Carovana antimafie/ Incontro con le scuole

ImmagineLa prima “fermata” della Carovana antimafie è stata al Gloria, in via Varesina 72 a Como, nella mattina di giovedì 29 maggio, che ha visto la partecipazione degli e delle studenti delle scuole Terragni. Magistri, Ripamonti, Vanoni, Pessina, Caio Plinio. Il tema dell’incontro è stato la tratta degli esseri umani, in particolare a proposito dell’immigrazione, dello sfruttamento in tutte le sue forme e della lotta contro l’emarginazione. L’incontro, presidiato da Enzo D’Antuono, presidente Arci, è stato aperto con la proiezione del film Terraferma di Emanuele Crialese (presentato al concorso della Mostra internazionale del cinema a Venezia nel 2011), seguito da numerosi interventi e preziose testimonianze, a cui hanno contribuito gli operatori della Cooperativa Lotta contro l’emarginazione Paolo Cassani, Elisa Roncoroni, Alessio Cantaluppi e Yvan Sagnet, leader della rivolta del 2011 a Nardò in Puglia contro lo sfruttamento dei braccianti nella raccolta dei pomodori; Ilaria Raucci di  Libera terra; Giulia Venturini di Arci Lecco; Giulia Chiechio di Libera Como. Sul canale di ecoinformazioni tutti i video dell’iniziativa.

Su una piccola isola siciliana, di cui non si specifica il nome, abitata da pescatori e lambita dal turismo, vive una famiglia composta da Ernesto, pescatore, il nipote Filippo, orfano del padre, la madre di Filippo, Giulietta. In mare aperto Ernesto e Filippo portano in salvo alcuni immigranti, i quali approfittano del buio della notte per scappare, mentre ospitano in casa una donna etiope in cinta, Sara, insieme a suo figlio, una donna etiope in cinta di una bambina, insieme a suo figlio, all’oscuro delle forze dell’ordine che li rimanderebbero nel loro paese di origine. La storia di Sara, che ha affrontato un viaggio di due anni, in precarie condizione e soffrendo la fame, per raggiungere il marito a Torino, potrebbe essere la storia e il movente di molti che sbarcano in Italia per raggiungere altre destinazioni. Nel film si toccano diversi temi di un’attualità scottante: il contrasto tra la legge dello Stato e la “legge del mare”, a cui i pescatori anziani soprattutto sono fedeli, che prevede il dare soccorso alle persone in mare, che siano clandestini e non; il timore che lo sbarco di clandestini ostacoli il turismo; i rischi che corrono gli immigrati quando intraprendono il viaggio verso l’Italia; il desiderio di una vita migliore. Mentre la terraferma di Giulietta è trovare un lavoro aldifuori dell’isola per garantire un futuro migliore a se stessa e a suo figlio, quella di Sara è dove può ricongiungere la sua famiglia. Una terraferma diversa ma col medesimo significato: raggiungere un luogo dove non c’è più bisogno di scappare, e dove stabilirsi definitivamente.

Elisa Roncoroni ha ricordato che nel mondo sono 21 milioni le persone che vivono in una condizione di sfruttamento, trattate quindi come merce. «La tratta degli esseri umani è questa, spostare le persone per profitto», profitto di cui beneficiano le associazioni criminali organizzate, ovvero le mafie. Si può parlare di tratta degli esseri umani quando si presentano delle particolari caratteristiche:«Ci dev’essere la coercizione della volontà della persona, la violazione dei diritti umani – spiega Elisa Roncoroni in modo fermo e chiaro per attirare l’attenzione degli studenti in platea che già dimostrano di essere distratti – lo spostamento della persona con la forza o con l’inganno, promettendo magari un lavoro normale, un ricongiungimento familiare, e lo sfruttamento della persona che deriva da questo spostamento». Poi riferendosi al film, di cui ammette di essere rimasta colpita emotivamente, dice:«Le condizioni in cui le persone viaggiano sono disumane, tanto è vero che non superano il viaggio..Le forze dell’ordine è giusto che facciano applicare le leggi, ma è importante anche che tengano conto di altre cose» e sostiene il suo pensiero citando gli articoli 13 della Costituzione e il testo unico sull’immigrazione, che indicano rispettivamente che “la libertà personale è inviolabile; è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” e che c’è la possibilità per un migrante di ottenere il permesso di soggiorno.

Dal 2000 la Cooperativa per la lotta contro l’emarginazione ha cominciato a pensare che l’opportunità offerta dal testo unico sull’immigrazione poteva essere usata anche nel caso di sfruttamento lavorativo. Dal 2003 ha accolto centinaia di vittime di questo tipo di sfruttamento, accompagnandoli nel percorso di ottenimento del permesso di soggiorno. «Lo sfruttamento lavorativo è un fenomeno sommerso – spiega Paolo Cassani – i lavoratori irregolari sono ampiamente usati per fare concorrenza sleale sul mercato del lavoro» e queste situazioni non sono molto lontane da dove siamo noi: aziende con dipendenti non registrati che lavorano un nero, posti con precarie condizioni di sicurezza; la Cooperativa si preoccupa di costruire una rete di sindacati per segnalare questo tipo di anomalie. «È una battaglia quella di intercettare le persone sfruttate e informarle in modo da farle vivere regolarmente in Italia». È anche una battaglia di approccio culturale a proposito di accoglienza dei migranti, di eticità e di rispetto dei diritti umani: «Se ci fossero questi elementi potremmo parlare meno di vittime e più di diritti che vengono rispettati».

Alessio Cantaluppi si esprime a proposito dello sfruttamento nel “mondo” della prostituzione, e degli interventi della Cooperativa a tal proposito. Un gruppo di operatori, parte dell’Unità di strada di Como, che effettua uscite serali nelle strade della provincia di Como presso le donne che si prostituiscono. Sono spesso persone che non lo fanno per scelta, ma che sono state portate in Italia con l’inganno, promettendo lavori che non ci sono e poi costrette a prostituirsi. Vivono in una condizione di grosse privazioni, sotto l’occhio vigile di un circuito criminale che le controlla di continuo, e sono quindi private della loro libertà. Inoltre la strada è un ambiente a rischio, basti pensare alla violenza che possono ricevere da parte di malintenzionati, dai clienti e dagli sfruttatori; rischi legati all’uso di sostanze alcoliche o stupefacenti, rischi di contrarre malattie sessualmente trasmissibili. Un obiettivo importante tra gli altri è quello di creare una relazione “normale” con la persona, che a lungo andare si è scordata di avere dei diritti e ricordarle che aldifuori di quel circuito criminale esiste un altro “mondo”, che prevede libertà di scelta e la possibilità di vivere davvero, intraprendendo un percorso di uscita dalla prostituzione. Non dimentichiamo che l’articolo 1 della nostra Costituzione dice che “tutti gli essere umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.

«La mia storia è stata quella di raggiungere un sogno, quello di raggiungere questo Paese». Così Yvan Sagnet, 29 anni, camerunense, inizia a  raccontare la sua storia. Appena ventenne arriva in Italia, si iscrive al Politecnico di Torino. Nel 2012 perde la borsa di studio che gli permetteva di permettersi l’università, così va a lavorare a Nardò, in Puglia, facendo il bracciante nei campi di pomodori, talmente era forte il desiderio di finire di studiare. In meridione scopre una realtà italiana totalmente diversa da quella che aveva visto in televisione e di cui si era innamorato: la moda, l’architettura e la cultura italiana . No, in Puglia ha visto una realtà che neanche in Africa aveva mai trovato: persone che avevano perso la dignità e che erano disposte a tutto pur di guadagnarsi da vivere. Vige ancora oggi un particolare sistema di lavoro, che vede a capo “caporali”, persone italiane o straniere che hanno il compito di fare da intermediari tra i proprietari terrieri italiani e i lavoratori e reclutarne di nuovi.

La sua giornata di lavoro iniziava alle 3 di notte per finire tra le 15  di pomeriggio e le 19 di sera; molti lavoratori stremavano dopo ore di lavoro con una temperatura di quaranta gradi sotto al sole. Il contratto collettivo nazionale di lavoro non era rispettato: venivano pagati a cottimo, quindi più barili di pomodori riuscivano a riempire, più guadagnavano. Ogni bidone, che pesava circa 4 quintali, valeva 3 euro e 50, tenendo conto che in una giornata si potevano riempire un massimo di 3 o 4 cassoni, che risulta in un guadagno massimo di 25 euro giornalieri. Poi da questa misera paga bisognava detrarre dei costi obbligatori a cui il lavoratore non poteva opporsi: 5 euro per il pranzo (un panino e una bottiglietta d’acqua), 5 euro per il trasporto da casa al posto di lavoro (il furgone usato per il loro trasporto, omologato per 9 persone, ne teneva 25), e un eventuale costo di 20 euro nel caso in cui un lavoratore si sentiva male e voleva essere portato al pronto soccorso.  Ma a tutto questo non era semplice ribellarsi: i campi di raccolta erano lontani dai centri abitati, e poi quel sistema di lavoro era legato alla mafia, quindi le istituzioni, le aziende e le forze dell’ordine erano complici. Inoltre i braccianti erano di origine diversa, parlavano lingue diverse. «Abbiamo preso il coraggio di ribellarci; grazie all’aiuto di associazione di volontariato del luogo e della Cgil lo sciopero ha ottenuto grandi risultati: dopo ben 100 anni del sistema del caporalato, è diventato illegale, e la Magistratura di Lecce ha fatto arrestare tutte le persone che c’erano dietro, considerate intoccabili da tutta la zona, grazie alle intercettazioni telefoniche». Anche in Lombardia e in Piemonte esiste questo sistema di lavoro. «Oltre allo sfruttamento controllato dalla mafia, c’è anche la distribuzione organizzata: molti prodotti che acquistiamo e consumiamo provengono dallo sfruttamento delle persone; per contrastare questi fenomeni – continua Yvan Sagnet – stiamo intervenendo su più fronti, ovvero riformare il mercato del lavoro e quindi far riportare il collocamento pubblico (i centri per l’impiego) come intermediari tra offerta e domanda di lavoro; vincolare gli incentivi pubblici, quindi indirizzarli solo a quelle aziende che rispettano la manodopera». Secondo Yvan serve una campagna globale di informazione, perché il lavoro nero funziona anche a causa della mancanza d’informazione.

Non sempre però l’esito di una rivolta contro la criminalità organizzata è un successo: nel 1999 in Puglia un ragazzo è stato ucciso dal caporalato, e le cooperative di Libera Terra hanno subito incendi dolosi.

Giulia Chiechio di Libera ha raccontato la sua esperienza nel campo di lavoro Arci e Libera nell’agosto 2013 a Bel passo in provincia di Catania. La cooperativa ha ricevuto il terreno confiscato alle mafie e lo ha rimesso “a vita nuova” come agrumeto e uliveto. Ha spiegato come questa esperienza abbia cambiato il corso della sua vita e dei suoi interessi, e che è un’opportunità per costruire amicizie durature basate su principi in comune. «Senza i volontari nel campi di lavoro Arci e Libera queste cooperative che producono prodotti per Libera terra non riuscirebbero a sopravvivere.. per fare antimafia non c’è bisogno di fare grandi cose, o essere magistrati, forze dell’ordine, ma facendo il proprio dovere». [Clara Chiavoloni, ecoinformazioni]

 

 

 

 

 

Da sinistra: Elisa Roncoroni, Enzo D'Antuono, Paolo Carrisi
Da sinistra: Elisa Roncoroni, Enzo D’Antuono, Paolo Cassani

 

 

Elisa Roncoroni
Elisa Roncoroni

 

 

Da sinistra: Enzo D'Antuono e Paolo Carrisi
Da sinistra: Enzo D’Antuono e Paolo Cassani

 

 

Alessio Cantaluppi
Alessio Cantaluppi

 

 

Enzo D'Antuono e Yvan Sagnet
Enzo D’Antuono e Yvan Sagnet

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