diritti civili

Chiara Saraceno/ Lotta alle disuguaglianze e alla povertà

Nella serata di  venerdì 28 febbraio, l’Ares (Associazione per il riformismo e la solidarietà) ha accolto, nel  Salone di Confcooperative  a Como, Chiara Saraceno, sociologa di fama  internazionale, che ha presentato i risultati dei suoi studi e di dati ufficiali sulla povertà e sulle politiche sociali in Italia, che determinano delle forti disuguaglianze. L’intervento è stato introdotto da Fausto Tagliabue.

Secondo l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economici), l’Italia, nonostante sia uno dei paesi occidentali democratici, è uno dei paesi in cui la riproduzione intergenerazionale delle disuguaglianze è tra le più elevate, ovvero: l’ambiente socio-familiare di origine, insieme alle condizioni di vita dell’individuo sulla base del reddito e dell’istruzione, determina il proprio futuro sociale, lo predice, e le disuguaglianze che ne derivano vengono trasmesse di generazione in generazione. Nella prima decade del 2000 un figlio di operai aveva ben 8 volte di meno di possibilità di andare all’università; questo dipende da un concatenarsi di situazioni, tra cui le scarse risorse economiche dei genitori, l’eredità lavorativa che influenza le scelte dei figli stessi, il pregiudizio degli altri nei confronti dei figli di operai.

DSCN0414Sempre dai dati dell’Ocse l’Italia è il paese più disuguale dal punto di vista del reddito. Questo può essere visto nella disuguaglianza economica e per il riconoscimento dei diritti civili tra donne e uomini: meno del 20% delle donne ha un impiego nella Pubblica Amministrazione e meno della metà, il 49 %, è nel mondo del lavoro, contro il 60% di occupazione femminile che doveva essere raggiunto entro il 2010 secondo il patto di Lisbona.

Inoltre, il calcolo del valore del capitale umano, ovvero il valore economico di una persona (la quantità di reddito che una persona può produrre nel corso della sua vita), risulta essere più basso per le donne rispetto a quello degli uomini a parità di ruolo, già al momento del conseguimento del titolo di laurea. C’è meno presenza di donne nel mondo del lavoro in quanto si dedicano di più al lavoro di cura, cioè quello svolto a casa per la famiglia nei confronti dei bambini, degli anziani e dei disabili; si dedicano di più al volontariato, quindi in generale ai lavori per il benessere della società e non retribuiti. In più, l’età pensionabile delle donne precede quella degli uomini, misura pensata per liberare posti di lavoro.

Per quanto riguarda il sistema scolastico c’è da dire che in Italia non è efficiente, a prescindere dalla crisi finanziaria che ha tagliato i fondi per l’istruzione. L’indagine Pisa (che prova le competenze logiche e di comprensione dei testi) ha rilevato un forte divario tra le prestazioni ottime e quelle scarse degli studenti. Questo dipende anche dall’origine familiare e territoriale, non dall’arretratezza delle capacità intellettive e personali. Questa differenza esiste in altri paesi, ma non è così forte come in Italia.

Se guardiamo alla quantità dei servizi per l’infanzia offerti, quindi asili nido e scuole materne, Italia è ai primi posti insieme a Scandinavia e Danimarca; ma si differenzino dall’Italia perché là i servizi per l’infanzia significano anche servizi per le pari opportunità e pari condizioni di inserimento futuro nella società. In Italia quando una madre perde il lavoro, di solito la prima cosa che fa è ritirare i figli dal nido o dalla materna, perché non se li può permettere, e questo è un rischio per i bambini, soprattutto per quelli più poveri e per i figli degli immigrati.

L’Italia è al primo posto in Europa per livello di povertà minorile, che raggiunge il 25%.

Un’altra disuguaglianza sta nel non riconoscimento dei diritti civili nei confronti degli immigrati. Quando arrivano in Italia possiedono qualifiche medio-basse e lo stato non li valorizza. Per esempio alla richiesta dei musulmani di avere una moschea o un luogo riconosciuto per il culto, che rappresenta l’esercizio della libertà religiosa, lo Stato risponde picche, nonostante gli immigrati in Italia siano una parte della popolazione ormai consolidata da qualche decennio.

I loro figli, secondo lo ius sanguinis, anche se nati in Italia non vengono riconosciuti dallo Stato automaticamente come italiani. Così si sentono spesso diversi, con meno diritti riconosciuti.

Un’altra disuguaglianza presente nel nostro paese è quella per le coppie omosessuali e quelle eterosessuali. Se la coppia omosessuale adotta un figlio, non vengono riconosciuti come famiglia. I figli di omosessuali sono considerati orfani, verso cui non hanno né diritti né doveri. Riconoscere i figli significherebbe per lo Stato riconoscere l’esistenza della coppia stessa. Nel 1975 con la Riforma del diritto di famiglia si raggiunsero traguardi importanti, come il passaggio dalla patria podestà alla potestà condivisa dei coniugi. Un altro traguardo si è raggiunto, nel dicembre 2013, con la fine della distinzione tra figli naturali, nati nel matrimonio, e figli legittimi, nati fuori dal matrimonio; per i figli di omosessuali invece: ancora nessun riconoscimento su carta.

Bisogna capire che i valori tradizionali hanno ormai intrapreso un forte cambiamento. Non c’è una definizione sola di famiglia, ma esistono più famiglie, se pensiamo che 1 figlio su 3 non nasce nel matrimonio, e 1 matrimonio su 3 è preceduto da una convivenza.

La crisi economica, accompagnata dall’esaurimento della Cassa Integrazione, dall’inefficienza degli ammortizzatori sociali che hanno aumentato le diversità già esistenti, ha portato molte famiglie a vivere nella povertà assoluta.

Dalla fine del 2007 e fino al 2010 gli indicatori di povertà dell’Istat sono rimasti pressoché stabili, con variazioni dello “zero virgola”.

Tra 2010 e 2011 e tra 2011 e 2012 (di cui si hanno gli ultimi dati) c’è stato invece un forte salto. E’ aumentata la povertà assoluta (cioè l’incapacità di acquistare certo beni definiti come di sussistenza ai prezzi minimi) e soprattutto la deprivazione, cioè gravi mancanze e difficoltà in certe cose, come non potersi permettere un pasto proteico una volta ogni due giorni, le visite mediche. Ci sono altri 7 parametri, e le persone che ne hanno 3 su 9 sono definiti come deprivati, mentre se se ne presentano 4 su 9 si tratta di deprivati gravi.

C’è stata in particolare una diminuzione nei redditi correnti piuttosto che una diminuzione della ricchezza, perché sono aumentati i debiti. In questa situazione era il Mezzogiorno che ha subito di più.

Le diversità territoriali tra nord e sud sono addirittura maggiori di quelle che c’erano dopo l’unificazione tra Germania est e Germania ovest. Durante la crisi la povertà è aumentata più al nord che al sud. Ora si intravede una sofferenza del centro-nord per le famiglie con più di due figli.

La situazione non è peggiorata per gli anziani: c’è di buono che i tagli hanno risparmiato le fasce basse.

Il piccolo pubblico della sala è intervenuto con osservazioni e racconti di esperienze personali in qualità di insegnanti, attivisti per i diritti umani; dibattiti che hanno costituito più della metà dell’incontro. Si ha l’impressione generale che manchi una cultura politica della società e che ci sia una mancanza di proposte in politica, forse causa della disillusione nei suoi confronti. Osservando il divario tra i tipi di richieste e punti di vista da una città all’altro fa capire che manca un pensiero solidale che accomuni le città e le regioni. Nelle scuole le maestre vorrebbero fare di più per i bambini ma mancano risorse economiche, e mancano insegnanti di sostegno per affiancare quelli stranieri, mentre sono previsti per i bambini disabili. Eppure ci sono gruppi di insegnanti in pensione che sarebbero ben disposti a ricoprire nuovamente degli incarichi a scuola e affiancare gli altri maestri; ma magari questi si sentono autonomi e non accettano questo tipo di sostegno e aiuto, ma non bisognerebbe neanche stare fermi ad aspettare che arrivino le risorse dall’alto.

Un’altra mancanza italiana rispetto ad altri paesi è quella del “reddito minimo d’inserimento”. Dovrebbe essere garantito dal governo il diritto al soddisfacimento dei bisogni fondamentali, un minimo di diritto al consumo. Non si può abbandonare a loro stessi i poveri e i loro figli.

Tutte questioni molto complesse, che non possono essere risolte da un anno all’altro. [Clara Chiavoloni, ecoinformazioni]