Un’assemblea degli azionisti decisamente movimentata, quella del colosso di armamenti tedesco Rheinmetall, che si è tenuta il 28 maggio all’hotel Maritim di Berlino; un ordine del giorno con al centro il solo tema di presentazione del bilancio aziendale dello scorso anno e i nuovi piani di sviluppo futuri, almeno in teoria. In realtà a «rovinare» la tranquillità del consiglio d’amministrazione sono arrivati numerosi attivisti, in corteo fuori dall’edifico dell’assemblea e pronti alla protesta dentro la sala, e azionisti attivi, tutti per contrastare la produzione di armi da parte dell’azienda, armi prodotte in Italia, esportate in Arabia Saudita e usate per alimentare la lunghissima guerra in Yemen. Proteste che hanno colto di sorpresa l’azienda, e la polizia è intervenuta, con maniere non proprio delicate.

Attraverso la filiale all’estero Rwm Italia, un’azienda che si occupa della produzione di munizioni e testate di calibro medio-grande, con sede a Domusnovas, in provincia di Cagliari, Rheinmetall esporta da anni bombe a caduta libera verso l’Arabia Saudita, che le utilizza per bombardare i ribelli sciiti Houthi in Yemen; dall’inizio del conflitto nel marzo del 2015 i sauditi si sono resi colpevoli di svariate violazioni dei diritti umani, colpendo spesso obiettivi civili senza risparmiare ospedali, scuolabus e villaggi. Per
protestare contro l’export di armi, prima dell’inizio dell’assemblea un lungo corteo pacifista ha percorso la strada che dall’ambasciata saudita conduce a quella turca, altro importante acquirente dei prodotti dell’azienda tedesca.

Di fronte all’hotel proseguono le dimostrazioni dei manifestanti mentre una lunga fila di azionisti attende paziente all’entrata; in fila però non ci sono soltanto uditori fiduciosi, ma anche una cinquantina di attivisti vestiti in abito elegante, pronti a bloccare l’assemblea. All’interno dell’edificio i partecipanti sono accolti in una grande sala, il consiglio di amministrazione già li attende seduto intorno ad un lungo tavolo rialzato. Non appena l’amministratore delegato dell’azienda Armin Papperger sale sul podio e apre il microfono per salutare i presenti, una cinquantina di attivisti srotolano uno striscione e circondano il tavolo, impedendogli di parlare. Tornato il silenzio però, l’intervento dell’Ad ha inizio, il 2018 è stato un anno di successo, il bilancio si chiude con un fatturato di 6,1 miliardi di euro; rispetto all’anno precedente si tratta di un aumento complessivo del 4,3%, mentre nel settore degli armamenti la crescita è addirittura del 7,9% (la società è attiva anche nel settore automobilistico), l’utile netto ammonta invece a 492 milioni di euro.

Una volta terminati i lunghi interventi dei rappresentanti dell’azienda, è il turno degli azionisti singoli che possono porre domande e sollevare riflessioni, in qualità di azionista critico è presente Mauro Meggiolaro, la sua relazione è a nome della Fondazione Finanza Etica, mentre per la banca cattolica tedesca Bank für Kirche und Caritas interviene Tommy Piemonte. Una prima domanda riguarda la possibilità che rientri nei piani aziendali la riconversione ad usi civili della fabbrica; segue la richiesta di chiarimenti sulla decisione di ampliare lo stabilimento con altri due reparti produttivi, che a gennaio scorso ha spinto le associazioni pacifiste ad ogni genere di proteste. In
conclusione, Fondazione Finanza Etica ha chiesto conto della realizzazione di un campo prove destinato agli esplosivi a ridosso della zona di importanza comunitaria Monte Linas Marganai e secondo il testo del ricorso al Tribunale amministrativo regionale le procedure autorizzative relative all’ampliamento
presentano infatti diversi vizi di legittimità; Il piano di emergenza per lo stabilimento però risulta scaduto nel 2012 e la popolazione non è mai stata informata. Molto più netto invece il giudizio sulla possibilità di riconvertire la fabbrica ad uso civile: Rheinemtall non può permetterselo perché gli ordini sono ancora in corso e per obblighi contrattuali l’azienda dovrà stare
aperta ancora per diversi anni. Quest’anno inoltre, nel rapporto dell’Agenzia delle dogane, le consegne da parte dell’Italia in Arabia Saudita ammontano a 108,7 milioni di euro, di questi, 42 milioni sono attribuibili alle bombe a caduta libera prodotte dalla Rwm, risalenti ancora alla grossa autorizzazione da 411 milioni del 2016. La Germania ha rinnovato per altri sei mesi la decisione di bloccare l’export di armi verso l’Arabia Saudita, ma come ricorda all’assemblea un attivista di Fridays for future: «L’azienda Rheinmetall continua ad utilizzare le filiali all’estero per aggirare il divieto».

Una volta terminati i lunghi interventi dei rappresentanti dell’azienda, è il turno degli azionisti singoli che possono porre domande e sollevare riflessioni, in qualità di azionista critico è presente Mauro Meggiolaro, la sua relazione è a nome della Fondazione Finanza Etica, mentre per la banca cattolica
tedesca Bank für Kirche und Caritas interviene Tommy Piemonte.
Una prima domanda riguarda la possibilità che rientri nei piani aziendali la riconversione ad usi civili della fabbrica; segue la richiesta di chiarimenti sulla decisione di ampliare lo stabilimento con altri due reparti produttivi, che a gennaio scorso ha spinto le associazioni pacifiste ad ogni genere di proteste. In
conclusione, Fondazione Finanza Etica ha chiesto conto della realizzazione di un campo prove destinato agli esplosivi a ridosso della zona di importanza comunitaria Monte Linas Marganai e secondo il testo del ricorso al Tribunale amministrativo regionale le procedure autorizzative relative all’ampliamento
presentano infatti diversi vizi di legittimità; Il piano di emergenza per lo stabilimento però risulta scaduto nel 2012 e la popolazione non è mai stata informata. Molto più netto il giudizio sulla possibilità di riconvertire la fabbrica ad uso civile: Rheinemtall non può permetterselo perché gli ordini sono ancora in corso e per obblighi contrattuali l’azienda dovrà stare
aperta ancora per diversi anni. Quest’anno inoltre, nel rapporto dell’Agenzia delle dogane le consegne da parte dell’Italia in Arabia Saudita ammontano a 108,7 milioni di euro, di questi, 42 milioni sono attribuibili alle bombe a caduta libera prodotte dalla Rwm, risalenti ancora alla grossa autorizzazione da 411 milioni del 2016. La Germania ha rinnovato per altri sei mesi la decisione di bloccare l’export di armi verso l’Arabia Saudita, ma come ricorda all’assemblea un attivista di Fridays for future: «L’azienda Rheinmetall continua ad utilizzare le filiali all’estero per aggirare il divieto».
Anche in Italia non si è arrivati ad una soluzione, infatti il movimento Cinque Stelle sostiene la necessità di una riforma della Legge 185 del 1990 che regola l’esportazione delle armi e ha depositato un disegno di legge in Senato con una proposta di modifica; l’iter previsto è davvero lungo e poco utile perché la legge 185 permette già di sospendere le licenze all’esportazione nel caso in cui sia accertato che il paese compratore utilizzi le armi acquistate per compiere violazioni dei diritti umani. La Lega Nord sulla questione è stata più esplicita, il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, che ha la delega all’esportazione degli armamenti, ha fatto sapere che in caso di blocco dell’export: «Il governo deve essere consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale». Il nostro governo, insomma, se ne lava le mani e l’indifferenza domina anche nella sala dell’assemblea, la maggior parte degli azionisti singoli non sembrano troppo interessati e non appena arriva l’annuncio del
pranzo offerto gentilmente dall’azienda, corrono fuori a prendere posto. [Lmc, ecoinformazioni]

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