Senza tetto/ Fare massa critica, elaborare una strategia d’azione concorde

In apertura all’assemblea indetta dalla rete Como senza frontiere ma con l’invito accolto da molte altre realtà non interne alla rete di lunedì 16 aprile al salone Cna, partecipata da una sessantina di persone, il portavoce Fabio Cani ha invitato a fare il punto della situazione riguardante i senza fissa dimora a Como, che in queste  settimane devono misurarsi con una drastica contrazione della disponibilità istituzionale alla loro accoglienza, già insufficiente, nonostante l’impegno mostrato dalle forze dell’attivismo sociale nell’integrarla. La situazione, chiarisce Cani, non costituisce un'”emergenza”, definizione che confligge con la sua strutturalità e che giustifica “interventi spot” sui casi peggiori anziché, come sarebbe opportuno, politiche organiche alle radici del problema. Al tempo stesso, però, nessuno  – al di là del colore politico – può negare l’urgenza di trovare una soluzione e portarla all’attenzione della cittadinanza e delle istituzioni che la rappresentano. La gestione del problema da parte di queste ultime appare segnata da una certa cattiveria, ma anche da una grave (non irrisolvibile) miopia politica. Le soluzioni  – molte – proposte nel corso della serata non vogliono essere mostre di carità a vantaggio di alcuni, ma un richiamo alla responsabilità di tutti, nell’interesse di tutti.

 

 

Georgia Borderi, che alla parrocchia di Rebbio svolge un lavoro di coordinamento tra l’operato delle varie realtà attive nell’accoglienza di senzatetto e migranti a Como (Caritas, Oim, Osservatorio giuridico per i diritti dei migranti, Fondazione Rosa dei venti, Como accoglie e altre), interviene a fornire un quadro puntuale della situazione. Gli ex destinatari del piano Emergenza freddo (scaduto il 2 aprile) e quelli dei tendoni, che saranno smantellati allo scadere del mese in corso, sono in tutto 120. Tra loro, 86 migranti, 47 regolari (tra cui: 6 beneficiari del programma di ritorno volontario assistito attuato dall’Oim, 28 titolari di permesso di soggiorno internazionale in attesa di ingresso in un sistema Sprar che, a Como, non vuole essere messo in pratica; 13 titolari di un permesso di soggiorno temporaneo ancora valido che attendono audizione in tribunale o in commissione territoriale). Tra i restanti 39, 24 avevano ottenuto un permesso temporaneo che è però scaduto in attesa di audizione, 8 sono stati fotosegnalati in altre questure senza avvenuta formalizzazione  della domanda di protezione internazionale, il che ne ha comportato l’esclusione dal campo della Croce Rossa, soltanto 6 hanno concluso il proprio percorso giudiziale; non è chiaro l’iter di una di queste persone, che come altre 7 soffre di una condizione di vulnerabilità psichiatrica. La situazione è preoccupante e per molti versi contraddittoria: da una parte, si negano accoglienza e regolarizzazione in tempi rapidi (l’attesa per l’audizione supera spesso, in termini di tempo, la durata stessa del permesso, e questo stallo preclude l’avvio di progetti abitativi, lavorativi ed educativi nei margini della legalità; dall’altra, si rendono difficoltose le condizioni per il rimpatrio. Mentre gli altri paesi europei, appoggiandosi ai regolamenti di Dublino, riescono a dirottare i migranti in Italia come “primo paese di arrivo”, i migranti rimangono bloccati nel “limbo” italiano e di fatto sottotutelati, anche quando titolari di una qualche forma di permesso.

Con o senza protezione giuridica, senza possibilità di inserimento, senza una base, e spesso – va detto – senza un progetto migratorio definito (se fattibile), questi migranti non sono che una parte (sostanziosa) dei senzatetto presenti in città, ma ne sono la parte più visibile e, agli occhi di troppi, più preoccupante e fastidiosa. Che la chiusura istituzionale crei e perpetui il problema, piuttosto che contrastarlo almeno idealmente, non risulta evidente come dovrebbe. Che effetto può fare una persona sola, senza un posto dove andare, senza protezione giuridica (spesso, non sempre), senza risorse di alcun tipo? Che effetto possono fare tante persone in queste condizioni, alcune delle quali psicologicamente/psichiatricamente  vulnerabili, per un prolungato periodo di tempo, mentre il discorso politico e parte del discorso mediatico continuano a insistere sul discrimine regolarità/irregolarità? Il problema diviene allora quello di intervenire sulla percezione del fenomeno, favorendo l’interazione con e tra le persone senza fissa dimora, attraverso percorsi di conoscenza e di interazione (oltre che con la messa a disposizione di spazi d’accoglienza in senso stretto, di cui si avverte la mancanza, soprattutto dopo la chiusura dell’autosilo di via Val Mulini) per creare una massa critica, che non sia però omologante ma organica. Una massa critica che non sia tale soltanto a livello cognitivo, valoriale e insomma “astratto” ma che si attivi per esigere l’attuazione di soluzioni fattibili e concrete. Alcuni spazi di confronto sono già esistenti, e se le istituzioni cittadine persistono nel loro rifiuto, vorrà semplicemente dire che si insisterà ancor di più perché vengano soddisfatte quelle che non sono “pretese buoniste” come alcuni le vogliono dipingere, ma mere necessità di uno Stato di diritto, Sprar in primis, allargando il raggio d’azione agli altri comuni della provincia e ad ambiti su cui, ad oggi, la rete Como senza frontiere non ha ancora particolarmente insistito, come le assemblee dei piani di zona, come propone Matteo Mandressi della Cgil di Como (segnalando, per mercoledì 2 maggio, la prossima assemblea del tavolo stranieri), oppure coinvolgendo realtà come Confindustria nella ricerca di un impiego per le persone senza fissa dimora, su suggerimento di Giuseppe Leoni (lista Cerco/offro).

Imperativa, anche per legge, un’attivazione del Comune e delle istituzioni per trovare misure più adeguate alla tutela dei minori, sottolinea Grazia Villa, avvocata dell’Osservatorio giuridico per i diritti dei migranti, ricordando il folto pubblico (prevalentemente femminile, ci tiene a sottolineare Villa) intervenuto all’incontro di presentazione del corso di formazione per tutori volontari di minori non accompagnati che si è tenuto al Tribunale di Como lo scorso 4 ottobre.
L’attivazione “dal basso” della cittadinanza comasca a sostegno dei migranti non è una novità, come ricorda Flavio Bogani, tra i primissimi promotori della mensa all’oratorio di Sant’Eusebio. Questa è stata attiva nel 2016, ma già nel 1999, 200 cittadini/e avevano organizzato una mensa itinerante e ottenuto la messa a disposizione dell’ex area Stecav in viale Innocenzo XI (l’area  drop-in) come dormitorio, soluzione proposta nella fase conclusiva dell’amministrazione Lucini ma non concessa dal centrosinistra, analogamente a quanto avvenuto con la questione Sprar la cui realizzazione è stata programmata ma non realizzata dalla precedente giunta comasca. Questa mobilitazione (che parte da una frazione della popolazione comasca numerosa ma ancora proporzionalmente ridotta) dovrà essere pronta, se necessario, alla disobbedienza civile; inoltre, gli esponenti di alcune delle realtà cattoliche del territorio intervenute al dibattito sottolineano la necessità di coinvolgere la Diocesi di Como nell’avanzamento delle richieste emerse nel corso della serata, oltre alla concessione di più spazi di accoglienza rispetto a quelli già offerti da alcune parrocchie e centri religiosi.

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Il resoconto presentato da Borderi in apertura evidenzia non soltanto le dimensioni del problema, ma anche la sua intrinseca complessità, a cui si somma la difficoltà nel dialogare con un’amministrazione sorda e cieca. Più voci insistono sul bisogno di non cercare mezze soluzioni, ma anzi, viceversa, di puntare sempre alto, presentando le esigenze inderogabili per quelle che sono. Altrettanto forte emerge però la necessità di concretezza, di attivazione pratica e collettiva. Se il “peso specifico” di Como senza frontiere, che auspica l’adesione di ancor più realtà a Como e provincia, non dovesse bastare, si coinvolgeranno nuovi attori (interni ed esterni alla rete), si intraprenderanno dialoghi diversi (a livello civile, associativo e istituzionale), con nuove modalità. L’impegno immediato è quello di combinare le proposte condivise in un piano strutturato e realizzabile e presentarlo facendo fronte comune, posto che le risorse sono, esattamente come le necessità, reali, e che non c’è più tempo né per le astrazioni, né per l’ostruzionismo politico. [Alida Franchi, ecoinformazioni]

Già on line sul canale di ecoinformazioni i video di Gianpaolo Rosso di tutti gli interventi dell’assemblea.

 

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