diretta dei servizi. Molte esperienze sono lì a dimostrarcelo in ogni campo. L’obiettivo vero dovrebbe essere quello di lavorare a far nascere nuove forme di imprese civili e mutualistiche, capaci di garantire l’efficienza della gestione – e, quindi, anche con la presenza di imprenditori capaci – ma partecipate e che si pongano scopi più grandi della semplice realizzazione di un profitto.

Le cooperative, infine, hanno un talento particolare per l’auto-impiego e l’auto-imprenditorialità, che oggi sono la strada maestra per rilanciare l’occupazione. Ancora una volta sono le emergenze a suggerirci i terreni di intervento. Ad imporceli. Quella delle fabbriche che chiudono e nelle quali lo strumento cooperativo può diventare la risposta per chi viene escluso dal mercato del lavoro.

Per ridare una prospettiva dignitosa a chi ha di fronte solo una vita di ammortizzatori sociali e di precarietà, rigenerando lavoro ed occupazione. Quella – attualissima in questi giorni – della protezione civile, della difesa del suolo, della cura del territorio. La cooperazione può fare in questo ambito quello che la cooperazione sociale ha fatto con il welfare.

Quella, infine, di intercettare i giovani che svolgono nuovi mestieri, manuali o intellettuali, muovendosi perennemente al confine tra precarietà e free-lance, che nella cooperazione possono trovare sostegno, dignità personale e professionale, prospettive realistiche.

La cooperazione può essere la risposta più adeguata per iniziative di autoimprenditoria che spesso si muovono in ambiti innovativi o in “reti social”; per le start-up giovanili più innovative; per tutti quei soggetti che sono alla ricerca di luoghi e reti in cui incontrarsi e contaminarsi, di esperienze consortili e di co-working attraverso cui crescere più rapidamente, con più solidità e successo.

Alfredo Ambrosetti era solito dire che senza sviluppo il nostro futuro sarà grigio. Parlava dello sviluppo. Non parlava della crescita. Ma, continuava ammonendo che non potrà esserci sviluppo senza visione strategica, senza innovazione, senza coesione. Vale per i cooperatori e le cooperative così come vale per i territori ed i Paesi. Le cooperative  hanno in sé la possibilità di contribuire a disegnare un futuro che non sia grigio.

La possibilità di contribuire a dare vita ad un progetto di sviluppo che contribuisca a dare al nostro territorio e al Paese una rinnovata voglia di protagonismo, di fiducia e di speranza nel futuro». [Mauro frangi, presidente Confcooperative Como]

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